Palma da olio e deforestazione, i grandi coltivatori alla ricerca di un compromesso. Un nuovo studio propone di classificare le foreste con un sistema a semaforo
Palma da olio e deforestazione, i grandi coltivatori alla ricerca di un compromesso. Un nuovo studio propone di classificare le foreste con un sistema a semaforo
Beniamino Bonardi 4 Agosto 2015Le cinque grandi aziende asiatiche coltivatrici di palma da olio firmatarie del Manifesto dell’olio di palma (Sime Darby, KLK, IOI, Musim Mas e Asian Agri), affiancate dal colosso dell’agroalimentare Cargill e dalla multinazionale Unilever, hanno commissionato uno studio su come conciliare le coltivazioni con la protezione delle foreste tropicali. Lo scopo è dare la possibilità alle aziende di soddisfare la crescente domanda, alle popolazioni locali di avere un lavoro nelle piantagioni e ai Paesi che ospitano queste coltivazioni di farne un’occasione di sviluppo. Una bozza dello studio sulla valutazione scientifica dei lavori esistenti affidata a un gruppo guidato dall’ambientalista britannico Jonathon Porritt, è stata pubblicata in giugno, con il titolo High Carbon Stock Study, con l’intento di raccogliere osservazioni da parte dei soggetti interessati. Questa fase si è chiusa il 31 luglio e il lavoro definitivo dovrebbe essere pubblicato entro l’anno. Il punto di partenza evidenziato da Porritt, è che la politica della “deforestazione zero”, è considerata irrealistica, perché significherebbe non abbattere neppure un albero e quindi impedire a questi Paesi di sfruttare un’occasione di sviluppo.
Lo studio propone di suddividere le foreste in tre tipologie, a seconda la loro capacità di assorbire CO2, adottando una sorta di semaforo. Le zone rosse sono quelle in cui dovrebbe essere vietato ogni tipo di intervento; quelle arancione, che sono le più controverse e difficili da identificare, sono quelle in cui, a determinate condizioni e a seconda delle aree geografiche, può essere possibile sostituire parti di foresta con piantagioni di palma da olio; quelle grigie, infine, sono quelle in cui la sviluppo di coltivazioni di palma non pone problemi dal punto di vista dell’aumento di emissioni di gas a effetto serra.
Il punto delicato della classificazione è che, come affermano gli stessi proponenti, la messa a punto del progetto non può essere lasciata alla buona volontà delle aziende, ma deve essere tradotta in regole e pratiche di comportamento nelle concessioni delle terre da parte dei governo . Occorre anche prevedere delle compensazioni economiche alle popolazioni locali, a cui si chiede di non avviare nuove coltivazioni nelle zone interdette.
Un ulteriore problema, come segnala l’agenzia Reuters, è che il sistema a semaforo non è l’unica classificazione delle foreste, ne esiste infatti una più restrittiva, l’High Carbon Stock Approach, elaborata nel 2011 da alcuni gruppi ambientalisti, tra cui Greenpeace e The Forest Trust, che chiede di vietare lo sviluppo di coltivazioni di palma da olio nelle foreste che catturano più di 35 tonnellate di carbonio per ettaro. I governi si troverebbero, quindi, nella difficile situazione di dover scegliere uno dei due sistemi di classificazione.
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