La Commissione Agricoltura della Camera dei deputati in sede legislativa, ha appena varato il disegno di legge recante “Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari”, che prevede l’indicazione obbligatoria sulle etichette dei prodotti alimentari dell’origine geografica delle materie prime utilizzate nella preparazione. Il provvedimento è stato salutato con soddisfazione da alcune confederazioni agricole, che hanno portato a Montecitorio una salsiccia lunga 100 metri per festeggiare il “trionfo”. Ma quale trionfo?
Il Fatto Alimentare è intervenuto più volte sul tema dell’indicazione di origine in etichetta con l’obiettivo di chiarire alcuni punti (vedi riferimenti in fondo all’articolo). Proviamo a riassumere la situazione evidenziando il grosso problema di questa nuova legge destinata ad essere bocciata dall’Europa e a restare inapplicata.
Le regole europee
La Repubblica italiana – così come gli altri 26 Stati membri dell’Unione europea – ha ceduto parte della propria sovranità all’Europa convinta di realizzare un “Mercato unico”, con regole armonizzate e valide per tutti in funzione della libera circolazione delle merci in uno spazio privo di frontiere (art. 34 TFUE).
La disciplina sulle etichette dei prodotti alimentari, sulla presentazione e sulla pubblicità è contenuta in una direttiva europea (dir. 2000/13/CE, già dir. 112/79/CEE) che gli Stati membri sono tenuti a rispettare in modo pedissequo.
La direttiva prevede tra l’altro che l’indicazione dell’origine dei prodotti possa essere indicata volontariamente su tutti i prodotti, tranne quando l’omissione dell’ indicazione possa indurre in errore il consumatore. Per esempio nel caso di una mozzarella prodotta in Slovenia e venduta in Italia, poiché il consumatore italiano potrebbe attendersi che la mozzarella sia stato prodotta nel nostro Paese, dovrà essere indicato il luogo di produzione. Questa è la regola che si applica da oltre trenta anni in Europa.
La provenienza delle materie prime non è neppure citata dalla “direttiva etichettatura”, perché l’origine del prodotto – in virtù del Codice doganale comunitario (reg. CE n. 450/08) e degli impegni assunti nell’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio – si identifica con il luogo dove è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale. Ciò non esclude peraltro il diritto di ciascun operatore di inserire in etichetta, su base volontaria, informazioni relative alla provenienza o alle caratteristiche delle materie prime, alla tracciabilità, etc.)
L’indicazione dell’origine del prodotto e/o delle materie prime é invece obbligatoria per alcune categorie come gli ortofrutticoli, le carni bovine, le uova, il miele, gli oli vergine ed extra-vergine di oliva, i prodotti ittici freschi, e gli alimenti “bio”.
La legge approvata oggi dal Parlamento italiano introduce all’articolo 4 l’obbligo di riportare sulle etichette di tutti i prodotti alimentari il “luogo di origine o di provenienza”, e si rinvia a successivi decreti interministeriali di attuazione i criteri e le modalità che ogni filiera produttiva dovrà seguire. Il testo dice:
“Per i prodotti alimentari non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti.”
La legge sarà ora inviato alla firma del Capo dello Stato per la promulgazione e poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore 15 giorni dopo. In ogni caso l’obbligo di indicare l’origine scatterà solo quando verranno emanati i decreti di attuazione.
Il “piccolo inconveniente”
Questo modo di legiferare non è nuovo. Si tratta un vecchio copione già messo in scena con la legge 204/2004 (articolo 1-bis), quando il Parlamento italiano provò per la prima volta a introdurre l’obbligo di indicare l’origine delle materie prime sulle etichette di tutti i prodotti alimentari: già in quel caso la Commissione europea, rilevata l’incompatibilità della norma con l’aquis communitaire, diffidò la Repubblica italiana dall’applicarlo.
Rimane allora da chiedersi, perché gli esponenti di tutti i gruppi politici insistono nel portare avanti leggi che, come tutti ben sanno, non potranno venire applicate poiché in palese contrasto con le norme europee e internazionali? E perché poi esporre con tanto entusiasmo l’Italia al dileggio e ai costi di una procedura d’infrazione comunitaria?
Tra l’altro, il 20 gennaio 2010 il Governo italiano aveva già notificato a Bruxelles il progetto normativo all’origine di questa legge, scatenando le reazioni critiche di Germania, Austria, Spagna e Francia a cui l’Italia non è stata in grado di rispondere (come invece avrebbe dovuto fare, secondo la procedura stabilita nella dir. 98/34/CE). La Commissione europea aveva perciò intimato all’Italia di sospendere i lavori su questo disegno di legge, anche in considerazione del fatto che l’intera materia dell’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari è in corso di riforma a livello europeo. E dunque, prima di ipotizzare nuove normative nazionali o regionali, è indispensabile verificare i limiti che a tali normative saranno imposti anche dal nuovo regolamento (vedi articolo), il quale tornerà nei prossimi mesi all’esame del Parlamento europeo.
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade