Probabilmente il presidente Donald Trump non cambierà atteggiamento, perché in genere non tiene in grande considerazione i risultati degli studi scientifici, ma un’indagine conferma, senza possibilità di dubbio, quanto le politiche sui pasti scolastici introdotte nel 2010 dal suo predecessore Barack Obama, su impulso della moglie Michelle, andassero nella giusta direzione e quanto la decisione di tornare indietro, annunciata a gennaio, sia, con ogni probabilità, pessima. Lo studio è stato effettuato da due nutrizioniste del gruppo di ricerca Mathematica.
Le ricercatrici hanno confrontato i menu del pranzo di 884 scuole e della prima colazione di altre 802 per l’anno scolastico 2009-2010 con quelli relativi, rispettivamente, a 1.206 e 1.110 scuole per l’anno scolastico 2014-2015, cioè l’offerta nel periodo pre-modifiche, introdotte nell’anno 2012-2013, con quella post-modifiche. Per quantificare le differenze – si legge sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics – si sono avvalsi di un punteggio in percentuale chiamato Total Healthy Eating Index 2010, pensato proprio per valutare la qualità dei menu scolastici dallo US Department of Agricolture. La scala fa acquistare punti in base alla presenza di alimenti sani quali frutta e verdura, cereali integrali e così via, e ne fa perdere se sono previste “calorie vuote”, che non hanno valore dal punto di vista nutrizionale, come quelle del junk food.
Confrontando tutti i dati, è emerso che nell’era pre-Obama il massimo del punteggio raggiunto dai pranzi era, in media, del 58%, mentre nella fase successiva era dell’82%. Quello per la prima colazione era del 50%, passato poi al 71%.
Questi numeri dimostrano quanto, in pochi anni, fosse cambiata la dieta degli studenti americani. Tuttavia una variazione del menu non corrisponde necessariamente a una modifica di abitudini radicate, mentre lo spreco di cibi nelle mense da parte dei ragazzi, secondo studi citati dagli autori, è rimasto uguale. Un dato, però, sembra confermare che il cambiamento stava diventando profondo: stando a quanto osservato nelle scuole-campione, anche i ragazzi che portavano i pasti da casa avevano mostrato una sorta di adeguamento, probabilmente per desiderio di mangiare le stesse cose dei compagni.
La rivista ha pubblicato anche un editoriale di commento a questo studio, piuttosto duro con la decisione dell’amministrazione Trump di gennaio, firmato da due esperte di un altro polo di eccellenza in materia: il Ruud Center for Food Policy dell’Università del Connecticut. Lapidaria la conclusione di una delle autrici dell’editoriale, Marlene Schwartz, alla Reuters: “Penso che la decisione di modificare i menu reintroducendo alimenti poco sani sia un passo in una direzione assolutamente sbagliata che disincentiva le aziende alimentari dall’investire nella ricerca di alimenti più sani per le scuole”.
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Giornalista scientifica
Il signor Donald Trump non perde occasione per dimostrarci l’efficacia della legge della giungla, tempi duri per i sudditi, noi compresi.
Resistere è l’unico antidoto che mi viene in mente.