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La Pasta italiana è considerata la migliore al mondo anche perché è preparata con grano duro di alta qualità importato dall’estero

Il Fatto Alimentare ha invitato Barilla, Agnesi, De Cecco, Del Verde, La Molisana, Granoro, Garofalo e Divella a riportare sull’etichetta della pasta italiana l’origine del grano duro anche se si tratta di un’indicazione non prevista.  Per capire meglio la nostra richiesta va ricordato che la legge permette ai produttori di riportare sulla confezione la frase “made in Italy”, perché la trasformazione del grano duro in semola e la fase di produzione della pasta avvengono in Italia. I  consumatori  vorrebbero sapere da dove arriva il grano perchè pensano erroneamente che quello importato non sia di buona qualità. Non è vero.

 

La pasta italiana è considerata la migliore al mondo, anche perché viene preparata con grano duro di alta qualità importato da paesi come Francia, Canada, Stati Uniti… Riportare l’indicazione dell’origine sull’etichetta non è proprio così banale anche se si potrebbero utilizzare altri sistemi come ad esempio digitare sul sito internet il numero di lotto e ottenere l’origine del grano, come fanno da tempo alcune aziende alimentari e catene di supermercati.

 

Pubblichiamo una prima risposta di Francesco Divella del pastificio Divella considerato uno dei principali produttori del Paese.

 

divella pasta italiana logo
Divella produce e confeziona, giornalmente, 2.400.000 pacchetti di pasta

In riscontro alla nota questione della etichetta della pasta, desideriamo innanzitutto esprimere il nostro  sincero apprezzamento per l’obiettività con cui è stato elaborato l’articolo, che tra i pochi, su questa materia, ha saputo fotografare puntualmente la realtà senza ideologie preconcette. Consenta di aggiungere, a chi ci chiede il perché di tanta resistenza ad indicare in etichetta l’origine del grano. Le indicazioni da riportare in etichetta devono precisare l’origine della miscela dei grani da cui, sapientemente, si ottiene la semola adatta alla produzione con  livello qualitativo alto, che il consumatore si aspetta dalla pasta a marchio Divella. Miscele, però, che essendo composte da grani nazionali (50/60%), canadesi, australiani e americani non sempre sono disponibili in uguale proporzione proprio in relazione ai vari approvvigionamenti e, quindi, possono durare per circa due mesi di produzione.

Deriva, quindi, la modifica delle miscele con consequenziale modifica delle etichette e con quali imballi non conoscendo, a priori, l’esatta miscela? Per ottenere gli imballaggi (cellofan al 95 per cento), occorrono dai tre ai sei mesi e allora come è possibile disporre di imballaggi aggiornati?

 

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“Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale”

La F. Divella produce e confeziona, giornalmente, 2.400.000 pacchetti di pasta e non disponendo conseguentemente di imballi aggiornati dovrebbe fermare obbligatoriamente la produzione. Ancora, è noto, che il grano nazionale non è sufficiente (- 40 per cento) ma viene anche ignorato che nel Sud Italia mancano Cooperative che possano offrire grandi quantitativi di grano nazionale avente le stesse caratteristiche analitiche che permettono i noti accordi di filiera con prezzo prefissato alla semina. Come può una società come la F. Divella, approvvigionarsi da diversi agricoltori che dispongono di quantitativi limitati e che conferiscono a commercianti con il risultato di avere grani con caratteristiche analitiche differenti e spesso non corrispondenti ai limiti analitici tabellari previsti per legge? Dal punto di vista strettamente normativo poi l’indicazione volontaria dell’origine delle materie prime in etichetta è attualmente oggetto di una proposta normativa della Commissione europea che disciplinerà le modalità concrete con cui essa andrà effettuata e le condizioni che ne consentiranno la sua corretta indicazione.

Ad ogni modo non bisogna dimenticare che una norma contenuta in un Regolamento Comunitario, direttamente applicabile in tutti gli Stati Membri, rinvia ad un principio in vigore a livello europeo da oltre 20 anni, contenuto nell’art. 24 del Reg. 2913/92, che istituisce il Codice Doganale Comunitario: “Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”. Tale norma è stata ribadita nell’art. 36 del Regolamento (CE) n.450/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 che istituisce il codice doganale aggiornato.

