Si chiama Pascalina ed è la pizza ideata dai nutrizionisti dell’Istituto nazionale dei tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli per condensare, nel piatto italiano più famoso al mondo, i principi della Dieta Mediterranea con le linee guida della World Cancer Research Fund e con le più recenti evidenze scientifiche sul ruolo della dieta nella prevenzione dei tumori. La ricetta si ispira alla cucina del Cilento degli anni Sessanta, ricca di ingredienti di origine vegetale e povera di prodotti di origine animale, sana, ma al tempo stesso sfiziosa. Come ci spiega Livia Augustin, ricercatrice nutrizionista che ha ideato la ricetta, “la pizza Pascalina contiene ingredienti ricchi di sostanze bioattive a cui diverse ricerche riconoscono proprietà antitumorali come antiossidanti (composti fenolici, clucosinolati, clorofilla, licopene, selenio, zinco e vitamina E), grassi insaturi e fibre insolubili”.
Per prepararla occorrono farine poco raffinate, pomodori, friarielli (o altre crucifere), olive, noci, olio extravergine di oliva, aglio e peperoncino; tutti alimenti tipici del territorio, considerati farmaci naturali grazie ai loro effetti preventivi nei confronti delle malattie cardiovascolari e oncologiche (in particolare tumori del colon-retto, dello stomaco, della prostata, del pancreas e del seno). Una pizza Pascalina garantisce il giusto apporto di tutti i nutrienti essenziali per la salute previsti dalla Dieta Mediterranea: carboidrati non raffinati, grassi monoinsaturi e polinsaturi omega 3, proteine vegetali, vitamine e minerali. Inoltre contiene glucosinolati, sostanze antitumorali contenute nelle crucifere (friarielli, broccoli, cime di rapa e simili) da cui deriva il sulforafano, un composto chimico che stimola gli enzimi con cui le cellule eliminano le sostanze tossiche e ne riducono la carcinogenicità. Infine fornisce ben 15 dei 30 g di fibra alimentare che un adulto dovrebbe consumare quotidianamente.
Ovviamente, puntualizza l’esperta, “questa pizza rappresenta un pasto completo. Contiene una delle tre porzioni di verdura giornaliere consigliate dalle linee guida internazionali, apporta circa 900 calorie e può essere consumata fino a due volte alla settimana, purché sia inserita all’interno di una dieta equilibrata e associata a regolare attività fisica”. Presentata nel 2018 al Napoli Pizza Village, oggi la pizza Pascalina si può trovare anche in locali e ristoranti al di fuori del capoluogo campano (uno è persino a New York). Rappresenta al tempo stesso un simbolo della corretta alimentazione e un veicolo per sostenere la ricerca contro i tumori, visto che, per ogni Pascalina venduta, un euro è destinato a questo scopo.
Si può fare anche a casa, in versione originale o personalizzandola con varianti ugualmente salutari. Per ogni pizza occorrono: 100 g di farina di frumento di tipo 1, 50 g di farina di frumento tipo 2, 80 g circa di acqua tiepida, 5 g di lievito madre (o lievito di birra fresco), 120 g di friarielli (o broccoli o cime di rapa), 100 g di pomodori San Marzano o Corbara freschi, 30 g di pomodori secchi, 30 g d’olio extravergine d’oliva, 30 g di olive nere di Caiazzo (presidio Slow Food), 20 g di noci sgusciate (o quattro filetti di acciuga). Il procedimento prevede di disporre a fontana le farine, versarvi al centro il lievito sciolto nell’acqua, aggiungendo anche un cucchiaio d’olio e un pizzico di sale. Impastare e lasciare lievitare per quattro ore, prima di stendere l’impasto su una teglia rivestita di carta da forno e oliata, cospargerla con la crema ottenuta frullando le crucifere brevemente ripassate in padella con aglio olio e peperoncino e disporvi i pomodori freschi a fette e quelli secchi sminuzzati, completando con un filo d’olio e un pizzico di sale. Infornare a 200°C per circa 15 minuti e ultimare con le noci spezzettate, le olive denocciolate e tagliate.
