Un bambino paffuto viene misurato da un medico amichevole. Conseguenze delle cattive abitudini alimentari.

Al congresso europeo sull’obesità, svoltosi nei giorni scorsi a Malaga, in Spagna, i bambini sono stati tra i protagonisti principali. Un numero significativo (e crescente rispetto alle edizioni passate) di studi presentati era infatti incentrato sull’importanza del peso nei primi anni di vita, sul ruolo delle madri ancora prima della gestazione e sulle conseguenze di un’infanzia contrassegnata da sovrappeso e obesità. Ecco alcuni dei risultati più interessanti:

In forma ancora prima della gravidanza

Sempre più spesso – in un caso su due circa – le donne arrivano alla gravidanza in una condizione di sovrappeso o di obesità, riflettendo la tendenza della popolazione generale. Ma questo ha conseguenze sul feto e sul bambino, come hanno mostrato i risultati di uno studio dell’Università di Adelaide, in Australia, che si è protratto per più di dieci anni, condotto su oltre 2.100 donne con un indice di massa corporeo o BMI superiore a 31,1 (e quindi nel range dell’obesità).

Al momento della conferma della gravidanza, le donne sono state suddivise in due gruppi: uno di controllo, e uno avviato a un protocollo che prevedeva informazioni su una dieta sana, con più vegetali e fibre, e meno carboidrati raffinati e sul ruolo dell’attività fisica. A una prima analisi, resa nota nel 2014, si era visto che chi aveva seguito la dieta e aveva fatto sport aveva avuto anche una probabilità di avere un figlio di peso superiore ai 4 chilogrammi (fattore di rischio per l’obesità infantile) inferiore del 18% rispetto alle altre.

Le prime settimane

Nella parte di studio presentata ora, i ricercatori hanno posto l’attenzione sull’effetto del peso eccessivo nelle prime settimane di gestazione sui bambini alla nascita e poi a 6 mesi, 18 mesi, 3-5 anni e 8-10 anni. Il risultato è stato che, per ogni 5 punti di BMI della madre in più, il figlio ne aveva 0,11 alla nascita e di 0,74 all’età di 8-10 anni. Il rapporto iniziava a essere molto visibile a 3-5 anni, raggiungeva il massimo a 8-10 ed era influenzato, soprattutto in quest’ultima fascia di età, anche dal BMI del padre. Per questo, e pensando anche ai primi risultati (del 2014), la conclusione è che è fondamentale informare le donne che intendono avere un figlio e che sono già in sovrappeso od obese. Rese più consapevoli di ciò che questo comporta per i figli, devono essere aiutate a rientrare nei parametri normali, se possibile prima della gestazione.

Ragazza grassa che mangia patatine da una ciotola mentre è seduta sul pavimento in salotto, vista laterale. Bambino caucasico sovrappeso in abiti casual si diverte a condurre uno stile di vita malsano, a mangiare cibo spazzatura e a guardare la tv.
Se l’obesità è ancora presente ai sei anni, si ha una probabilità più elevata di essere adolescenti e poi giovani obesi

I primi sei anni

Dopo la nascita, i primi anni sono cruciali, e i cinque-sei segnano un momento di svolta, al punto che per ogni punto di BMI in più a sei anni si vede un rischio di 2,3 volte (quindi più che doppio) di essere obeso a 18 rispetto a chi, alla stessa età, è nei limiti.

La relazione è emersa in un altro studio, presentato dai ricercatori dello University Medical Center di Rotterdam, in Olanda, che hanno lavorato sui dati ufficiali del peso alla nascita e poi a due, sei, dieci, 14 e 18 anni di oltre 3.500 bambini. Dopo la nascita e fino ai 14 anni, i tassi di obesità erano, rispettivamente, pari a 32,3%, 22,3%, 24,7% e 20,6%, ma al raggiungimento della maggiore età molti di coloro che erano già obesi prima lo sono rimasti. Tra questi, infatti, gli obesi diciottenni erano, sempre rispettivamente, il 32,5%, il 53,9%, il 57,2%, e addirittura il 70,3%.

Analizzando i dati è emerso poi che l’età critica sono i sei anni. I bambini che sono in sovrappeso oppure obesi nei primi anni, ma che rientrano nei parametri normali entro i cinque, non sembrano avere conseguenze: crescendo, avranno le stesse probabilità di chi ha avuto un’infanzia più in linea con la normalità. Se invece l’obesità è ancora presente ai sei anni, anche se si perdono chili si continua ad avere una probabilità più elevata di essere adolescenti e poi giovani obesi. E ciò conferma l’importanza di un peso entro la norma già nei primi anni.

Fino ai dieci

Del resto, che l’infanzia sia cruciale, lo ha ulteriormente confermato un secondo studio incentrato sui primi anni e condotto su 700 bambini che erano stati arruolati nel Copenhagen Prospective Studies on Asthma in Childhood, uno studio di popolazione condotto in Danimarca. In esso infatti i partecipanti sono stati controllati regolarmente dalla prima settimana di vita fino ai dieci anni, con esami del sangue e dati clinici e antropometrici e sono stati suddivisi in tre gruppi: quelli stabili (circa due terzi del totale), quelli che erano aumentati di peso ma poi si erano stabilizzati (un sesto) e quelli che avevano continuato ad aumentare il proprio peso (un altro sesto).

In questi ultimi, che erano quelli a BMI maggiore, e con il peggior rapporto tra grasso addominale e altezza, i parametri metabolici associati al rischio cardiovascolare come la pressione sanguigna, il colesterolo, i trigliceridi, le HFL, le proteine che segnalano l’infiammazione e quella della resistenza all’insulina erano peggiori. Questi bambini e adolescenti si stavano candidando così a una vita adulta non in salute.

Obesità e discriminazioni

A loro volta, infine, le patologie associate all’obesità hanno ripercussioni anche sull’attività lavorativa e, prima che essa inizi, sul rendimento scolastico. Lo ha mostrato uno studio svedese, nel quale i ricercatori hanno indagato la storia di oltre 3.500 bambini obesi e di oltre 16.000 controlli, tutti nati tra il 1978 e il 1996, che ha messo in evidenza le grandi differenze nell’età adulta. A 25 anni, infatti, lavorava solo poco più di un quarto dei primi, contro il 68% dei secondi e, sempre a quell’età, non lavorava a causa di un qualche disturbo o malattia l’8,1% dei primi, contro il 2,3 dei secondi.

In generale, la probabilità di diventare adulti colpiti da qualche patologia era quadrupla in chi era stato obeso da bambino, e il rischio aumentava con la gravità dell’obesità. Anche durante l’età scolare, gli abbandoni erano nettamente superiori in chi era obeso, e anche questo contribuiva a una traiettoria lavorativa peggiore, essendo minore la qualifica raggiunta. Tra le cause dell’abbandono si devono annoverare anche lo stigma, l’esclusione sociale, e la conseguente depressione cui vanno incontro molto bambini obesi. E anche per questo è davvero importante che il peso dei bambini sia sempre tenuto sotto controllo: da ciò che si fa nei loro primi anni dipende gran parte della loro vita.

© Riproduzione riservata. Foto: Depositphotos

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