 

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La pasta italiana è ottenuta con le miscele dei migliori grani del mondo frutto di una accurata selezione qualitativa

Ciò premesso in ordine agli aspetti applicativi e normativi, oramai da tempo, anche a livello associativo, ci stiamo confrontando circa le modalità più opportune con cui evidenziare che la pasta italiana è ottenuta con le miscele dei migliori grani del mondo frutto di una accurata selezione qualitativa. È necessario tuttavia procedere tenendo conto della armonizzazione al livello comunitario dell’etichettatura dei prodotti alimentari e nel rispetto delle sue norme che, come noto, sono direttamente applicabili in tutti gli Stati membri. In tal senso, siamo in attesa che si delineino le citate misure applicative al regolamento UE 1169/2011 sull’origine volontaria ed obbligatoria dei prodotti alimentari.

 

Mi consenta infine di sottolineare che la Divella come tante altre aziende del settore della pasta si confronta sul mercato internazionale (al momento la nostra principale fonte di crescita, considerato che il 55% della produzione nazionale viene destinata all’export) e mi sembra logico e comprensibile, nel rispetto della trasparenza nei confronti del consumatore, che tutti, almeno in Europa si competa con le stesse regole del gioco. In tutti i Paesi del mondo questo è ben compreso e le aziende nazionali sono generalmente supportate nella competitività…in tutto il mondo, ma purtroppo non in Italia.

Nel ringraziarLa ancora per il suo interessamento alla materia e per aver coinvolto i diretti interlocutori e cioè chi fa la pasta, l’occasione ci è gradita per porgere cordiali saluti.

Francesco Divella

© Riproduzione riservata

Foto: Photos.com

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angelo
angelo
29 Gennaio 2014 22:20

Utilizzare grani esteri con livelli di don e micotossine tollerati dalla nostra poco attenta legislazione ci permetterà di diventare la discarica del mondo.
La storia del Made in Italy sarebbe giusta farla raccontare dai produttori che si ritengono orgogliosamente “Sentinelle del Gusto e delle Tradizioni” e che utilizzando ricerca pubblica, materie prime e manodopera locale permettono ancora la giusta dieta al suolo all’ambiente e all’economia di tutto il paese.
Di queste grandi aziende sarebbe interessante sapere cosa intendono per qualità Italiana e se per qualità di grani , intendono quelli con proteine e indici di glutine utili solo per sostenere il loro sempre più veloce processo di pastificazioni…stiamo parlando solo di aria fritta e tanta pubblicità…

Alfredo
Alfredo
Reply to  angelo
31 Gennaio 2014 09:14

Ma hai idea di cosa stai dicendo???? In base a quale principio i grani esteri avrebbero livelli di DON e micotossine diversi dai grani italiani?

Pellegrino
Pellegrino
Reply to  angelo
1 Febbraio 2014 20:15

Hai pienamente ragione Angelo il problema è che non tutti sanno che cavolo ci fanno mangiare e che lo slogan,perché di quello si tratta, “made in italy” è fumo negli occhi dal grano alla carne e mandare in onda pubblicità che esortano a consumare il cibo NEL NOTO FAST FOOD CHE DA LAVORO A 20.000 ITALIANI perché è italiano È DA CONSIDERARE ILLEGALE perché ammesso che la carne sia italiana l’ olio con la quale è cotta e il panino da dove viene?!?! Vi esorto tutti a informarvi sulla macrobiotica pianesiana che, ahimè non è facile seguire al 100%, ma sarebbe un a bella soluzione. Buona lettura

Mario GNONI
Mario GNONI
30 Gennaio 2014 08:51

Buongiorno,
quanto detto dal signor DIVELLA è corretto ma si può fare meglio.
Che la pasta DIVELLA sia fatta in Italia è corretto: prima c’erano solo acqua e semola.
che tale ottima pasta sia ottenuta da ottime semole italiane e non grazie ad un know how italiano è corretto;
che sulla confezione non si possa scrivere l’origine delle semole è sbagliato.
il lotto e la scadenza della pasta vengono stampati sull’imballo al momento del confezionamento e non quando si realizza l’imballo primario.
In DIVELLA, mentre si stampa il lotto e la scadenza, quindi, si può benissimo stampare anche la provenienza della semola. Basta adattare l’imballo primario a questa nuova informazione. Non è indispensabile riportare la percentule delle varie semole che sono state miscelate, basta la nazione in cui è stato mietuto e trebbiato il grano duro.
Tutto ciò, ovviamente, dovrebbe essere avallato da un Reg UE.

