Pesce bio a scuola sanpei
Il progetto Sanpei (SANo come un PEsce biologico Italiano), condotto dal Cnr in due scuole romane

Si può proporre il pesce fresco, magari biologico, nel menu scolastico? La risposta è affermativa, soprattutto se ai cambiamenti del menu delle mense  si affiancano progetti educativi pensati per avvicinare i bambini al pesce Lo confermano i risultati del progetto Sanpei (SANo come un PEsce biologico Italiano), condotto dal Cnr in due scuole romane e da poco concluso.

Ma perché proprio il pesce fresco? «Intanto perché dal punto di vista organolettico è migliore del surgelato, il che dovrebbe contribuire a ridurre l’avversione che hanno i bambini nei confronti di questo alimento. Un’avversione che li porta a scartare gran parte delle loro porzioni» afferma Elena Pagliarino, ricercatrice dell’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo del Cnr e responsabile del progetto. «Non solo: ricorrere al fresco significherebbe poter usare prodotti italiani nei capitolati per i servizi di ristorazione scolastica, con beneficio per il nostro settore ittico». Oltre ai gusti dei bambini, restano però altri problemi, come i costi (in genere elevati) e le difficoltà logistiche, trattandosi di un prodotto molto delicato.

«I costi possono essere ridotti se si preferisce il pesce allevato al posto di quello catturato in mare. In particolare, a noi interessava valutare la fattibilità economica dell’impiego del pesce allevato in modo biologico» racconta Pagliarino. «Abbiamo  preso in considerazione la filiera dell’acquacoltura biologica dell’orata e  della spigola». Il primo passo è stato verificare che questi pesci mantengano comunque buone caratteristiche nutrizionali. «Poiché vengono nutriti con mangimi ricchi di componenti vegetali, c’era il timore che avessero meno omega-3, proprio le sostanze per le quali il pesce è considerato benefico». Le indagini eseguite hanno fugato la preoccupazione: «Da questo punto di vista, il biologico è paragonabile al convenzionale. Non solo: l’orata di allevamento ha addirittura mostrato livelli di acidi grassi omega-3  superiori rispetto a quelli delle spigole catturate in mare». Anche il profilo relativo alla presenza di metalli pesanti è risultato buono visto che i livelli di piombo e cadmio,  sono sempre  al di sotto dei limiti di legge nei campioni  dip esce bio d’allevamento  analizzati.

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Il Comune di Roma, dopo l’esperienza, ha inserito filetti di spigola d’allevamento (convenzionale) e di trota biologica per tutte le scuole romane

Insomma, orate e spigole biologiche sono un prodotto adeguato per l’alimentazione dei bambini. Ma come farle arrivare a scuola? La sequenza deve essere ovviamente ben precisa: allevamento – centro di lavorazione – distributore – piattaforma logistica – servizio di catering – scuola. Il trasferimento deve avvenire nel giro di 1-2 giorni, senza mai interrompere la catena del freddo. «Chiaramente è una logistica complicata, ma abbiamo verificato che è fattibile anche in una realtà molto complessa, come quella di Roma» sottolinea la responsabile della ricerca. In particolare, sono stati coinvolti due distributori, due servizi catering e due scuole (per un totale di 400 pasti). «Abbiamo ripetuto l’esperimento del pesce fresco  ben sette volte e nonostante alcune difficoltà – compresa un’alluvione – i bambini hanno sempre avuto nel piatto il pesce come programmato».

E per quanto riguarda il costo? «Ovviamente il biologico costa di più, ma il sovrapprezzo incide meno di quanto si potrebbe pensare. Un euro in più per kg di pesce incide sul costo pasto dello 0,06%. Significa che per un comune come Roma, che ogni anno spende 64,4 milioni di euro per l’acquisto delle derrate alimentari, l’aumento sarebbe di 4.320 euro ogni volta che il menu della ristorazione scolastica prevede pesce» afferma Pagliarino. «Senza contare che se la distribuzione di pesce fresco bio a scuola diventasse una prassi, la filiera si organizzerebbe meglio e i costi si abbasserebbero. Com’è successo con frutta e ortaggi bio: i prezzi sono diminuiti perché questi prodotti sono entrati nella ristorazione collettiva».