Ristoranti senza cuoco che servono piatti pronti. Pizzerie senza forno che usano pizze surgelate. Pesce di allevamento pagato come se fosse pescato in mare, ma il consumatore non lo sa!
Ristoranti senza cuoco che servono piatti pronti. Pizzerie senza forno che usano pizze surgelate. Pesce di allevamento pagato come se fosse pescato in mare, ma il consumatore non lo sa!
Eleonora Viganò 5 Novembre 2014A Venezia e in altre città ci sono ristoranti senza cuoco che servono ai clienti pasta, lasagne e pietanze di carne e di pesce comprati nel reparto surgelati all’ipermercato. Quando arriva in cucina il cibo viene riscaldato e poi con un’abile maquillage a base di salse e altri ingredienti finisce nel piatto dei clienti. Per le minestre e le zuppe si preferiscono i barattoli da 5 kg. In questi casi si travasa qualche mestolo nella pentola per riscaldare e poi si aggiungono olio e spezie. Ci sono anche finte “pizzerie” senza forno a legna dove si usano solo pizze surgelate riscaldate nel microonde. La stessa cosa avviene in alcuni “bar tavola calda” di Milano durante l’intervallo del pranzo. Il cliente è informato?
Premesso che tutti questi modi di fare il ristoratore sono leciti e anche la scelta dei prodotti da servire ai clienti è una scelta autonoma, l’unico problema è il modo di fare sapere al cliente in modo chiaro che in cucina si usano piatti pronti precotti e o surgelati o che il pizzaiolo non esiste. In Francia per cercare di risolvere il problema ed eliminare la confusione generata da questi nuovi ristoranti, una proposta di legge vuole differenziare i locali che usano piatti precotti surgelati e/o precucinati, da quelli dove in cucina c’è un vero cuoco.
Un altro elemento di scarsa trasparenza si riscontra in molti locali dove si serve pesce. Se anni fa si discuteva sull’opportunità di indicare sul menù il pesce surgelato, adesso si dovrebbe dire in modo chiaro se il pesce fresco è catturato in mare oppure è di allevamento. Pochi locali lo evidenziano anche se si tratta di un aspetto molto importante. Il pesce allevato in Grecia dove branzini e orate, grazie a diete supercaloriche crescono molto in fretta a discapito del gusto si paga 6-7 €/kg. I branzini e le orate di filiera allevati in Italia seguono schemi diversi per cui impiegano molto più tempo a raggiungere il peso forma e costano il doppio. La terza possibilità è mangiare un branzino o un’orata al cartoccio pescata in mare, che probabilmente ha un gusto migliore ma costa il triplo o il quadruplo (*)
Leggendo il menu il cliente dovrebbe capire subito se in cucina non c’è il cuoco, se la pizza è surgelata e che tipo di pesce si prepara tra i fornelli. Purtroppo non è così. Le rare volte che compaiono queste indicazioni sono proposte con caratteri tipografici microscopici quasi invisibili. Il vero elemento in comune tra vecchi e nuovi ristoratori è il conto da pagare, visto che i prezzi sono simili . Forse le associazioni di categoria e il legislatore dovrebbero intervenire per chiarire la situazione.
(*) Branzini e orate di filiera controllata italiana per arrivare alla pezzatura di 450/550 g impiegano qualche mese in più rispetto agli allevamenti greci e turchi. Questo comporta maggior costi ma il risultato finale è diverso, perché il contenuto di grasso e il sapore di questi pesci allevati risulta più simile al pesce catturato in mare. Il prezzo, però, lievita: se il branzino di allevamento greco di taglia standard costa 7-8 €/ kg, quello di filiera cresciuto in modo controllato oscilla tra 10 e 14 €/ kg, mentre il selvatico, quando lo si trova, si attesta sui 20-25 €/kg.
Roberto La Pira
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redazione Il Fatto Alimentare
Beh, per non distinguere una pizza “vera” da una surgelata ci vuole un palato asfaltato 🙂
Comunque il cliente “accorto” dovrebbe sospettare qualcosa se la pizza arriva al tavolo dopo 3 minuti … ovvero se gli offrono l’orata a meno di 15 euro.
Perché la questione di fondo è sempre il prezzo: premesso che il costo della materia prima incide fino a un certo punto sul conto (salvo eccezioni o cibi “pregiati”) tutti quei ristoranti-mensa che offrono pasti fissi (con primo, secondo, contorno, acqua) a 10-12 euro difficilmente servono primizie biologiche appena colte, paste trafilate al bronzo o pesce appena abboccato. E sarebbe ingenuo il cliente a pensarlo. Ma rimane sempre il gusto e il giudizio di chi consuma il pasto. Era buono, ben cucinato, ci torno, altrimenti …
Certo, se poi uno spende 100 e passa euro per una cena di pesce fatta con i surgelati della Metro
Interessante e credo anche io che il cliente debba essere informato: dalla conoscenza nasce la libertà di scelta.
Credo, comunque, che la questione “apro e scaldo” o “scongelo e scaldo” sia del tutto normale e soprattutto non diversa da quel che accade in molte case.
Visto che di prodotti pronti se ne vedono sempre di più nei super probabilmente nessuno troverà strano ritrovarseli serviti in un locale!
Senz’altro il cliente dovrebbe essere informato, anche se a Venezia era ovvio anche alla vista che certe pizze erano surgelate. Poi se si va a pranzo in una trattoria che propone menù completo a 8-10 auro è ovvio che il cibo proposto non può che essere di un certo tipo. Il punto è che non vorrei mai ritrovarmi una zuppa surgelata in un ristorante che me la fa pagare 20 euro
Attenzione, l’equazione spendo tanto mangio bene, spendo poco mangio male e’ fasulla. Con 12 euro si puo’ tranquillamente mangiare cose buone e sane, dipende da tanti fattori.
A fine estate mentre costeggiavo il lago di Como mi fermai in un ristorante.
Ordinai una pizza e con disappunto mi trovai sul piatto
una pizza dura come la suola delle scarpe che sopra si sfaldava, mi sono lamentata e me ne hanno portata un’altra più morbida ma insapore. Guardandola bene ho capito che era di quelle surgelate. Ho provato ad ordinare un primo piatto risotto con pesce persico, ma il pesce impanato sopra il riso era una sogliola. Che dire, non ci andrò mai più in quel posto, ma protestare non serve a niente.
In generale nessun ristorante che abbia mai visto fornisce una vera lista degli ingredienti dei propri piatti, eccetto che nella sezione delle pizze, forse. E’ proprio un’abitudine, questa fiducia un po’ cieca nella qualità del locale, come se mangiar fuori significasse per forza più qualità che non comprare in negozio e scaldare/preparare da sé (logicamente dovrebbe essere il contrario, visto che nelle cucine dei ristoranti il cliente non vede, ad eccezione di certi locali esotici con griglia a vista, che però sono nati quasi più per essere scenografici che per una questione di trasparenza)
Da anni la ristorazione grande e piccola attinge all’industria di prodotti per catering (fate un giro a CIBUS) e ad aziende che forniscono piatti pronti, anche per poter inserire nel menu ricette a scelta numerica ridotta che prodotte in loco avrebbero costi proibitivi.