astronauti cibo spazio stazione spaziale internazionaleLa NASA ha da poco annunciato che sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) è in corso la coltivazione di alcuni peperoncini nell’ambito dell’esperimento dal nome Plant Habitat-04. Questo giugno tramite una missione di rifornimento sono infatti arrivati alla stazione 48 semi di peperoncini rossi e verdi della varietà Hatch. I semi sono stati poi inseriti nell’Advanced plant habit (Aph), una camera di coltura dotata di 180 sensori capaci di monitorare i parametri ambientali fondamentali per la crescita delle piante, come il livello di ossigeno e di umidità. La coltivazione verrà portata avanti per quattro mesi dagli abitanti dell’Iss insieme ai ricercatori del Kennedy Space Center, i quali avranno modo di monitorarla proprio grazie ai sensori dell’Aph, riducendo così il tempo che gli astronauti, impegnati su molti altri fronti, dovranno dedicare all’esperimento. Una parte dei peperoncini se ritenuta idonea verrà mangiata sul posto, mentre il resto verrà inviato sulla Terra per essere analizzato.

L’Advanced plant habitat è una delle tre camere dedicate alla crescita delle piante presenti sull’Iss, oltre che essere la più grande e quella tecnologicamente più avanzata. Non si tratta del primo ortaggio a scopo alimentare coltivato sulla stazione: benché gli esperimenti siano iniziati ancora prima, il 10 agosto del 2015 è stato mangiato dagli astronauti il primo cibo cresciuto nello spazio: una lattuga romana rossa.

Stazione spaziale internazionale
Esperimento di coltivazione all’interno di una Stazione spaziale

Sono diverse le sperimentazioni spaziali svolte da allora in campo alimentare, pensate in vista di possibili spedizioni future più durature e dirette verso distanze maggiori (come quelle previste per la Luna e per Marte), in cui potrebbe risultare difficile far arrivare rifornimenti periodici. La coltivazione dei peperoncini è comunque uno degli esperimenti di coltivazione più complessi mai portati avanti sull’Iss, a causa dei tempi lunghi di germinazione e di crescita della pianta. I peperoncini presentano delle caratteristiche che li rendono maggiormente adatti all’alimentazione degli astronauti: sono più saporiti e vengono incontro alla parziale perdita di gusto e olfatto sperimentata in situazioni di microgravità, contengono molta vitamina C, e non richiedono molto spazio per essere immagazzinati o lavorazioni complesse per essere mangiati.

Le tecnologie sviluppate per coltivare nello spazio si rivelano utili anche per l’agricoltura terreste, in particolare come possibili soluzioni per gli ambienti e i climi particolarmente ostili. Per esempio il sistema di illuminazione sviluppato per Veggie (Vegetable production system), un’altra delle camere di coltura dell’Iss, può essere adattato a specifiche specie di piante nei diversi stadi di crescita, ed è inoltre capace di percepire la presenza di tessuto vegetale e attivare in questo modo solo i LED che ne sono vicini, risultando in un risparmio di energia del 60% rispetto ai sistemi di illuminazione tradizionali. Questa tecnologia ora viene utilizzata anche per alcune colture sulla Terra.

Stazione spaziale internazionale
Esperimento di coltivazione all’interno di una Stazione spaziale

Lo stesso è accaduto in passato con i sistemi sviluppati per la rimozione di etilene ora usati anche nei supermercati, per i sensori fogliari che monitorando il bisogno d’acqua delle piante permettono di risparmiare acqua, e per gli sviluppi sulla ricerca fatti in merito alle colture aeroponiche, che possono crescere senza terreno o supporto. Si tratta di innovazioni particolarmente utili nei luoghi del mondo in cui a causa del clima o delle condizioni ambientali coltivare in modo tradizionale è difficile, se non impossibile. Ne è un esempio il sistema di produzione con sede a Nunavut, a nord del Canada, al quale collabora anche l’Agenzia spaziale canadese. Si tratta di una serra idroponica costruita all’interno di un container dove alcuni tecnici locali riescono a produrre dall’ottobre del 2019 vegetali freschi in modo sostenibile e con energia rinnovabile, anche nei periodi di notte polare, di luce ininterrotta e di temperature estreme. Un progetto questo che non solo offre soluzioni per l’alimentazione nello spazio, ma che potrebbe essere replicato in tutte le comunità che vivono in climi ostili, per migliorare la qualità del cibo, per ridurre il bisogno di rifornimenti e per aumentare il rendimento delle colture dove le risorse alimentari sono scarse.

I processi agricoli inoltre potrebbero necessitare di soluzioni innovative anche a causa dell’impatto che l’emergenza climatica avrà sul settore. La società Nanorak, nel 2020 ha per esempio annunciato che proverà ad utilizzare le condizioni estreme dello spazio, inizialmente tramite esperimenti svolti sull’Iss e in futuro con serre spaziali sviluppate appositamente, per sottoporre i vegetali a un ambiente in cui le mutazioni genetiche possono svilupparsi più velocemente, in modo da creare specie particolarmente resistenti che potrebbero adattarsi ai climi più estremi anche sulla Terra.

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Claudio Buttura
Claudio Buttura
10 Settembre 2021 17:04

Se tutto ciò fosse fatto nell’interesse esclusivo del genere umano, avrebbe senso e valore. Viene però da pensare all’inevitabile dipendenza delle popolazioni – come quelle (Inuit) di cui tratta l’articolo, ma non solo – da cibi e conseguenti brevetti che i produttori imporranno secondo i propri interessi, com’è d’uso.
In tal modo, ancora una volta i progressi della scienza verrebbero strumentalizzati per scopi egoistici che, ovviamente, non sono esaltanti.