Uno studio pubblicato di recente negli Stati Uniti mette in discussione la teoria per la quale la contaminazione delle coltivazioni tradizionali con Ogm sia causata soprattutto dal trasferimento di polline da parte degli insetti.

Secondo i ricercatori, la colpa delle contaminazioni accidentali non è delle api ma dell’uomo: per la scarsa attenzione durante la produzione, il trasporto, il deposito e la manipolazione di sementi geneticamente modificate.

Le buone prassi di coltivazione prevedono barriere fisiche di arbusti tra le colture tradizionali e quelle Ogm: queste “zone-cuscinetto” impediscono l’impollinazione incrociata e offrono un rifugio ai parassiti minacciati dai pesticidi diffusi sulle piantagioni Ogm (per esempio il glifosato), per evitare che si sviluppino resistenze. Però, secondo lo studio pubblicato su PLoS ONE, se le sementi Ogm non sono manipolate con le dovute accortezze, anche le barriere fisiche diventano inutili.

La squadra degli entomologi dell’Università dell’Arizona, guidata da Shannon Heuberger, ha misurato il trasferimento di geni su 15 coltivazioni tradizionali (130 ettari) che si trovano in un’area coltivata a cotone Ogm. I ricercatori hanno visto che il flusso di geni dovuto a trasmissione di polline dalle api incide per meno dell’uno per cento.

Viceversa, la scarsa attenzione nel gestire le diverse sementi risulta la principale causa di contaminazioni, fino al 20%. Un esempio di errore umano: il riutilizzo per le sementi convenzionali di sacchi che in precedenza contenevano sementi Ogm.

«Gli agricoltori possono minimizzare il flusso di geni analizzando i semi prima della piantagione e prestando maggiore attenzione in tutte le fasi della coltivazione –  ha affermato Shannon Heuberger. – Invece, mettere a punto strategie per ridurre al minimo l’impollinazione incrociata da parte degli insetti è assai più difficile».

Lo studio sostiene che le istituzioni e i produttori di sementi dovrebbero considerare l’opportunità di sottoporle a regolari analisi per mantenere sotto controllo la presenza di semi Ogm nelle forniture, oltre a raccomandare agli la necessità di tenere separati rigorosamente i diversi tipi di sementi per ridurre le probabilità di errore umano.

E in Europa, a che punto siamo? La situazione appare ancora una volta peculiare, sotto diversi aspetti:

– lo straordinario rigore della legislazione comunitaria in materia* ha di fatto causato il trasferimento della ricerca sugli Ogm al di fuori dell’Europa;

– la mancata adozione delle misure attuative delle regole europee, atte a garantire la coesistenza tra colture tradizionali e geneticamente modificate nel rispetto della biodiversità, ha reso impossibili le coltivazioni Ogm nella gran parte dei Paesi Ue;

– nel frattempo, la Commissione europea ha presentato un rapporto sulle buone prassi agricole per la coesistenza delle colture Ogm con quelle convenzionali e biologiche, realizzato dallo European Coexistence Bureau (ECoB;

– l’Europa, se pure all’avanguardia nella legislazione, dipende ora non solo per know-how e tecnologie ma anche per le forniture materie prime di base, quali soia, mais, girasole, colza da Paesi come gli Usa, dove è carente sia la volontà politica sia la dedizione “nei campi” per evitare la contaminazione di semi, campi, raccolti e ambiente;

– infine, poiché dipendiamo dalle forniture di Paesi terzi ove le coltivazioni Ogm sono assai diffuse e la contaminazione accidentale inevitabile, sia pure in minima parte, dobbiamo ora al più presto introdurre una “soluzione tecnica” per evitare il rischio di “rimanere a secco” e di non poter utilizzare derrate di cui non possiamo fare a meno.

(*) dir. 2001/18/CE ; reg. CE n. 49, 50/2000 poi sostituiti dai reg. CE n. 1829, 1830/03

 

Dario Dongo

foto: Photos.com

 

Per maggiori informazioni:

Pollen- and Seed-Mediated Transgene Flow in Commercial Cotton Seed Production Fields”, pubblicato il 30.11.10 da Shannon Heuberger, Christa Ellers-Kirk, Bruce E. Tabashnik, Yves Carrière, Department of Entomology, University of Arizona, Tucson, Arizona, United States of America, su http://www.plosone.org/article/info:doi/10.1371/journal.pone.0014128