Olio di palma: investire nelle piantagioni è rischioso. I prezzi non incorporano i rischi sociali e ambientali connessi all’espansione di queste coltivazioni
Olio di palma: investire nelle piantagioni è rischioso. I prezzi non incorporano i rischi sociali e ambientali connessi all’espansione di queste coltivazioni
Beniamino Bonardi 12 Giugno 2015Olio di palma significa grandi profitti. Ma per realizzarli servono investimenti per espandere le piantagioni, e allora arrivano banche e fondi pensione. Come ha riferito The Ecologist, tre grandi istituti finanziari – Credit Suisse, Mitsubishi UFJ Securities e Oversea-Chinese Banking Corporation – stanno preparando l’emissione di un prestito obbligazionario di 400 milioni di dollari per conto di Golden Agri-Rosurces, che fa parte del colosso indonesiano Sina Mar Group , una società recentemente accusata di accrescere la povertà e l’insicurezza alimentare, sottraendo senza consenso la terra alle popolazioni locali, per realizzare piantagioni di palma.
Come osserva dalle colonne del quotidiano britannico The Guardian Andrew Simms, di Global Witness, sottolinea l’invito alla prudenza proveniente dalle organizzazioni non governative che seguono le vicende delle deforestazioni e delle sottrazioni di terra alle popolazioni indigene. Infatti, dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008, l’investimento nelle piantagioni di palma, il cui olio è sempre più utilizzato per il basso prezzo, ha registrato un’impennata. Tuttavia nel lungo periodo l’investimento potrebbe rivelarsi rischioso, perché il prezzo conveniente dell’olio non incorpora i rischi sociali e ambientali legati al continuo accaparramento di terre e ai cambiamenti climatici connessi alla distruzione delle foreste.
Mentre le aziende europee e statunitensi possono essere perseguite in caso di importazione di legname illegale, non c’è alcun meccanismo di controllo commerciale per quanto riguarda l’accaparramento delle terre e le materie prime che vengono poi coltivate, come olio di palma, gomma e canna da zucchero. In assenza di meccanismi legislativi che regolamentano questo tipo di commercio e sino a quando i prezzi non rifletteranno costi e rischi reali, gli investitori potranno trarre profitto dall’accaparramento di terre, perché non ci sono regole per fermarli.
Mi sembra che il rischio sociale vero per un investitore stia nell’atteggiamento dei consumatori occidentali.
In italiano, se l’olio di palma diventasse talmente “scorretto” da un punto di vista delle politiche industriali, tale da scoraggiarne significativamente il consumo nei paesi occidentali (con le aziende che lo eliminano come ingrediente per paura di perdere clienti) è evidente che un eventuale investitore che volesse operare in questo campo (letterale …) ci deve pensare tre volte. Anche tenendo conto dei tempi tecnici necessari per far crescere le palme (nettamente maggiori rispetto a girasoli o colza)
L’analisi dovrebbe indicare come sostituirlo e, soprattutto, se nelle aree in cui viene prodotto è economicamente possibile sviluppare i suoi “succedanei”: per assurdo, se si passasse tutti al burro, difficilmente i piantatori di palme si potrebbero trasformare in mandriani …
Questo approccio di tutto palma, tutto burro, tutto olio di girasole e scorretto. C’è spazio per tutti, anche se adesso paradossalmente il 90% del mercato usa palma che fino a 30 anni fa era sconosciuto , o meglio lo usava solo Ferrero per la Nutella che ne contiene ancora il 20% circa. I sostituti esistono ma c’è qualcuno che fa finta di non conoscerli . Abbiamo recensito 200 tipi di biscotti senza palma ,60 merendine , quasi trenta creme alla nocciola senza palma. Sono le multinazionali o è aziende come Barilla , Ferrero ,Bauli e le altre che non lo vogliono sostituire.