La Repubblica, ha pubblicato la notizia del sequestro di oltre sette tonnellate di pesto alla genovese made in Usa, effettuato dagli ispettori di frontiera del ministero della Salute nel porto di Genova. Secondo nostre fonti si tratta di vasetti in plastica da 630 ml destinati al mercato Francese e Spagnolo Il produttore, la Rana Meal Solutions (azienda del gruppo Giovanni Rana con sede a Chicago) secondo il quotidiano avrebbe presentato ricorso al Tribunale amministrativo regionale, contro il provvedimento, che risale al 27 gennaio. Secondo la cronaca, l’Ufficio del posto di controllo frontaliero di Genova ha decretato “la non ammissione nel territorio comunitario” del carico di “Basil pesto – 100% imported italian dop genovese basil” destinato a essere venduto in Francia e in Spagna, con il marchio Kirkland, da Costco, una rete di supermercati hard discount americani.
Il problema, secondo gli ispettori del ministero – riporta ancora l’articolo di Repubblica – è che l’etichetta con i riferimenti al basilico italiano e genovese mal si concilia col fatto che il carico sia arrivato da Chicago. E per questo hanno vietato l’ingresso del pesto Kirkland in quanto “non conforme per controllo identità non soddisfacente ai sensi del regolamento Ue 625/2017”, che disciplina i controlli sugli alimenti.
Il Pastificio Rana contesta l’addebito e precisa che attraverso la propria controllata Rana Meal Solution produce pesto per il mercato americano utilizzando esclusivamente Basilico coltivato in Liguria con certificazione DOP ottenuta dal Consorzio di Tutela del Basilico Genovese DOP. Per essere precisi Rana è il maggiore esportatore di basilico DOP a livello mondiale da circa 12 anni, e va anche detto che l’etichetta del prodotto sequestrato riporta la dicitura “100% Imported italian basil DOP” e il bollino di certificazione del Consorzio. Per completare la notizia c’è una dichiarazione di Mario Anfossi, presidente del Consorzio di Tutela del basilico genovese DOP, in cui dichiara che la materia prima utilizzata da Rana è di provenienza certificata esclusivamente ligure e a tal proposito il consorzio rilascia tutti gli anni, previo i controlli di legge, l’autorizzazione all’utilizzo della dicitura in evidenza “con basilico genovese DOP”.
Di seguito il parere di Roberto Pinton, esperto in diritto alimentare.
Se i fatti stanno effettivamente come da notizie di stampa, il sequestro è del tutto infondato e depone gravemente a sfavore della competenza degli ispettori del ministero della Salute. Dal punto di vista dell’impronta ambientale (e dei costi di trasporto) è del tutto insensato spedire del basilico (presumibilmente surgelato) dalla Liguria agli USA e far ritornare in Europa il prodotto colà trasformato per la vendita in Francia (che è a un tiro di schioppo dalla Liguria) e in Spagna, ma dal punto di vista della trasparenza non c’è nessuna non conformità.
Il tricolore fa manifestamente riferimento all’origine interamente italiana del basilico, confermata dal Consorzio, che concede addirittura il proprio marchio; non millanta una trasformazione effettuata in Italia (è indicato con assoluta evidenza che il basilico è importato, quindi palesemente la lavorazione non è avvenuta in Italia). Il decreto legislativo 19 novembre 2004, n. 297, fatta salva l’applicazione delle norme penali, sanziona chi impieghi indebitamente una denominazione protetta, ma non quando l’operatore sia autorizzato dal Consorzio di tutela della denominazione protetta riconosciuto e risulti inserito nell’apposito registro attivato, tenuto e aggiornato dal Consorzio.
Gli ispettori hanno preso un abbaglio, e senza attendere la scontata decisione del TAR, dovrebbero provvedere in autotutela a revocare il provvedimento, immettendo in libera pratica il prodotto, evitando di causare danni ingiustificati agli operatori commerciali che operano in conformità alle normative vigenti. Non ho relazioni professionali con aziende del gruppo Rana e non ho alcun conflitto d’interessi.
© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos, Costco.com
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Complimenti al Dr. Pinton per l’oggettiva disamina del caso
Tutto secondo giustizia ordinaria , parlare di reato non sembra corretto a meno che non si voglia controllare la esatta composizione del prodotto sospettando l’utilizzo di sostanze proibite.
Certo che e “moderno” dire di essere sostenibili e green ma non si sa nemmeno di cosa si parla.
Concordo al 100%, si parla sempre più di “impronta green”, ma poi se andiamo a vedere pomodorini ciliegino, salmone, basilico (tanto per citare alcuni prodotti) attraversano mezzo mondo con aerei e navi. Come al solito si affronta in maniera superficiale il serio dell’impatto ambientale.
“Dal punto di vista della trasparenza non c’è nessuna non conformità.”
Quindi una colossale cantonata da parte degli ispettori, che hanno confuso il paese di origine del basilico con quello dello stabilimento che lo ha lavorato.
Ma non ha senso affermare che “Dal punto di vista […] dei costi di trasporto) è del tutto insensato spedire del basilico (presumibilmente surgelato) dalla Liguria agli USA e far ritornare in Europa il prodotto colà trasformato per la vendita in Francia (che è a un tiro di schioppo”.
Se un’azienda come Rana lo ha fatto, E’ DEL TUTTO OVVIO che il costo DI trasporto+lavorazione in USA era INFERIORE al costo di trasporto+lavorazione in iTALIA.
Da consumatore se vedo una simile etichetta penso a un prodotto Italiano, Basil Pesto con sotto la bandiera italiana non mi lascia dubbi. Solo in un secondo momento analizzando i dettagli posso capire che si parla del solo basilico italiano… Al momento dell’acquisto avrei qualche indecisione sull’origine.
Questo problema penso faccia riferimento al consumatore medio non a analisi degli esperti
Il prodotto è destinato al mercato francese e Spagnolo
Il consumatore Francese temo sarebbe portato a pensare a un prodotto Italiano, non a un prodotto fatto con basilico Italiano.
Non conosco gli ettari di terreno usati per coltivare il basilico in Liguria, vorrei informazioni precise su quante tonnellate di basilico dop il consorzio produca in Liguria all anno grazie
Credo che il dato qualora venisse rivelato riserverebbe sorprese… la Liguria è una striscia di terra bellissima e massacrata da speculazione edilizia (vedi la “rapallizzazione”!), quanto del suo territorio restante può essere dedicato alla coltivazione del basilico?
Le coltivazioni non sono nelle aree urbanizzate, ma lungo i corsi d’acqua nella fascia che li costeggia e nella quale è già tanto se ci sono le abitazioni dei coltivatori.
Se non si è addetti ai lavori, a parlare di tonnellate c’è il rischio di perdersi.
Facciamo un po’ di conto: la produzione di basilico avviene tutto l’anno, con una resa (da disciplinare) di 10 kg al mq/anno (in serra) o di 8 kg/mq/anno in pieno campo, il che sta a dire che da un ettaro sotto serra si ricavano 100 tonnellate di basilico.
Le circa 2.3 tonnellate di basilico fresco necessarie per produrre le 7 tonnellate di pesto sono la produzione annua di 230 mq di serra (un quadrato con lato di 15 metri).
Per capirci: se seminassimo a basilico tutto il campo di San Siro raccoglieremmo ben 71 tonnellate di basilico l’anno (clima permettendo), ma per raccogliere le nostre 2.3 tonnellate basta e avanza mezza area di rigore.
Ci siamo?
Grazie della spiegazione. Non pensavo assolutamente queste rese. Riguardo alla politica di Rana :sempre e solo profitto, peccato anche per i ns prodotti alimentari, es speck fatto con magrelli olandesi, crema spalmabile di nocciole fatta con olio di palma
Un’azienda che NON lavorasse per il profitto chiuderebbe i battenti nel giro di pochi mesi.
