Pesto alla genovese in un piccolo mortaio con pinoli e foglie di basilico

Anacardi, olio di semi di girasole, margarina, olio di palma, fiocchi di patate, sciroppo di glucosio, aroma di basilico. Questa lista di ingredienti non è quella riportata sull’etichetta dei vasetti di una salsa esotica, ma quella che troviamo su alcune confezioni di pesto alla genovese. Sì, avete capito bene, non si tratta di ricette create da aziende alimentari tedesche o francesi che cercano di imitare i prodotti tipici del nostra cucina come avviene per il ‘Parmesan’. I vasetti contengono pesto firmato da grandi aziende italiane che, in questo modo, stravolgono la ricetta della salsa tipica genovese considerata un’icona dei profumi della Liguria.

Pesto genovese: la ricetta tradizionale

Tutto ciò è legale, perché non esiste un disciplinare di produzione riconosciuto. Chiunque può produrre una salsa a base di olio, formaggio e basilico ed etichettarlo come ‘Pesto genovese’ oppure ‘Pesto alla genovese’. Volendo essere più precisi dobbiamo dire che esiste una ricetta classica formulata dal Consorzio del Pesto Genovese con sede presso la Regione Liguria. È anche vero che la ricetta rientra nell’elenco dei Prodotti agricoli tradizionali (PAT) della regione, che prevede come ingredienti basilico genovese DOP, olio extravergine di oliva italiano, Parmigiano Reggiano (o Grana Padano), Pecorino DOP, aglio, pinoli (o noci) e sale grosso. Si tratta però di una ricetta con un valore puramente simbolico, perché, in mancanza di una Denominazione di origine o di un disciplinare riconosciuto, non esistono regole da rispettare e ogni produttore decide in piena autonomia come preparare il suo pesto genovese e anche il nome da riportare in etichetta.

Vasetto di pesto con aglio, pinoli, basilico
La ricetta tradizionale prevede come ingredienti basilico genovese DOP, olio extravergine di oliva italiano, Parmigiano Reggiano (o Grana Padano), Pecorino DOP, aglio, pinoli (o noci) e sale grosso

Non esiste un disciplinare riconosciuto

A dispetto di quanto pensano i consumatori quando comprano un vasetto al supermercato, non esistono formule da rispettare. Non c’è quindi da meravigliarsi se qualcuno aggiunge l’aroma basilico per rafforzare il sapore, oppure predilige l’olio di girasole all’olio extravergine. Sarebbe interessante andare al supermercato e chiedere ai consumatori se sono consapevoli di acquistare un prodotto diverso rispetto a quello presente nell’immaginario collettivo.

Nel pesto che rispetta la ricetta proposta dal Consorzio, di genovese c’è solo il basilico DOP che è regolamentato da un disciplinare di produzione. Nei vasetti di pesto alla genovese, frutto della fantasia di produttori che vogliono risparmiare sulle materie prime, mancano quasi sempre il basilico genovese Dop (sostituito da basilico generico), l’olio extravergine (sostituito dall’olio di oliva, da quello di girasole oppure dagli oli di palma e cocco), il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano (sostituiti con formaggi grana generici). Anche la scelta degli anacardi al posto dei pinoli è fatta per ridurre la spesa.

Ciotolina di pesto con foglie di basilico
Nei vasetti di pesto industriale manca il basilico genovese Dop, l’olio extravergine, il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano e i pinoli

Pesto genovese STG: una soluzione?

A questo punto l’unica cosa che si potrebbe fare per cercare di salvaguardare il vero pesto alla genovese potrebbe essere quella di puntare a un riconoscimento come prodotto STG (Specialità Tradizionale Garantita) come è stato fattore la pizza Margherita. Il percorso è tortuoso ma bisognerebbe incominciare. Detto ciò va fatta una riflessione sull’operato di Coldiretti e del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste che da anni si sperticano in comunicati stampa, segnalazioni e denunce contro l’Italian sounding e i falsi prodotti italiani venduti all’estero.

Queste iniziative vanno bene, ma forse bisognerebbe focalizzare l’attenzione anche sulla presenza quasi esclusiva sugli scaffali dei supermercati di vasetti di pesto genovese, che di genovese hanno ben poco. Stiamo parlando di una delle salse più utilizzate in Italia, prodotta da una moltitudine di aziende con un solo elemento in comune, non rispettare la ricetta classica. Una distrazione, una dimenticanza, oppure una logica di mercato che prevale a dispetto di tante belle parole sulla sovranità alimentare?

Sara Rossi (contributo di Monia Caramma, Sustainable Food Reseacher)

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos

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francis
francis
23 Dicembre 2023 17:11

Non mi ero mai accorto di questa cosa, leggendo Pesto alla genovese ho pensato fosse in un certo modo e non ho esaminato la lista ingredienti. Peraltro a me il pesto non piace granché, lo consumo poco, ma magari ci ridò una occhiata anche per capire che tipo di pesto ho consumato

fabio
fabio
Reply to  francis
26 Dicembre 2023 10:14

Forse non ti piace perché non è quello vero. Se assaggi quello fatto con gli ingredienti giusti, correttamente riportati nell’articolo, capisci la differenza. Può valere la pena, almeno per una volta, provare a farselo da sé: non è difficile e, a parte il basilico genovese (che puoi sostituire con quello che trovi, meglio se a foglia piccola), gli altri ingredienti sono reperibili ovunque. Buon assaggio, fabio

Sartor marco
Sartor marco
26 Dicembre 2023 08:15

Hai centrato in pieno il problema. Personalmente cerco che abbia almeno i pinoli e non gli anacardi. Questo restringe moltissimo la.scelta che comunque è solo nel reparto refrigerato. Ma anche lì comunque devi fare attenzione all etichetta. Grazie x l’interessamento e continua così. Sartor marco

Marco
Marco
26 Dicembre 2023 12:56

Forse qualche parola sul pesto alla genovese posso dirla anch’io come cultore e ricercatore delle tradizioni genovesi, compresa quella dell’alimentazione.
Secondo una persona vissuta nel sec. XVIII, la ricetta originaria era molto parca, perché comprendeva: foglie di basilico, aglio, sale, formaggio, olio di oliva. Il formaggio era il pecorino sardo stagionato e forse si aggiungeva o si sostituiva con grana parmigiano, che da un documento del 1657 era considerato a Genova una prelibatezza. La preparazione richiedeva un po’ di tempo, perché non si usavano ancora frullatori, infatti si battevano, in un mortaio di marmo con un pestello di legno, le foglie di basilico, gli spicchi d’aglio, il formaggio e il sale grosso per sminuzzarli fino a diventare una pasta omogenea, poi si aggiungeva l’olio. Certamente i pinoli (di Pisa e non cinesi) furono aggiunti dopo per ingentilire la salsa. Il pecorino non poteva mancare, tanto che a Genova se si chiede pecorino sardo stagionato, alcuni esercenti domandano: “Per il pesto?” per essere certi di fornire il formaggio giusto. Il pesto dovrebbe essere fatto in casa per non comprare quello offerto dall’industria, che si inventa ricette false. Ci sarebbe ancora molto da dire sugli ingredienti, ma il discorso sarebbe troppo lungo. Chi non segue le tradizioni di cucina genovese e volesse cimentarsi nella preparazione del pesto, può seguire le istruzioni sui testi degli antichi cuochi genovesi, reperibili anche in Internet.
Marco