La Commissione europea, Direzione generale per la Salute e tutela del consumatore, ha pubblicato online una serie di domande e risposte per chiarire le nuove regole sui farmaci tradizionali di origine vegetale che alla fine di aprile, quando scadrà il periodo transitorio, diventeranno definitive. Riemerge tuttavia una contraddizione ancora irrisolta: la registrazione dei farmaci tradizionali di origine vegetale è assai più semplice di quella di alimenti e integratori con ben più moderate indicazioni relative alla salute.
Piante e fiori, erbe e radici possono curare ma anche nuocere o avvelenare. La legislazione farmaceutica europea si occupa perciò di garantire sicurezza, efficacia e qualità anche di tali rimedi che, al contrario di quanto molti pensano, non sono privi di effetti collaterali e possono interagire con i farmaci, annullandone gli effetti o creando problemi di tossicità.
Nell’ambito dei prodotti medicinali a base di erbe, sono classificati come farmaci tradizionali di origine vegetale quelli:
– con una storia di utilizzo almeno di 30 anni, 15 dei quali in UE;
– destinati all’uso senza bisogno di una supervisione medica né infermieristica (iniezioni).
Alcuni esempi delle piante impiegate nei farmaci tradizionali di origine vegetale sono la Calendula officinalis, l’Echinacea purpurea, l’Hamamelis virginiana, la Mentha piperita. Tra le forme d’uso, ci sono gli infusi e decotti delle nostre nonne, come pure i prodotti medicinali a base vegetale delle tradizioni cinese, tibetana e aiurvedica.
La c.d. Herbal Directive (direttiva 2004/24/CE) è stata adottata per semplificare le procedure a garanzia della salute pubblica per i prodotti erboristici tradizionali (1). La procedura semplificata consente infatti di registrare questi prodotti senza bisogno di produrre prove della loro sicurezza e test clinici per dimostrarne l’efficacia, come invece è previsto per l’autorizzazione di nuovi prodotti medicinali che pure si basino sulle erbe. Basta invece presentare documenti nei quali si indichi la non-nocività dei prodotti, nelle condizioni d’uso specificate, e la loro plausibile efficacia sulla base di studi osservazionali. In ogni caso, le autorità sanitarie dei Paesi membri possono chiedere informazioni aggiuntive, ogni volta che lo ritengano necessario per accertare la sicurezza di un prodotto.
La direttiva ha accordato un lungo periodo transitorio ai rimedi erboristici tradizionali. Quelli che già si trovavano sul mercato alla data del 30 aprile 2004 sono stati ammessi a rimanervi fino al 30 aprile 2011: data ultima entro la quale gli operatori interessati devono spedire la domanda di registrazione dei farmaci tradizionali di origine vegetale alle Autorità sanitarie competenti, in Italia cioè al ministero della Salute.
La registrazione è dunque affidata agli Stati membri mentre il Committee for Herbal Medicinal Products (Hmpc, costituito a settembre 2004 presso la European Medicines Agency) compilerà un inventario europeo dei farmaci tradizionali di origine vegetale registrati in Ue, per consentire la loro circolazione all’interno del Mercato unico. Lo stesso Hmpc si occuperà inoltre di aggiornare questo database, a seguito di apposite istanze degli operatori.
Dal 1° maggio 2011 i farmaci tradizionali di origine vegetale non registrati saranno dunque fuorilegge. Bisogna tuttavia ricordare che erbe e preparati erboristici – quando non siano presentati come capaci di curare o prevenire le malattie, e non producano un’azione farmacologia, immunologia o metabolica – possono venire legittimamente impiegati nella produzione di alimenti e integratori alimentari, nel rispetto delle normative applicabili a garanzia della loro sicurezza (in particolare, la dir. 2002/46/EC in tema di integratori alimentari).
Riaffiora tuttavia un problema che il Fattoalimentare.it ha più volte segnalato, ma la Commissione europea e l’Efsa non sono ancora riuscite a risolvere, pur avendone dato atto: perché è possibile vantare le doti miracolose di un farmaco tradizionale di origine vegetale limitandosi ad attestare il suo uso pregresso e la sua “plausibile efficacia”, mentre per citare notizie assai più blande relative a un alimento è necessario sottoporre all’Efsa prove cliniche e ricerche pubblicate, nell’attuale regime di applicazione del reg. (CE) n. 1924/06 su “nutrition & health claims”?
Senza incoerenza non c’è vita, ammoniva il Grande Timoniere da Piazza Tienanmen mezzo secolo fa. Ma i tempi sono cambiati, e la scienza ha fatto passi da gigante. Confidiamo perciò che la Commissione europea e l’Efsa possano trovare una soluzione equilibrata e ragionevole.
Dario Dongo
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(1) La direttiva in questione è stata recepita in Italia mediante d.lgs. 24 aprile 2006 n. 219,“Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 21 giugno 2006, Supplemento Ordinario n. 153
Per maggiori informazioni:
http://ec.europa.eu/dgs/health_consumer/docs/traditional_herbal_medicinal_products_en.pdf
Articoli sull’argomento apparsi in Ilfattoalimentare.it:
Qualche interrogativo sui criteri di valutazione dell’Efsa per le diciture sulle etichette
Indicazioni salutistiche in etichetta: in attesa di sintonia