Quanto all’uso dell’olio di palma, circa due MILIARDI di esseri umani se ne cibano da sempre, e i magrelli olandesi sono regolamentati esattamente come tutte le carni europee, quindi non c’è nulla di irregolare nell’miportarle e farci le polpette, lo speck, o le salsicce.
Ormai è da tempo che quasi tutti i prodotti Rana sono realizzati all’estero, prevalentemente in Belgio (lasagne con ragù alla bolognese, parmigiana di melanzane, ravioli di vario gusto, ecc).
Al di là del rispetto formale della legge (basilico spedito dall’Italia e che poi torna indietro!) credo sia poco corretto che cibi prodotti all’estero, attraverso cavilli e arzigogoli legali, passino poi attraverso immagini e pubblicità, per prodotti italiani.
Concordo con Roberto Pinton che, stanti i fatti come sono descritt, gli ispettori hanno preso una cantonata colossale.
E concordo anche con “Mario (quello vecchio)” che se un’azienda come Rana ha fatto un’operazione del genere, ossia mandare il basilico in America per fare il pesto, farselo ritornare per venderlo a dei paesi quasi confinanti, avrà avuto dei vantaggi economici palesi piuttosto che far produrre tutto in Italia.
Questo cosa dell’ “impronta ecologica”che stride con la convenienza economica, deve farci riflettere…
Se questo pesto venisse venduto in Italia sarebbe chiaro che è stato preparato in un paese che non è l’Italia (anche perché l’etichetta è in inglese), ma un consumatore francese o spagnolo effettivamente vedendo un prodotto che viene dall’estero, e che parla di “basilico 100% italiano”, potrebbe pensare che anche la lavorazione del pesto sia avvenuta in Italia.
Al di là di questo, è triste che un prodotto tipicamente italiano, fatto con materie prime italiane, debba essere lavorato negli USA, togliendo possibili investimenti al territorio italiano
Certo, fa pensare che in Italia non ci sia un’azienda che riesca a produrre vasetti di basilico (italiano e coltivato il Liguria) per il mercato europeo e invece sia più conveniente coltivarlo qui, lavarlo, surgelarlo (probabilmente) ed esportarlo dall’altra parte del mondo, trasformarlo in pesto, imballarlo e poi riesportarlo in europa. Una follia e tanti posti di lavoro che potrebbero essere creati in Italia, non dico realizzare dei chip per computer o dei razzi spaziali ma almeno dei prodotti alimentari su cui siamo al top al mondo non credo sia una tecnologia cosi irraggiungibile.
Non c’entra la tecnologia, negli USA molte aziende usano macchinari fatti su brevetto italiano, se ci fosse la convenienza economica non pensi che tali aziende sarebbero in Italia invece che negli USA?
Ho sempre apprezzato la serietà di questa azienda che conosco da tantissimi anni. Questo è stato un errore.
Una domanda sorge spontanea, che senso ha mandare il nostro basilico in America, preparare il pesto per poi riportarlo in Italia x distribuirlo in Europa? Non riesco a trovare una giustificazione ragionevole. Volete aiutarmi?
Come ben spiegato nell’articolo, secondo le vigenti leggi è del tutto normale spedire del basilico (presumibilmente surgelato) dalla Liguria agli USA e far ritornare in Europa il prodotto colà trasformato per la vendita in Francia (che è a un tiro di schioppo dalla Liguria) e in Spagna. Un bello schiaffo a impronta ambientale, chilometro zero, emergenze climatiche e annessi e connessi… Complimenti Dottor Rana! Ma mi sfugge un aspetto: pur con l’aggravio dei costi legati al trasporto di tonnellate di basilico prima e di pesto al ritorno, la mano d’opera Usa è talmente conveniente rispetto a quella nostrana da rendere conveniente tutto ciò?