A novembre è previsto il referendum sugli Ogm nel più popoloso stato degli Usa, la California. Da questa consultazione si capirà in che direzione stanno andando i consumatori e, quindi, l’opinione pubblica americana e non solo. Con il consueto understatement anglosassone, il quesito è stato chiamato Proposition 37. Un nome anonimo che, però, sottende una questione cruciale, perché al suo esito guarda tutto il mondo della chimica mondiale.

 

Dopo almeno due decenni di lotte senza successo, ambientalisti, consumatori e produttori del biologico (ma anche coltivatori che continuano a utilizzare le sementi e i metodi tradizionali) sono riusciti a indire una votazione nella quale i cittadini della California dovranno dire come la pensano sulla proposta di obbligare chi utilizza ingredienti provenienti da alimenti geneticamente modificati (GM) a indicarne la presenza in etichetta.

 

Leggi di questo genere esistono già in più di 40 paesi, ma non negli Stati Uniti, dove soia, canola e mais GM negli ultimi dieci anni hanno conquistato una parte preponderante del mercato, e si ritrovano dunque in centinaia di alimenti di ogni genere, anche perché entrano ormai nella maggior parte dei mangimi dati agli animali.

 

Il consumatore – è l’argomento principale dei sostenitori – è tenuto all’oscuro, quando invece dovrebbe avere il diritto di sapere, per scegliere consapevolmente.

 

Al contrario – ribattono i produttori – scrivere “Contiene OGM” è come apporre direttamente il teschio sulle confezioni, e significa far sparire dal mercato centinaia di aziende, oltretutto in assenza di prove che certifichino effetti negativi sulla salute umana, come hanno ribadito più volte organizzazioni quali l’OMS.

 

In realtà – rispondono allora i sostenitori – non ci sono studi sufficienti per esprimere un giudizio così netto, in parte proprio perché non è possibile sapere quando un consumatore americano assume alimenti GM, e fino a quando non vi saranno certezze è giusto che ciascuno scelga come comportarsi.

 

Per sostenere le due diverse posizioni sono scese in campo lobbies e associazioni di ogni tipo; la raccolta fondi vede in testa i detrattori dell’indicazione etichetta con una quantità di risorse raccolte che è circa otto volte quella degli avversari e pari a circa 25 milioni di dollari (ma si conta di arrivare almeno a 50). Un tale fiume di denaro è stato sborsato dai colossi della chimica, Monsanto in testa, che ha erogato una donazione da 4,2 milioni di dollari, battendo così di molte lunghezze quella da un milione di dollari fatta da DuPont, Dow AgroSciences, Bayer CropScience e BASF, l’azienda tedesca che ha di recente annunciato di voler trasferire la casa madre proprio negli Stati Uniti.

 

Altri sostanziosi contributi sono arrivati poi, nelle scorse settimane, da PepsiCo, Kellogs, Hershey, General Mills, Cargill, ConAgra e altri, a riprova dell’importanza della posta in gioco. 

 

La domanda a questo punto è: basterà il denaro a vincere? I sondaggi dicono di no, e mostrano una preponderanza di opinioni favorevoli all’indicazione in etichetta, come avvenuto nel caso di 811 cittadini interpellati dai ricercatori della California Business Roundtable e della Pepperdine University School of Public Policy.

 

Il 65% degli intervistati si è detto assolutamente favorevole all’introduzione di una norma specifica. In generale, i sondaggisti – pur sottolineando che l’esito è tutt’altro che scontato – attribuiscono a questa opinione una percentuale non inferiore al 60% dei votanti, dunque un divario che forse il denaro dei colossi industriali non riuscirà a colmare, anche se nei prossimi due mesi possono ancora succedere molte cose.

 

Quello che è certo, secondo molti autorevoli commentatori e come insegna quanto già avvenuto in passato, è che la California farà scuola e che, se la legge dovesse passare, anche il resto della nazione, prima o poi, vi si allineerà e imboccherà la stessa strada già intrapresa dall’Europa, dopo le leggi sono molto più restrittive in diversi paesi, Italia compresa. Di più: se l’indicazione in etichetta fosse obbligatoria, si potrebbe facilmente arrivare – secondo alcuni esperti – a chiedere studi più approfonditi che consentano davvero di escludere rischi per la salute umana, perché una volta imboccata la strada del riferimento esplicito ai composti GM, altre richiesto potrebbero essere accolte più facilmente. Anche per questo il responso è atteso con così tanta ansia (e talvolta terrore) dalle aziende.

 

Agnese Codignola

Foto: Photos.com

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alfredo clerici
alfredo clerici
5 Settembre 2012 13:25

E in Italia?
Nel considerando 21 del regolamento (CE)1829/03 (Alimenti e mangimi geneticamente modificati)si legge:
"L’etichettatura dovrebbe contenere informazioni oggettive indicanti se un alimento o mangime contiene OGM o è costituito o prodotto a partire da OGM. Un’etichettatura chiara, indipendentemente dall’individuabilità del DNA o di proteine risultanti da una modificazione genetica nel prodotto finale, risponde alle richieste espresse in numerosi sondaggi dalla stragrande maggioranza dei consumatori, facilita l’adozione di scelte consapevoli e impedisce che i consumatori siano tratti in inganno per quanto riguarda i metodi di fabbricazione o produzione."

Con buona pace dei â