Aglio e peperoncino sono considerati ingredienti opzionali. Tuttavia, nonostante il quantitativo molto ridotto, la loro aggiunta può essere consigliata in virtù delle proprietà benefiche dell’allicina e della capsaicina, che si comportano da antiossidanti, immunomodulanti e antinfiammatori. Anche se non ci sono vere e proprie controindicazioni per la pizza (Pascalina o no), «coloro che soffrono di insulinoresistenza – conclude l’esperta –, diabete, gastrite o sindrome dell’intestino irritabile dovrebbero osservare qualche precauzione in più nel portarla in tavola, come ridurre il consumo della parte di impasto, anche se la sua composizione a base di farine meno raffinate garantisce un carico glicemico più basso, grazie al maggiore contenuto di fibre e al ridotto contenuto di amidi. In più, è meglio evitare le associazioni che possono creare gonfiori, come quelle con birra o bibite gassate, o il consumo di dolci a fine pasto, preferendo piuttosto il consumo di frutta».
© Riproduzione riservata; Foto: www.pizzapascalina.it, AdobeStock, Fotolia
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Non si fa nessun cenno al fatto che molto spesso nelle pizzerie, purtroppo anche le migliori di Napoli, periodicamente la trasmissione “Report” l’ha messo in evidenza, la pizza è più o meno annerita sul fondo, contenendo i pericolosi e cancerogeni idrocarburi policiclici aromatici. Basterebbe pulire più spesso il piano su cui si collocano le pizze nel forno, come facciamo a casa!
Inoltre consigliarla anche due volte a settimana, mi sembra davvero rischioso, visto la presenza ,inevitabile, di acrillamide, cancerogeno, che viene assunto già in grandi quantità, perchè presente in tanti prodotti da forno!
Il problema purtroppo non è solo l’indice glicemico.
Siamo alle solite. Sembra che ci sia una regia occulta che debba demonizzare tutti i prodotti alimentari fin qui consumati (e molto apprezzati) da moltitudini di individui. La carne fa male, il basilico in quantità è cancerogeno, non parliamo poi della crosta del pane o dei biscotti, il formaggio è “cattivo” e secondo le etichette a semaforo è meglio uno ultralavorato (quello in scatole di plastica) rispetto al re del formaggio, il parmigiano. Ora anche la pizza, da cui vedo manca la mozzarella, secondo me ingrediente indispensabile.
Questi continui allarmi sono inoltre controproducenti, a forza di sentirne tutti i giorni, uno non ci fa quasi più caso. Non voglio arrivare a quello che diceva un mio amico: voglio vivere da sano e morire da ammalato, e non vivere da ammalato (no questo, no quello, poco di quell’altro, ecc. ecc.) e morire sano, ma un po’ più di buon senso, anche da parte de Il fatto alimentare non guasterebbe. L’uomo è sempre stato onnivoro, e probabilmente ha avuto fortuna nell’evoluzione grazie al fatto di potersi alimentare con tutto ciò con cui veniva a contatto. Forse dovremmo stare più attenti alla quantità che a queste sirene di disgrazie: di tutto un po’, in quantità non eccessiva, variando gli alimenti, credo che sia la miglior risposta a tutti costoro che sembra vogliano privarci del gusto di mangiare. Io sono vecchio, e ho visto morire amici e conoscenti che stavano attenti a questi “consigli”, non più vecchi e non dopo aver vissuto più a lungo di chi si alimentava in maniera tradizionale senza grandi attenzioni a questi “profeti di sventura”. Senza voler trarre conseguenze da queste esperienze minime, credo che, come in tutte le cose, un po’ di buon senso sia la pratica più efficace e fruttuosa anche per l’alimentazione. Leggiamo e studiamo pure questi articoli, ma prendiamoli comunque più come opinioni che come vangelo: manca sempre una metanalisi di questi articoli ed una dato statistico rilevato su un numero sufficiente (centinaia di milioni di individui su una popolazione di circa 8 miliardi di persone) per attribuire loro una certezza assoluta,