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Per la contaminazione da Piscirickettsiosi servono gli antibiotici

Dove le leggi nazionali stentano ad accogliere le richieste delle autorità sanitarie locali e mondiali, sempre più spesso ci arriva per primo il mercato. I produttori cileni di salmone allevato potrebbero andare incontro a una crisi senza precedenti, perché i rivenditori di uno dei loro primi mercati, quello statunitense, stanno bloccando in massa il salmone farcito di antibiotici, orientandosi verso quello norvegese, spesso del tutto privo di trattamenti antimicrobici. A chiederlo sono i clienti e le aziende reagiscono di conseguenza.
Le acque cilene hanno un serio problema di contaminazione da Piscirickettsiosi, un batterio che nei pesci provoca emorragie, danni a reni e milza e morte, e da anni gli allevatori reagiscono solo aumentando progressivamente la quantità di antibiotici, senza fare nulla per trovare una soluzione più efficace e radicale. Nel 2014, secondo i dati ufficiali, sono state prodotte circa 895.000 tonnellate di pesce, cui sono stati somministrati 563.000 chili di antibiotici, con un aumento del 25% rispetto al 2013. La Norvegia, al contrario, nello stesso periodo ha sviluppato vaccini contro la maggior parte delle infezioni dei pesci, li ha impiegati in quantità, e nel 2013 ha prodotto 1,3 milioni di tonnellate di pesce ricorrendo solo a 972 chili di antibiotici. Una sproporzione che parla da sola.

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La decisione di comprare il prodotto altrove è anche data dalla maggior consapevolezza dei consumatori

Anche per questo le grandi catene americane, Costco in prima fila, hanno deciso di ridurre le importazioni dal Cile aumentando via via quelle dalla Norvegia. Fino a pochissimo tempo fa, circa il 90% dei 250.000 chili di filetti di salmone che Costco vendeva ogni anno arrivavano dal Cile, ma ora il 60% arriverà dal Mare del Nord, con un taglio drastico del salmone cileno. La decisione si iscrive nella ormai lunga serie di prese di posizione analoghe di diverse catene della grande distribuzione come Walmart, relative a carni, uova, latticini e pesce, e dipende dall’aumentata sensibilità dei consumatori verso le carni di allevamento e, al contempo, verso l’allarme per l’aumento dell’antibiotico-resistenza dei germi patogeni per l’uomo; anche la Piscirickettsiosi, che pure non colpisce l’uomo, sta diventando sempre meno sensibile ai farmaci.

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Gli ispettori della Food and Drug Administration hanno sempre promosso i salmoni cileni

Ma secondo gli allevatori sudamericani si tratta di una questione esclusivamente commerciale e di un allarme strumentale: i farmaci vengono dati solo ai pesci malati e sospesi mesi prima dell’arrivo sul mercato, al punto che non è possibile rilevarne traccia. In effetti, come si legge nel reportage della Reuters, gli ispettori della Food and Drug Administration inviati periodicamente negli allevamenti cileni hanno sempre promosso i salmoni. Ma secondo molti ambientalisti questo non basta a scagionare quel pesce.

Dal canto suo il Cile sembra godersi i numeri più recenti relativi alle vendite, che parlano di un 24% di aumento nel 2014 (per un totale di 4,4 miliardi di dollari), e investire su mercati alternativi a quello statunitense come il Brasile, scommettendo su due fattori: il fatto che in Sud America la richiesta di alimenti privi di antibiotici è ancora molto bassa, e che le condizioni economiche sono molto diverse, e rendono il salmone norvegese quasi inarrivabile, dal punto di vista dei costi. Una delle principali aziende del paese, la GPA, acquista 3,6 milioni di tonnellate di salmone all’anno da cui ricava 500 milioni di dollari e non sembra preoccuparsi della quantità di antibiotici presente. Sarà una scommessa vincente? Poco probabile, sul lungo-medio periodo.
Il governo cileno ha più volte affermato di essere consapevole della situazione, e di lavorare a soluzioni definitive. Ma, finora, non se ne vede traccia. E i salmoni continuano a crescere in un mare di antibiotici.

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