Action on Salt, l’agenzia britannica che promuove la diminuzione del consumo di sale, ha colpito ancora: nell’ultimo rapporto ha analizzato 119 tipi di snack venduti come “salutari” da 39 aziende, soprattutto contenenti legumi secchi, e ha scoperto che più della metà “salutare” non lo è, perché contiene valori alti (a volte estremamente alti) di sale, oppure di zucchero o di grassi saturi. I valori riscontrati sono chiari: il 43% degli snack ha un contenuto di sale che eccede i limiti consigliati (più di 1,5 grammi ogni 100 di prodotto) e nessuno può essere considerato “a basso tenore di sale”, perché nessuno ne contiene una quantità inferiore a 0,3 grammi su 100.
Nei test, gli snack sono stati suddivisi in due categorie: quelli a base di legumi essiccati o arrostiti (come i ceci o il mais o la soia edamame essiccati), che rappresentano la maggioranza (62 su 119) e quelli a base di legumi trattati (come le chips, i bastoncini e simili a base di piselli o ceci). I primi avevano un contenuto medio di sale pari a 1,28 g/100 g e, all’interno della categoria, quelli con mais erano i più salati, con 1,85 g/100. Per quanto riguarda il secondo gruppo (56 prodotti), il quantitativo medio di sale era ancora più alto: 2 grammi ogni 100, con un massimo di 3,6 g su 100 per uno degli snack.
Le medie nascondono comunque una realtà che è molto eterogenea: la concentrazione di sale variava di otto volte, passando, a seconda del prodotto, da 0,46 a 3,6 g/100 g. Analogamente, sembra evidente che i peggiori siano quelli a base di lenticchie, con un’oscillazione che va da 1,3 a 3,6 g/100. La concentrazione di sale, di per sé, potrebbe essere un parametro opinabile: dipende da quanto prodotto si mangia in un giorno (considerando che la quantità massima di sale, secondo le linee guida inglese, è 6 grammi al giorno per una persona di corporatura media). Per questo i ricercatori sono andati a verificare le porzioni suggerite: l’82% degli snack consiglia una porzione, il cui peso, di solito, è 25-30 grammi per quelli essiccati o arrostiti e 20 per quelli lavorati. Tuttavia il sale, in ciascuna di queste, è alto, in media 0,45-0,48 g/100, molto superiore: a quelli di un’analoga porzione di patatine fritte (che ne contiene 0,35) o di noccioline (0,39 g/100).
Secondo gli obbiettivi indicati dal Governo, le aziende hanno tempo fino al 2024 per ridurre il contenuto entro limiti accettabili. Action on Salt scrive che il 56% delle aziende lo ha già fatto, così come il 74% delle grandi catene che vendono prodotti a marchio. Ma, guarda caso, i due tipi di prodotti più indietro sono quelli con mais essiccato, solo il 25% dei quali è adeguato, e quelli con fagioli essiccati (solo il 33% è già in linea con gli obbiettivi).
Oltre al sale, poi, ci sono gli altri ingredienti. Se si indicasse il loro valore con un colore, il 60% meriterebbe un bel rosso fuoco, visto che sfora per gli zuccheri o per i grassi . Solo uno snack su tre, tuttavia, riporta sulla confezione l’etichetta a semaforo o a colori. Se non cambieranno ricetta, entro il 2022 saranno considerati non adatti ai bambini, e le loro pubblicità rientreranno nella fascia oraria serale, dopo le 21.
Infine, il dato più sorprendente: nonostante questa composizione tutt’altro che salutare, ben l’81% degli snack reca sulla confezione una qualche dicitura che gioca sull’effetto “halo”, cioè mira ad attribuire al prodotto proprietà benefiche. Per esempio, quella con più sale (i 3,6 g/100), scrive: “40% in meno di grassi, vegana e senza glutine”. Altre diciture comuni sono: senza zuccheri aggiunti, tutto naturale, senza additivi artificiali e in generale il 97% delle confezioni richiama qualche proprietà, o qualche assenza.
C’è insomma ancora molto da fare. Per questo Action on Salt invita ancora una volta il Governo e i produttori a fare di più, e meglio, anche tenendo conto che, a causa del lockdown, gli inglesi si sono abituati a mangiare più snack. In futuro i consumatori dovranno cambiare abitudini per non avere conseguenze sulla salute: la percentuale di chi mangia snack poco sani ogni giorno, secondo Public Health England, sarebbe passata dal 9 al 35%, come conferma indirettamente l’aumento di vendite del 2020, del 18,8%. I chili acquisiti in questo anno da parte di chi mangia snack regolarmente sarebbero stati, in media, tre.
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Giornalista scientifica