Lo scorso gennaio una comunità di agricoltori thailandesi, in collaborazione con il dipartimento di scienze animali dell’Università di Chiang Mai, ha provato a somministrare la cannabis (Cannabis sativa) a un gruppo di 1.000 polli d’allevamento contagiati da un’epidemia di bronchite aviaria nonostante avessero già ricevuto l’antibiotico. L’idea è di Ong-ard Panyachatiraksa, proprietario di una fattoria biologica a Lampang, nella regione settentrionale del Paese, autorizzato a coltivare cannabis terapeutica. Questo signore non sapendo cosa fare con gli scarti del raccolto della canapa terapeutica ha pensato di sfruttarne gli effetti benefici per migliorare la salute dei suoi animali.
Le foglie di canapa sono state proposte agli animali in formulazioni diverse, per sfruttarne al meglio i principi attivi, con l’intento di migliorare l’immunità dei polli senza avere effetti negativi. Una parte degli scarti della pianta è stata schiacciata e aggiunta direttamente nel mangime. L’altra è stata bollita per ottenere un’“infusione” da aggiungere all’acqua. In entrambi i casi i livelli di tetraidrocannabinolo (Thc), la sostanza psicoattiva della pianta, e di cannabidiolo (Cbd), ansiolitico naturale oscillavano dallo 0,2 allo 0,4%. I risultati sono stati positivi e sembrano persino aver superato le aspettative dei ricercatori e degli allevatori thailandesi. I polli non si sono più ammalati anche senza antibiotici e la loro carne e le uova sono di risultati di qualità migliore, tanto che nei mercati agricoli locali, sono venduti a un prezzo doppio rispetto agli altri.
Non è la prima volta che la Cannabis sativa viene utilizzata in via sperimentale come integratore alimentare in ambito zootecnico per migliorare la salute degli animali e la qualità delle produzioni. In Italia un tentativo simile è stato fatto nel 2014-2015 presso l’Azienda Agricola “Silvia O.” Massa d’Albe (AQ), dove grazie ai finanziamenti della Regione Abruzzo e al supporto dell’allora CRAB (Consorzio di ricerche applicate alla biotecnologia) – oggi CRUA (Consorzio di ricerca unico d’Abruzzo)- si è provato a integrare la dieta standard di polli e galline ovaiole con l’aggiunta di semi di canapa. Dai risultati dell’analisi nutrizionale, le uova e la carne ottenute dagli animali alimentati con questa integrazione sono risultate più povere di grassi saturi, maggiormente ricche (fino al doppio) di acidi grassi essenziali polinsaturi omega-3 e omega-6 rispetto a quelle tradizionali, e quindi più più salutari per il consumatore.
Negli Stati Uniti i ricercatori della Kansas State University hanno fatto di recente un esperimento simile sui bovini, alimentandoli con cannabis ad alto contenuto di acido cannabidiolico (Cbd). I capi nutriti con la nuova dieta risultano essere più rilassati e hanno in circolo livelli minori di biomarcatori legati allo stress e all’infiammazione. Ciò significa che il loro stato di salute generale è migliore, che il sistema immunitario è più efficiente e che l’organismo è meno esposto agli attacchi di patogeni esterni, fonti di malattie contro le quali sarebbe necessario l’uso di farmaci. Se nella zootecnia occidentale l’introduzione stabile della cannabis nell’alimentazione degli animali resta un’ambizione futuribile, resa poco urgente dalle stringenti norme relative all’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti, in Oriente potrebbe diventare una realtà a partire proprio dalla Thailandia.
Il Paese, da sempre proibizionista in tema di droga, ha visto di recente (nel gennaio 2022) un allentamento delle leggi contro la cannabis. Fumarla per scopo ricreativo è ancora proibito, ma la coltivazione è stata depenalizzata, così come l’utilizzo a scopo medico e la vendita di marijuana e di cibo e bevande che la contengono, a patto che la percentuale di tetraidrocannabinolo resti al di sotto dello 0,2%. In più il Paese asiatico può contare su una tradizione locale visto che i benefici medicinali e culinari della cannabis sono noti da tempo, tanto che le foglie sono da sempre aggiunte alle zuppe di noodles di pollo per dargli più sapore.
A favorire la prospettiva di un uso zootecnico della cannabis contribuisce anche il rinnovato allarme lanciato da diversi enti internazionali, tra cui l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) nei confronti del problema della resistenza ai farmaci antimicrobici e all’antibioticoresistenza. Un problema che in Thailandia faceva registrare migliaia di vittime all’anno, e che tuttora, in attesa di norme più stringenti sull’uso degli antibiotici, spinge a cercare alternative efficaci e meno dannose in ambito alimentare. A differenza degli antibiotici, la cannabis non sembra lasciare residui nel cibo, ma sono necessarie ulteriori ricerche per capire meglio i meccanismi benefici di questa pianta sulla salute degli animali, per stabilire in che modo potrà sostituire i farmaci e per individuare la giusta quantità da utilizzare per ottenere i risultati sperati senza incorrere in eventuali effetti collaterali. Tra curiosità, dubbi e inevitabili dibattiti, resta da capire se e come il suo impiego è applicabile ad altre specie animali e come farlo collimare con l’esigenza, manifestata anche nell’Unione europea, di orientarsi verso coltivazioni e metodi di allevamento più puliti, in grado di proteggere l’ecosistema insieme ai consumatori.
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