Ciò detto mi preme aggiungere un’ultima considerazione:
a mio avviso il made in Italy andrebbe stampato A RAGIONE su tutti i prodotti che sono realizzati sul territorio nazionale, anche se ottenuti con materie prime non nazionali.
Non ha senso affermare che il grano, l’olio, i pomodori, il latte e molti altri frutti dell’agricoltura o della zootecnia italiana sono migliori degli altri a prescindere, anzi, molto spesso ultimamente è proprio il contrario.
Ha senso, però, valorizzare l’incommensurabile valore del know how italiano
Saluti
Mario GNONI

Pellegrino
Pellegrino
Reply to  Mario GNONI
1 Febbraio 2014 20:38

Hai pienamente ragione sul fatto che molti prodotti non devo essere considerati migliori di altri a prescindere perché italiani: ma che vuol dire migliori o più buoni?!? Più saporiti, più colorati più grandi ed uniformi?!?! Smettiamola di usare “più buono” e iniziamo a pensare nell’ottica del “PIÙ SANO”sicuramente i pomodorini del Marocco saranno più belli ma sapete come vengono trattate le coltivazioni li? No. Anche le arance spagnole sono ottime ma sapete come vengono trattati i frutteti?!?! Io faccio l’agrotecnico e vi posso garantire che in italia abbiamo i furbi sicuramente ma che siamo mooolto controllati e, sopratutto quello che, come comparto ortofrutticolo intendo, trovate nella gdo: attenzione però! Continuare a comprare nella gdo sta uccidendo i nostri agricoltori perché molto spesso non gli viene garantito un reddito minimo soprattutto dai signori della gdo che si fanno belli con voi consumatori con offerte e promozioni e scannano il comparto agricolo. Sappiate che ogni qual volta trovate un offerta un agricoltore in Italia non riesce a pagare una cambiale, un fornitore o semplicemente non riesce a cresce ed investire. Saluti

Rossella
Rossella
Reply to  Pellegrino
4 Febbraio 2014 08:55

Ma quante sciocchezze! Sempre questa litania che siamo i più controllati e i migliori al mondo! Anche i produttori degli altri Paesi hanno la medesima convinzione. Ma guardiamoci intorno!

roberto Giomi
roberto Giomi
30 Gennaio 2014 10:42

Mi compiaccio per l’articolo, in particolare per le precisazioni del Pastificio DIVELLA, un contributo utilissimo a generare conoscenza, e consapevolezza, in merito alla sicurezza alimentare e alla VERA qualità dei prodotti. Ogni tanto sfatare, quantomeno cercare di sfatare i luoghi comuni, trovo che sia davvero un’azione di buon senso e di civiltà. Complimenti sinceri!

brett sinclair
brett sinclair
30 Gennaio 2014 11:11

la cioccolata svizzera è la migliore del mondo, ma non mi risulta che si coltivi il cacao nei grigioni.

anche il caffè Italiano è tra i migliori, probabilmente per le ingenti piantagioni in pianura padana?

MA PER PIACERE!!!!

Marilena
30 Gennaio 2014 19:57

Concordo pienamente con quanto scritto dal Signor Mario Gnoni a proposito della possibilità di indicare sulle confezioni in fase di stampa del lotto non solo la provenienza della semola, ma anche la diversa composizione delle miscele, soprattutto nel caso in cui fossero realizzate con differenti varietà di grani provenienti da più Paesi.
L’obbligo di tracciabilità dei prodotti, vigente in tutte le aziende alimentari italiane, rende infatti possibile ai produttori di indicare esattamente gli ingredienti utilizzati e ai consumatori di conoscere esattamente la composizione degli alimenti che stanno acquistando.
Mi pare che la posizione del Signor Divella, piuttosto, esprima un evidente disagio in merito ad una legittima richiesta di trasparenza e, quindi, incentri le proprie argomentazioni prevalentemente su un non-problema.

