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L’olfatto è fondamentale per mantenere uno stato di benessere e, soprattutto, per avere un rapporto equilibrato con il cibo. Quest’ultimo, grazie agli aromi sprigionati, stimola l’appetito o, viceversa, suscita una reazione di repulsione che, dal punto di vista evoluzionistico, aiuta a scegliere alimenti adeguati e a evitare quelli pericolosi. Dell’importanza degli aromi per l’appetito si sa molto (anche perché da decenni i meccanismi coinvolti sono sfruttati dalle aziende alimentari). L’effetto del consumo di un alimento sulla percezione del suo aroma invece è stato studiato molto di meno.

A colmare in parte la lacuna provvedono ora i ricercatori della Northwestern University di Chicago, che da molti anni lavorano su questi temi. Gli scienziati hanno condotto un’interessante serie di esperimenti su volontari che dimostrano un fatto piuttosto sorprendente: un certo alimento, dopo che è stato consumato, diventa meno attraente dal punto di vista dell’olfatto, e viene percepito con una sensibilità decisamente inferiore rispetto a quando si è a digiuno. Dal punto di vista evoluzionistico, probabilmente ciò accade per assicurare all’Homo sapiens, onnivoro, la maggior varietà possibile di fonti di nutrienti, e garantire così un apporto sufficiente.

Il consumo di un alimento riduce la sensibilità all’aroma di quello specifico prodotto

Come raccontato su PLoS Biology, per giungere alle loro conclusioni i ricercatori hanno chiesto ai volontari di annusare una miscela di odori, costituita da un aroma alimentare e da uno diverso, nello specifico quello di un panino alla cannella mischiato a cedro, e il profumo di pizza unito all’aroma di pino, in diverse percentuali. Le sessioni si sono svolte in due condizioni differenti: a digiuno, oppure dopo aver consumato l’alimento di cui si sarebbe presto sentito l’aroma. Contemporaneamente, tutti sono stati sottoposti a una risonanza magnetica, per verificare quali aree cerebrali si attivassero, e quanto.

Il risultato è stata una netta differenza tra le due condizioni. Così, per percepire l’odore di panino alla cannella come dominante, i partecipanti hanno avuto bisogno di una miscela composta al 50% da quell’aroma quando erano a digiuno. Hanno invece richiesto fino all’80% dello stesso odore quando hanno fatto il test dopo aver mangiato, appunto, un panino alla cannella. I riscontri della risonanza hanno confermato una minore sensibilità a un certo odore, dopo aver mangiato l’alimento che lo sprigiona, e significative differenze nell’attivazione delle aree cerebrali coinvolte nella regolazione della fame, nella sensazione di sazietà e nei circuiti della ricompensa.

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A sette mesi dall’infezione da Covid-19 molte persone soffrono ancora di una compromissione del senso dell’olfatto

Tutto ciò potrebbe essere utile sia dal punto di vista commerciale per stimolare i clienti di un ristorante in modo ancora più efficace di quanto non accada oggi, sia dal punto di vista medico, per favorire la rieducazione dell’olfatto dopo un trauma o dopo una malattia come il Covid-19. Secondo dati molto recenti relativi a quasi 1.500 pazienti, pubblicati in attesa di revisione su MedRXiv, la perdita di olfatto (anosmia) causata da Sars-CoV-2, che colpisce moltissimi pazienti, dura a lungo. A distanza di sette mesi dall’infezione, il 60% delle donne e il 47% degli uomini  riferisce ancora pesanti distorsioni sensoriali, con una grave compromissione della qualità di vita. Per costoro si stanno studiando protocolli di riabilitazione olfattiva, ma si tratta di terapie ancora sperimentali, da convalidare. Finora i casi erano così pochi che quasi nessuno si era preoccupato di studiare a fondo il recupero dell’olfatto. Il risultato è che le informazioni a disposizione erano pochissime. Il lavoro dei ricercatori di Chicago aggiunge tasselli importanti, che potrebbero contribuire anche a migliorare le terapie contro l’anosmia.

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