pane, donna che compra il pane sfuso al supermercatoSono tanti gli aspetti della vita che sono cambiati durante la pandemia. Nel 2020 e nel 2021 molte abitudini sono state modellate dalle norme imposte per ridurre il rischio di contagio. Che cosa ne è stato del pane, alimento simbolo per antonomasia del pasto degli italiani? Con il convegno ‘Il pane dopo la tempesta’, l’Associazione italiana bakery ingredients, che rappresenta le aziende di prodotti e semilavorati per la panificazione e la pasticceria, ha presentato l’anticipazione di una ricerca condotta dal Cerved con alcuni spunti utili a chiarire come sia cambiato il settore. I risultati sono considerati in chiave positiva dagli operatori. Partiamo però dai dati Istat, che mostrano, nell’anno di esordio del Covid, un lieve calo della spesa per l’acquisto del pane. Nel 2020 ogni famiglia ha speso 23 centesimi al mese in meno rispetto all’anno precedente. Tra il 2018 e il 2019 la riduzione era stata ancora maggiore attestandosi sui 37 centesimi. Questo fenomeno è però in parte controbilanciato dall’incremento degli acquisti mensili di altri prodotti di panetteria e pasticceria, cresciuti di 26 centesimi tra il 2018 e il 2019 e di 10 centesimi tra il 2019 e il 2020.

Nel 2020, l’Istat rileva inoltre anche un lieve aumento (0,9%) del prezzo, che rende più significativa la riduzione del consumo. Sempre secondo l’Istat, anche nel 2021 il prezzo ha subito una lieve crescita (+0,7%). È però difficile parlare di costo del pane a livello nazionale perché le differenze tra un’area geografica e l’altra sono molto importanti. Al gennaio del 2021 l’Osservatorio prezzi e tariffe del Ministero dello sviluppo economico rileva che il prezzo medio al chilo varia da 1,88 euro di Napoli a 4,11 di Milano. Anche gli aumenti dell’ultimo anno sono molto differenziati, a Napoli i prezzi non sono cambiati mentre a Palermo il costo medio è cresciuto di ben 42 centesimi (da 2,97 a 3,39 €/kg).

pane supermercato
La grande distribuzione è ormai attrezzata per offrire pane fresco e affianca le panetterie con una quota analoga (43% circa)

Ciò che invece è cambiato in tutto il Paese sono le geografie dei consumi. Come evidenziato dalle anticipazioni sulla ricerca Cerved, la diffusione dello smart working e il minor turismo hanno determinato una diminuzione delle vendite nei negozi dei centri storici, mentre le periferie e le città più piccole hanno registrato una buona ripresa. Si evidenzia inoltre che, anche nel 2021, il pane artigianale resta il più venduto (84% circa del totale, con 1.400.000 tonnellate acquistate), mentre i prodotti industriali e surgelati occupano una quota marginale. Tutto questo nonostante il fatto che, rispetto al 2019, cresce il numero di chi compra il prodotto al supermercato. Anche la grande distribuzione è ormai attrezzata per offrire pane fresco e affianca le panetterie con una quota analoga (43% circa), mentre la percentuale residua va alla ristorazione.

pane, pagnotta nera al carbone vegetale appoggiata su pagnotta normale
Crescono i pani speciali come quelli differenziati dai colori e contenuti ‘salutisti’, grazie alla presenza nell’impasto di curcuma, barbabietola o carbone vegetale

Una crescente attenzione è poi rivolta dai consumatori alle strategie antispreco. Se infatti da un lato la ricerca sottolinea come sia ormai largamente diffusa l’abitudine a riutilizzare il pane raffermo per nuove ricette, dall’altra è evidente un incremento delle persone che congelano in casa il pane fresco per conservarlo meglio. Rispetto alle tipologie di prodotto preferite, poi, cresce la domanda di pane con caratteristiche particolari e distintive. Si assiste anche in questo caso a una differenziazione dei consumi, “da un lato chi non ha preoccupazioni economiche – nota Maria Matese, curatrice della ricerca – può chiedere prodotti e servizi di alta qualità, dall’altra ci sono le famiglie colpite dalle difficoltà economiche”. In questa polarizzazione .

È anche per merito di queste novità che la ricerca evidenzia una ripresa graduale del settore, senza però aver raggiunto le quote del 2019. Eppure già in quell’anno il consumo pro capite era di 41 kg all’anno, un consumo da ‘maglia nera’ rispetto ai partner europei e addirittura dimezzato rispetto agli 88 kg della Romania e gli 80 della Germania (dati Italmopa, associazione industriali mugnai). Tra i motivi di questa riduzione, la crescente attitudine verso regimi alimentari iperproteici, che tendono a diminuire la componente di cereali proprio a cominciare dal pane. Già due anni fa, secondo un sondaggio Italmopa, il 16% degli italiani aveva dichiarato di non consumare pane o di consumarlo in modo saltuario adducendo come motivazione principale scelte dietetiche e salutistiche.

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