Il problema è reale invece in relazione alle difficoltà di approvvigionamento sul mercato nazionale, cosa che a mio parere potrebbe essere considerata piuttosto un’opportunità per ripensare la struttura del mercato nazionale del grano duro, oggi in mano ai traders e certamente non ai piccoli e medi pastifici né ai produttori agricoli. Una più efficace integrazione di filiera tra aziende produttrici di grano e aziende di trasformazione porterebbe sicuramente ad una maggiore valorizzazione del lavoro degli agricoltori italiani, che sono i più penalizzati da un sistema di scambi niente affatto equo.

Marilena
Reply to  Roberto La Pira
30 Gennaio 2014 20:56

Grazie Roberto,
leggerò con interesse l’intervento della Barilla, ed anche i successivi.
Marilena

Alessandro
Alessandro
Reply to  Marilena
31 Gennaio 2014 09:02

Marilena, la tracciabilità è una cosa che con l’origine non c’entra nulla.

Marilena
Reply to  Alessandro
31 Gennaio 2014 11:42

Gentile Alessandro,
per approfondire l’obbligo della tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti alimentari, che coinvolge tutti gli attori della filiera produttiva (e si, anche quelli che hanno fornito ingredienti all’origine), le segnalo il link ad un documento molto semplice ed esauriente emesso dalla CCIAA di Catania http://www.ct.camcom.gov.it/documenti/agroalimentare/rintracciabilit.pdf

Altrimenti, per maggiori dettagli, basterà consultare il Reg. (CE) n. 178/2002, obbligatorio anche in Italia del gennaio 2005.
Grazie e buona giornata,
Marilena

Alessandro
Alessandro
31 Gennaio 2014 12:43

Gentile Marilena, so cos’è la tracciabilità. Per questo le dico che tracciabilità e indicazione dell’origine sono due cose diverse e se ha letto il documento da lei allegato avrà visto come non viene mai menzionata l’origine geografica della materia prima.
L’obbligo della tracciabilità non ha lo scopo che menziona nel suo intervento.
Attraverso la tracciabilità (in questo caso sarebbe più proprio parlare di rintracciabilità) si risale al fornitore, e al lotto della materia prima utilizzata nel prodotto. Salvo per le materie prime per cui l’indicazione di origine è obbligatoria, attraverso la rintracciabilità, non necessariamente si ha l’informazione sull’origine geografica delle materie prime utilizzate. Ancor di più in un filiera lunga che utilizza semilavorati.

Marilena
Reply to  Alessandro
31 Gennaio 2014 14:59

Concordo con lei Alessandro, non c’è obbligo di indicare l’origine geografica, che è difatti ciò di cui stiamo parlando.
Nel mio intervento, non intendevo dire che con la rintracciabilità si abbia lo scopo ultimo di certificare l’origine dei prodotti, ma solo che attraverso questo meccanismo, risalendo per tuta la filiera, è possibile individuare tutti i fornitori delle materie prime e dei semilavorati fino al primo produttore.
Dal momento che tracciabilità e rintracciabilità sono processi obbligatori, quindi, è possibile per le aziende risalire all’origine delle materie prime da loro utilizzate. Se poi non vogliono farlo, o se per ragioni aziendali non vogliono comunicarlo al consumatore, non essendone peraltro obbligati per legge, è altro discorso.

Alessandro
Alessandro
Reply to  Marilena
31 Gennaio 2014 17:47

Come ho scritto, ci sono materie prime dove l’indicazione dell’origine è obbligatoria, altre dove non lo è. In questo secondo caso, l’origine non viene riportata sui documenti e quindi tramite la rintracciabilità non si può risalire a quel dato. Quindi si può solo richiedere tale dato al fornitore come informazione extra. Informazione che comunque lascia il tempo che trova non essendo vincolata per legge.

marco
marco
31 Gennaio 2014 15:36

Finalmente qualcuno ammette qual è “uno dei veri problemi” ovvero la possibilit di ingenerare nel consumatore il timore a proposito della qualità del prodotto.
Ma se possiamo produrne solo “il 50/60%” e non c’è nessun altro a livello nazionale che potrebbe rimpiazzare quel 50% che timori hanno i produttori? che diminuisca il consumo di pasta in genere?

