Non capita spesso che uno studio italiano conquisti la copertina di una delle riviste più importanti del settore, Nature Food. È accaduto in dicembre, grazie a un lavoro del Politecnico e dell’Università di Milano, interamente dedicato a possibili fonti alternative di mangimi per animali provenienti da materiali circolari, cioè riciclare gli scarti. Se tali materiali fossero davvero sfruttati appieno, ci sarebbero grandi vantaggi non solo a livello locale, ma anche sul clima, sulla sicurezza alimentare e in generale sul sistema della produzione di cibo.
Le valutazioni e le stime, fatte dal gruppo chiamato Glob3Science (da Global Studies on Sustainable Security in a Changing Environment ) insieme con gli istituti di idrologia e di nutrizione dell’ateneo lombardo, sono partite da alcuni dati relativi alla competizione tra proteine per esseri umani e proteine e altri nutrienti per animali da allevamento.
Proteine animali
Le proteine di origine animale rappresentano il 16% della richiesta mondiale di cibo. Tuttavia, la loro produzione consuma molto di più del 16%,ma ben un terzo delle risorse agricole, ed è responsabile di tre quarti del consumo di suolo, perché per nutrire gli animali si utilizzano quasi solo mangimi ottenuti appositamente in terreni coltivati ad hoc. E questo significa deforestazione, perdita di biodiversità, emissioni, consumo di acqua e suolo. E competizione, perché quegli stessi vegetali potrebbero essere direttamente destinati alla nutrizione umana.
Per uscire da questa sistema in perdita, c’è una soluzione a portata di tutte le filiere agricole: il riutilizzo degli scarti, che vengono quasi sempre eliminati o destinati a impieghi meno nobili. Lo studio dei ricercatori milanesi dimostra appunto che, se si sfruttassero almeno in parte materiali come la crusca dei cereali, la polpa delle barbabietole da zucchero, la melassa, i residui di cassava, quelli delle distillerie e la polpa degli agrumi, l’effetto sarebbe molto rilevante. In particolare, se si sostituisse tra l’11 e il 16% dei mangimi ad alto impatto ambientale con questi prodotti, tutti a elevato valore nutrizionale, si potrebbero risparmiare tra i 15,4 e i 27,8 milioni di ettari di suolo, evitando di usare acqua per irrigare per un volume compreso tra i 3 e i 19,6 km3, e di sfruttare acqua piovana per un volume compreso tra 74,2 e 137,8 km3.
“Riciclare i sottoprodotti della produzione agricola” ha commentato Camilla Govoni, ricercatrice del Politecnico di Milano, “significa diminuire la competizione tra proteine destinate agli animali e all’uomo, e aumentare la disponibilità di cibo per quest’ultimo. E disporre di più cibo significherebbe aumentare la sicurezza alimentare in molti paesi”.
Riciclare anche per l’ambiente
Marina Cristina Rulli, docente di idrologia e coordinatrice del Glob3Science, ha invece ricordato che “Ridurre l’impatto delle colture da destinare all’alimentazione animale apporterebbe vantaggi non solo localmente, ma anche su larga scala. Ridurre la necessità di cibo grazie alla maggiore disponibilità significherebbe anche trasportarne di meno, con benefici socio-economici ed ambientali. Inoltre, contribuirebbe ad attenuare l’eccesso di pressione sui terreni e sulle acque, nonché a diminuire la deforestazione, e i conseguenti effetti sulle emissioni e sulla biodiversità. Tutto ciò è particolarmente importante in questo momento, in cui molti paesi devono fare i conti ancora con le conseguenze della pandemia e, soprattutto, con quelle della guerra in Ucraina, cui si aggiungono gli effetti degli eventi climatici estremi, sempre più frequenti”.
“L’approccio” ha concluso Luciano Pinotti, docente di nutrizione dell’Università di Milano, “deve essere quello di una nutrizione animale intelligente (smart animal nutrition), e la ricerca deve fornire soluzioni per ottenere mangimi per animali senza aggravare la situazione ambientale e l’impatto della produzione di proteine animali. È necessario quindi ottimizzare l’impiego dei nutrienti lungo tutta la catena alimentare, e ragionare non più in un’ottica di competizione, ma in una di sinergia e complementarietà. Dobbiamo arrivare a un approccio One Nutrition”, che tenga insieme i diversi elementi all’insegna della circolarità.
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Giornalista scientifica
Anche se i disciplinari delle denominazioni protette possono escluderne alcuni, da sempre l’allevamento utilizza sottoprodotti della produzione agroalimentare: paglie, crusca, melassa, polpe di barbabietola, borlande, prodotti secondari della lavorazione di frutta e ortaggi, della fermentazione e dell’estrazione degli oli (trebbie di birra, vinacce, panelli di semi oleosi degrassati ecc.).
Il riciclo dei sottoprodotti è pacificamente una pratica del tutto condivisibile, ma vanno considerati altri aspetti non secondari.
Per il necessario equilibrio della razione l’apporto di sottoprodotti va titolato e vanno esaminati sia l’effettiva biodisponibilità dei nutrienti presenti nei sottoprodotti che l’impatto sull’ecosistema microbico ruminale.
Attenzione va prestata anche al ruolo di questi alimenti sulle performance del prodotto finale: è da quel che mangiano le vacche che dipendono il profilo degli acidi grassi saturi, insaturi e degli antiossidanti del latte, ma anche quello tecnologico (per esempio le proprietà di coagulazione) e organolettico.