bananes sur table en vieux bois

Il nuovo OGM si chiama QCAV-4, ed è la prima banana geneticamente modificata approvata per la vendita e il consumo dalla Food Standards Australia New Zealand (FSANZ). Il via libera è stato salutato con molto interesse e sollievo, perché la variazione introdotta consentirà a QCAV-4 di resistere a uno dei parassiti più pericolosi e diffusi al mondo, il fungo del terreno TR4 o Fusarium wilt tropical race 4, isolato in Australia per la prima volta nel 2015. Da allora il fungo, contro il quale non esiste alcun tipo di cura è in rapida espansione, anche a causa delle alluvioni, che lo stanno trasportando per lunghe distanze, e sta minacciando moltissime piantagioni.

Le caratteristiche dell’OGM: QCAV-4

La QCAV-4 è il frutto di studi durati sette anni condotti dai ricercatori dalla Queensland University of Technology (QUT), che sono partiti dalle caratteristiche di una specie di banane selvatiche diffusa nel sud est asiatico, chiamata Musa acuminata malaccensis. Queste banane sembrano essere immuni al TR4 e per tale motivo sono state studiate attentamente. Alla fine, si è scoperto che possiedono la versione attiva di un gene che conferisce resistenza, presente anche nelle banane Cavendish, la specie più diffusa al mondo (che rappresenta il 97% delle colture australiane), ma in una versione disattivata. La modifica genetica è stata quindi quella di introdurre la versione funzionante del gene nelle Cavendish. Tutti i test effettuati hanno poi confermato che non c’è alcun tipo di rischio per la salute, e che anche dal punto di vista nutrizionale non ci sono differenze rilevanti rispetto alle banane classiche.

Una specie ancora sotto tutela

Anche se manca ancora l’ultima autorizzazione, e cioè quella dei Ministeri del cibo di Australia e Nuova Zelanda (data per scontata), ci sono già le regole. Le banane QCAV-4 saranno coltivate in zone separate dalle altre e controllate, per evitare contaminazioni incrociate. Sarà possibile utilizzarle sia per la vendita al dettaglio, sia per le ricette degli alimenti processati e quindi in forma di polpa, frutto surgelato o disidratato. Le etichette dovranno rispettare le norme già esistenti per gli altri alimenti ottenuti da OGM approvati.

Infine, i ricercatori della QUT hanno chiesto il via libera per la tecnica che ha portato alla QCAV-4, chiamata Gene Technology Regulator (GTR), perché sperano di poterla utilizzare anche contro altre malattie devastanti delle banane come il sigatoka nero o Mycosphaerella fijiensis, un fungo che colpisce le foglie, anch’esso molto diffuso e capace di danneggiare seriamente le piante.

Due banane mature con macchie marroni sul tavolo giallo brillante, vista dall'alto, spazio vuoto. OGM
Le etichette dovranno rispettare le norme già esistenti per gli altri alimenti provenienti da OGM approvati.

I diritti dei lavoratori

Intanto, qualcosa si muove anche sul fronte dello sfruttamento dei lavoratori, che sta diventando più complicato, almeno in Gran Bretagna. Diversi rivenditori, tra i quali Sainsubury’s, Mark’s & Spencer, Lidl UK e Co-op hanno aderito alla Sustainable Trade Initiative che ha lo scopo di arginare il fenomeno e di assicurare a chi coltiva e raccoglie le banane il giusto compenso. Lo racconta il sito Food Navigator, spiegando che entro il 2027 saranno calcolati (con uno strumento chiamato salary matrix) e poi riconosciuti compensi sufficienti a garantire una sopravvivenza dignitosa. Il programma prevede anche un sostegno per il miglioramento e l’espansione delle strutture per la lavorazione delle banane, in modo che l’economia locale possa crescere grazie anche ai maggiori margini e agli investimenti che deriveranno da essi. Iniziative analoghe sono già state attivate in Germania, Belgio e Olanda.

Il caso Sainsbury’s

In particolare, Sainsbury’s ha deciso di iniziare da subito, grazie alla collaborazione con l’organizzazione Fairtrade, a riconoscere ai lavoratori il giusto prezzo (chiamato Fairtrade Living Wage Reference Price) per le banane coltivate in Ghana, Camerun, Colombia e Repubblica Domenicana, offrendo contratti di durata medio-lunga. Inoltre, lancerà programmi incentrati sulla sostenibilità delle coltivazioni, sulla cattura della CO2, la razionalizzazione dell’uso dell’acqua, la tutela della biodiversità e della salute dei terreni, anticipando così gli obbiettivi fissati per il 2027.

Secondo la Fairtrade Foundation, l’intervento nel settore è particolarmente urgente, perché i lavoratori delle banane sono tra i più vulnerabili del pianeta. Non hanno quasi alcuna speranza di coltivare in proprio, e molto spesso non hanno alcun tipo di contratto, né alcuna possibilità di riunirsi in un sindacato, come si vede, tra gli altri, in Perù, Ecuador e nella Repubblica Dominicana. Inoltre, non hanno accesso all’assistenza sanitaria, o garanzie per i bisogni più elementari.

Anche se non tutti sono convinti di questa iniziativa, è senz’altro un segnale, e un inizio di un commercio diverso, più giusto e più controllato.

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giova
giova
28 Febbraio 2024 10:45

Un giusto prezzo riconosciuto ai raccoglitori mi sembra il minimo che si possa fare … a quando anche contratti decenti e prevenzione delle malattie professionali?

Luca
Luca
14 Marzo 2024 11:09

considerando che le banane Cavendish ormai sono di fatto diventate l’unica varietà coltivata su larga scala (pare che quasi il 99% delle banane che arrivano nei “paesi sviluppati” siano di questa varietà), e che non si riproducono da semi ma solo per talea (quindi di fatto sono tutte “cloni” di una stessa pianta: zero varietà genetica), era ovvio che prima o poi sarebbe arrivato qualche parassita/fungo/malattia che avrebbe spazzato via tutte le piantagioni…

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