Io sono un consumatore di caffè di cioccolato etc, consapevole. Non ho “timore generico” rispetto a questi prodotti e la stessa cosa vale per la pasta. Quindi una buona campagna pubblicitaria che spiega la realtà dando la maggiore informazione circa la provenienza non sarebbe disdicevole ne aumenterebbe i costi (fino al 50% cosi come si leggo spesso ma si fa riferimento al settore della trasformazione della carne).
Giusto è che la regolamentazione avvenga in maniera uniforme almeno a livello comunitario. Questo le aziende devono “pretenderlo”.

Probabimente però, da consumatore potrei avere timori generati da altri aspetti e legati all’indicazione dell’origine. Nello specifico per la pasta, immaginare di acquistare pasta realizzata con grano che proviene da un paese che utilizza OGM (e non necessariamente per realizzare i semi ma ad esempio per i pesticidi utilizzati nelle coltivazioni) potrebbe si farmi venire qualche dubbio. In questo modo però il discorso si complica ed entrano in ballo le varie questioni sugli OGM etc.. forse altro grande problema su cui non si è puntata un po di attenzione.

Aggiungo ancora, (non è il caso della pasta però), di prodotti realizzati con materie prime provenienti da paesi sottosviluppati e sfruttati e cui non vengono garantiti i diritti minimi …..
Quanti/quali interessi vogliamo inserire nella discussione per capire che da tutelare non sono solo i produttori o le famiglie che devono acquistare a basso prezzo?

angelo pisciotti
angelo pisciotti
31 Gennaio 2014 17:35

Sig. Alfredo,ha ragione ,io non sono un tecnico e non ho nessun parametro scientifico per dimostrare le diversità dei grani italiani da quelli esteri.Io sono un distributore di prodotti alimentari (fra cui la pasta del pastificio De Matteis che utilizza solo grani 100% italiano dichiarandolo ovviamente sulla confezione)e le mie affermazioni scaturiscono da personali riflessioni su quello che ascolto e che leggo .
Il DON per esempio qualche tecnico dice che si sviluppa in condizioni di elevata umidità quando la spiga del grano da fiore diventa frutto e io che vivo a Foggia nel Tavoliere delle Puglie mi sento di confermare che in quel periodo quasi mai…piove.
Ho letto per esempio di qualche nave svuotata e lavorata in Puglia senza aspettare i risultati delle analisi del controllo sanitario pubblico e che a frittata consumata evidenziavano contaminazioni se non sbaglio molto pericolose.
Ho letto per esempio di tolleranze dimezzate di DON rispetto ai valori legalizzati in Italia da parte della legislazione di altri paesi ,per esempio il Canada.
Sig.Alfredo,io sono un grosso consumatore di pasta e mi incavolo da morire quando incontro con sempre maggior frequenza nei supermercati pasta prodotta in Italia da aziende importanti in vendita a CINQUANTACENTESIMI il kilo.
Spero che lei sia esperto e che mi possa tranquillizzare sul fatto che a prescindere dalla provenienza del grano la pasta sia ancora un alimento Italiano fatto per nutrirci e non per farci ammalare.

giovanna
3 Febbraio 2014 08:42

continuo a essere convinta che dobbiamo tornare in dietro per quando riguarda l’alimentazione e il rispetto della terra. Io non mi fido piu’ di nessuno , guardo con diffidenza ogni farina e ogni cibo che non riporta dettagliatamente l’origine di produzione , la mia alimentazione è limitata alla stagionalità dei prodotti che fortunatamente coltivo e in parte trasformo . La cosa che mi fa piu’ paura è il non sapere da dove proviene il grano con cui è fatta la pasta che mangiamo , i pesticidi che sono stati usati ,le radiazioni con cui hanno trattato il grano , e la terra che lo ha fatto crescere…………se per i produttori di pasta non c’è nulla di sbagliato allora perche’ non scrivono sulle etichette come viene fatta quella loro pasta? Perchè non scrivono le percentuali di grano estero presenti?

