Ultimamente si sente molto parlare di “reverse diet” o dieta inversa, ma di che cosa si tratta? Di seguito proponiamo un articolo pubblicato originariamente dall’Almanacco della Scienza, il web magazine del Cnr, che approfondisce l’argomento.
Mantenere il peso forma o, se si è in sovrappeso, perdere i chili di troppo. È il desiderio di tutti, ma riuscire a realizzarlo non è semplice, sia perché le limitazioni caloriche sono faticose da rispettare, sia perché spesso, una volta raggiunto l’obiettivo, quando si sospende il regime alimentare dimagrante si riacquistano i chili persi con tanti sacrifici o addirittura se ne riprendono di più. Tutto questo causa scoraggiamento e instaura di frequente un rapporto conflittuale con il cibo. Di recente però, in aiuto di quanti vogliono dimagrire, è stato proposto un metodo che promette di essere meno faticoso da rispettare e in grado di evitare il frustrante riacquisto dei chili persi: la “reverse diet” o dieta inversa. Si tratta di un modo controllato e graduale per passare da una dieta dimagrante a basso contenuto calorico a una di mantenimento, più vicina all’alimentazione abituale. A spiegarci meglio in cosa consiste questo regime dietetico sono Rosalba Giacco e Beatrice De Giulio dell’Istituto di scienze alimentari (Isa) del Consiglio nazionale delle ricerche.
“Secondo la dieta inversa, l’aumento graduale dell’apporto calorico a seguito di un deficit consentirebbe all’organismo di adattare il proprio metabolismo energetico, in modo da poter evitare di recuperare peso mangiando di più”, chiarisce Giacco. “Questo tipo di dieta comporta un incremento molto graduale delle calorie, principalmente dei carboidrati. Uno degli schemi più utilizzati prevede di aggiungere circa 20-25 g di carboidrati (80-100 kcal) un giorno a settimana, fino ad arrivare, dopo 7 settimane, a un aumentato introito calorico settimanale pari a 560-700 kcal rispetto al valore di partenza. Dall’ottava alla quattordicesima settimana si ripete lo stesso procedimento, fino ad arrivare a un apporto calorico normale”.
La reverse diet viene utilizzata prevalentemente dagli sportivi, in particolare da quanti praticano bodybuilding, attività fisica in cui è fondamentale limitare l’aumento della massa grassa. Non esistono però conferme scientifiche della validità e dell’efficacia di questo regime alimentare. “Alla base della dieta inversa c’è la teoria che il metabolismo basale di una persona, ossia l’energia di cui l’organismo ha bisogno per mantenere le sue funzioni vitali a riposo, abbia una soglia biologicamente determinata. E che, se questa viene superata, si aumenta di peso”, continua la ricercatrice del Cnr-Isa. L’idea è che la dieta inversa possa invece resettare questa soglia, spostandola verso l’alto mediante l’incremento lento della quantità di calorie introdotte con il cibo” “Tutto ciò teoricamente adatterebbe il metabolismo della persona, consentendole di consumare più cibo e calorie senza prendere peso”.
Ma è davvero possibile modificare il metabolismo basale attraverso cambiamenti nell’alimentazione? Questa teoria non è supportata dalla ricerca. “Diversi, infatti, sono i fattori che influenzano il peso corporeo e il metabolismo energetico delle persone: l’esposizione all’ambiente, la quantità e qualità del cibo a cui si ha accesso, il tipo di attività fisica e la genetica. Alcuni di questi fattori sono modificabili, ma altri no”, spiega Giacco. Il peso corporeo, ad esempio, è influenzato principalmente dal metabolismo energetico a riposo (basale) che rappresenta circa il 60% -70% delle calorie utilizzate quotidianamente e che è, a sua volta, determinato principalmente dall’età, dal peso, dal sesso e dalla massa muscolare: la dieta ha scarso effetto su di esso. Mangiare al di sotto del metabolismo basale comporta sicuramente una perdita di peso, come mangiare al di sopra di esso porta a un aumento. Il metabolismo basale cresce e si riduce con la massa muscolare: una persona che ha più muscoli necessita di più calorie. L’esercizio fisico aumenta il fabbisogno energetico, ma di solito non influenza in modo rilevante il peso, tuttavia, un aumento dell’attività fisica costante e prolungata nel tempo contribuisce al mantenimento del peso. Anche una dieta ricca di proteine è in grado di innalzare il metabolismo energetico, ma sono il peso corporeo e la massa muscolare ad avere l’effetto maggiore su di esso”.
Processi multifattoriali, quindi, sui quali è difficile intervenire. Al momento non esistono prove che l’introduzione lenta di un numero maggiore di calorie riesca a modificare il metabolismo: se si accresce l’introito calorico, si ingrassa. La dieta inversa può però costituire un supporto per affrontare altri tipi di problematiche alimentari. “Potrebbe aiutare a gestire i problemi di appetito, ma anche a dare una percezione di controllo, rendendo più sicuri e aiutando a uscire dal circuito vizioso di diete restrittive. In alcuni casi, contare le calorie o aderire a una dieta fortemente restrittiva può causare un rapporto malsano con il corpo e con il cibo, portando all’ortoressia, a un’ossessione per l’alimentazione sana, all’ansia di dover rendere conto di ogni caloria introdotta”, conclude De Giulio.
di R. B., Almanacco della Scienza
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Sono un medico, Primario Emerito di Nutrizione e Dietologia dell’ospedale San Camillo di Roma vostra affezionata lettrice da anni e socio sostenitore anche se non per cifre elevate ma costanti nel tempo!
Scrivo a proposito dell’articolo sulla “Reverse diet” che mi ha lasciato piuttosto stupita sia per il nome decisamente fantasioso che per l’articolo portato a supporto di tale pratica. Intendo dire che senza bisogno di nuove definizioni il metodo indicato è da sempre sostenuto ed utilizzato di che di Dietologia si intende in maniera serie e competente: ogni paziente arrivato alla fine del suo percorso dimagrante viene di solito istruito (almeno da chi sa fare questo mestiere) ad aumentare gradualmente il suo apporto calorico e soprattutto il suo apporto in carboidrati abitualmente la categoria più penalizzata nei regimi ipocalorici. Si porta così il paziente nel giro di alcune settimane ad un livello calorico corretto ed adatto al suo stile di vita ciò senza che si definiscano a priori il numero di settimane necessarie ( 7-10-14!!) e senza che nuovamente il paziente sia legato a regole e numeri predefiniti ! Ogni paziente è un soggetto a se e sta al medico definire il tempo necessario per raggiungere un corretto equilibrio.
Spero che questa mia non sia ritenuta critica al vostro utile lavoro ma vorrei che la Dietologia importante settore della Medicina venisse considerata da tutti con maggiore serietà e meno definita con nomi di fantasia e regole empiriche
Cordialmente