La proposta di portare fino a 210 kg di peso, dopo 9 mesi i maiali destinati a diventare prosciutto di Parma e San Daniele aumentando di circa 30 kg i limiti attuali è un “salto nel buio”. La frase mi è stata detta in una conversazione con uno dei responsabili di un’importante associazione di categoria impegnata nelle filiere Dop. Questa tesi che ilfattoalimentare porta avanti da mesi trova un riscontro nell’assenza di dichiarazioni sul fatto che le cosce di animali provenienti da una genetica a crescita rapida siano adatte a una stagionatura come quella dei prosciutti di Parma e San Daniele.
Ma allora quali sono i motivi che hanno spinto i due consorzi a introdurre questa novità nelle proposte di nuovi disciplinari inviati al Ministero delle politiche agricole. In genere le regole si cambiano per tutelare il prodotto, per migliorare la qualità, per introdurre correttivi legati al processo produttivo e al benessere animale, mantenendo ferme le caratteristiche salienti. In effetti molti elementi presenti nei nuovi disciplinari vanno in questo senso e lo abbiamo già evidenziato, ma l’incremento di 25-30 kg del peso massimo consentito non trova ragione di essere. Chi sono gli esperti sentiti per stabilire che i prosciutti provenienti da questi animali sono migliori? Quali gli argomenti a favore? Che studi sono stati fatti? Si tratta domande senza risposte.
Docenti universitari, esperti di alimentazione animale, di zootecnia e gli stessi prosciuttifici interpellati su questo argomento non si esprimono o non rilasciano dichiarazioni. Un analogo quesito rivolto a due dirigenti persone del Crea che da anni seguono la suinicoltura rimane lettera morta. Alcuni esperti del settore da noi interpellati ritengono opportuno restare fuori da un problema troppo complicato. Altri hanno ribadito che il suino pesante è quello definito nel disciplinare e che la tradizione va rispettata, ma hanno chiesto di non essere citati.
Chi sostiene la necessità di aumentare il peso lo motiva dicendo che dal 1992 anno di adozione dei disciplinari la genetica è cambiata, che il benessere animale ha favorito l’incremento di peso, che i mangimi sono migliorati, ecc. Tutto ciò è vero, ma si tratta di argomentazioni che non possono giustificano un incremento di 25-30 kg come viene proposto.
Per rendersi conto di quanto siano deboli queste motivazioni, basta ricordare che un anno fa c’erano oltre 2 milioni di cosce provenienti da maiali a crescita rapida considerate inadatte dal personale dell’IpQ a diventare prosciutti Dop (il 20% circa della produzione nazionale). Da quando i controlli ci sono e le regole vengono applicate il valore è sceso al 4%. Il motivo del calo vertiginoso è che gli allevatori hanno smesso di usare genetiche di maiali a crescita rapida vietate dal disciplinare pur mantenendo identiche le condizioni di benessere animale e la razione giornaliera.
Un dirigente dell’Icqrf del Mipaaf ha ribadito nel programma sulla tv svizzera Patti chiari del 29 novembre scorso che la truffa del prosciutto Dop dura da almeno due anni. La stessa cosa è stata confermata dal procuratore di Pordenone e dal comandante dei Nas e tutti hanno fatto riferimento all’incremento anomalo del peso dei maiali come problema principale. Di fronte a queste evidenze i consorzi del prosciutto di Parma e San Daniele propongono nuove norme per legalizzare l’uso di animali a crescita rapida, causa principale dello scandalo di Prosciuttopoli! C’è qualche cosa che non quadra. Ci aspettiamo delle risposte da chi in questi anni anziché sorvegliare e controllare la filiera, non si è accorto di uno scandalo che ha rischiato di fare perdere la Dop al prosciutto di Parma e di San Daniele.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Proprio qualche giorno fa, in una gastronomia di alto livello dove compro occasionalmente, ho chiesto un parere al gestore (che è anche un amico) in merito alla vicenda “prosciuttopoli”.
In confidenza, mi ha detto che il suo fornitore di crudo di Parma continuerà ad usare razze a crescita più lenta; che quelle a crescita rapida e peso finale più alto alterano significativamente le proprietà organolettiche del prodotto finale; e che lo stesso produttore, come altri di fascia alta, sta considerando la possibilità di uscire dal consorzio di Parma e crearne uno che garantisca prosciutti “old style”.
Lascio a chi ne sa più di me considerazioni più approfondite, ma personalmente questa mi è sembrata una netta conferma dei dubbi avanzati dal Fatto Alimentare.
Sarebbe come ammettere che fino ad oggi il disciplinare ha sostenuto ca**ate, dicendo che il maiale X era migliore e altri (tra cui quelli che ora vorrebbero consentire) peggiori perchè “non consentiti dal disciplinare”. Il DOP non assicura ormai nulla in termini di qualità, sono prosciutti fatti spesso con animali allevati malissimo (come scoperto diverse volte), e in MILIONI di casi i produttori più furbi hanno spacciato cosce non consone come prosciutti DOP, frodando e arricchendosi.
Chi vuole la qualità è meglio che si dia da fare, che cerchi dei veri artigiani che fanno prodotti di vera qualità, partendo da animali allevati ben diversamente. E il fatto che non abbiano certificazioni e menate varie non significa nulla, tantomeno che siano inferiori ai DOP. Anzi. (Ovviamente c’è da valutare bene caso per caso).
Esatto. E’ un po’ come per il vino: alcune produzioni locali, curate e ben fatte, superano di diverse lunghezze certe DOC da discount a 2.99/litro.
Come Volevasi Dimostrare il Consorzio si vuole appiattire sulla frode, in modo da far rientrare a norma i 2 milioni di cosce fuori norma attualmente non marchiabili (o fraudolentemente marchiate).
Di questo passo nasceranno nuovi marchi in concorrenza fra loro. La concorrenza va bene , ma se genera confusione sarà un disastro.
Fino a 50 anni fa il maiale era grasso come un maiale. Comperavo il lardo alto 10 cm. adesso lo trovi alto 2 c. insaporito da erbe varie, ma non sa più di lardo è un “prodotto”. Pian piano i maiali sono diventati magri, i salumieri sono diventati salumifici con dirigenti laureati in economia nella migliore Università e quindi attenti alla cassa ma non all’eccellenza dei prodotti e con la complicità della grande distribuzione noi consumatori non troviamo più la salsiccia rosa macinata fine e di diametro doppio a quello della luganega i salami e i cotechini con aglio e vino salvo forse che nelle salumoreficerie del centro di Milano o di Cremona. anzi nella zona del cremonese non sanno neanche più cos’era il”salsisson”. E non proseguo per pura carità cristiana
Ho guardato tutta la trasmissione Patti Chiari e ne ho tratto la convinzione che avesse l’ obbiettivo di promuovere il prosciutto del Ticino- prodotto senza disciplinare e che costa il doppio di quello di Parma.
Alessandro2 ha ragione, conta la qualità, ma in tutta questa vicenda dei maiali di ceppo danese, non ho mai letto nessuna verifica che dimostrasse che i prosciutti “contraffatti” fossero peggiori di quelli a norma. Non vedo quindi perchè le norme non possano essere adeguate alle tecniche più moderne. Il prosciutto di Parma è un prodotto di qualità, ma industriale, prodotto con animali allevati con mangimi, stagionati in ambienti ad atmosfera controllata.