Mica
Mica
4 Febbraio 2014 17:26

Che un prodotto è coltivato in Italia non significa che sia più sano, più buono e più controllato. Questo si dovrebbe sempre tenere presente. Sulla pasta farei una semplice domanda a chi la vorrebbe Italiana al 100% : Con cosa la sostituiresti dato che l’Italia non è in grado di soddisfare la domanda e come integreresti il mancato guadagno nazionale dato dell’esportazione e la riduzione di posti di lavoro? A chi invece vorrebbe tutte le indicazioni sulle confezioni chiederei: Quanto sei disposto a pagare un kg di pasta? Perchè riuscire ad indicare con certezza sulle confezioni l’origine delle materie prime significa costi di produzione assurdi. Spesso ci accaniamo verso un prodotto e poi al supermercato cerchiamo prodotti deperibili che non fanno la muffa e durano tempi assurdi, frutta perfetta in pieno inverno, carne su cui è meglio sorvolare. Per non parlare di tutti i prodotti lavorati… Credo che la sicurezza e la trasparenza sia un diritto del consumatore ma che questo debba anche tenere presente che la truffa è intrinseca nel singolo e non nella Nazione e che in tutto si deve un minimo di buonsenso. A volte ci sono costi di produzione che non permettono “l’ideale” verso il consumatore ma questo non significa che sia una modalità per nascondere o coprire chissà cosa.

marco
marco
Reply to  Mica
6 Febbraio 2014 13:55

Salve, posso risponderle io?

io non la vorrei 100% , almeno non sempre e/o senza controlli identici e/o maggiori a quella che non è 100% italiana

vorrei chiedere a chi la produce, posso sapere se è /non è 100% italiana , e da dove proviene ?

io sono disposto a pagare in più nei limiti del “giusto” senza necessariamente conoscere lotto/per lotto tutte le diverse origini. sarebbe sufficiente già avere indicazioni maggiori rispetto alle attuali senza arrivare a “costi assurdi”

personalmente non mi accanisco sulla pasta ma sono “attento” su TUTTI i prodotti , a maggior ragione su quelli che indicano o ne danno l’impressione che siano completamente di origine italiana quando INVECE NON LO SONO

Anna
Anna
5 Febbraio 2014 05:00

Interessante scambio e dibattito.
Mi chiedo però: siamo sicuri che l’unico mezzo per trasmettere ai consumatori le informazioni sul prodotto siail packaging? Dove peraltro alcuni commenti confermano la possibilità di inserirvi informazioni aggiornate e che cambiano velocemente come i Paesi da cui proviene la materia prima di quella specifica partita di pasta? C’è anche il web, sempre più consultato per scelte eapprofondimenti sull’alimentare.
E poi, credo che se l’informazione “servisse” all’azienda per farsi pubblicità, il modo si sarebbe già trovato.

ezio
ezio
5 Febbraio 2014 10:23

Buona la sintesi di Anna.
Concordo che quello che si fa è quello che conviene e quello che si omette ovviamente non conviene.
Quindi nell’etica commerciale vige la legge della convenienza e le leggi ed i regolamenti sono fatti a misura di questo principio.
L’occupazione non c’entra e sarebbe sicuramente più alta e diffusa, se nel principio di convenienza ci fossero inclusi anche i coltivatori italiani, sempre più bistrattati ed emarginati da commercianti e trasformatori privi di etica, ma bravissimi in convenienza “Made in Italy”

Marco Montanari
Marco Montanari
5 Febbraio 2014 11:42

Nella risposta di Divella, che trovo corretta anche se come altri hanno fatto notare alcune giustificazioni addotte potrebbero essere tecnicamente superate, c’è un passaggio che mi lascia decisamente perplesso.
Precisamente quello nel quale si dice “… con il risultato di avere grani con caratteristiche analitiche differenti e spesso non corrispondenti ai limiti analitici tabellari previsti per legge?”. Ora un conto sono le caratteristiche differenti, ben altro se queste non sono rispondenti ai requisiti richiesti dalla normativa. Poiché si fa riferimento a “limiti tabellari” si può supporre che ci si riferisca ai LMR di antiparassitari o ad altri contaminanti comunque normati.
Allora lo “spesso non corrispondenti” assume un significato inquietante rispetto al quale gradirei una interpretazione.