Un gruppo di ricerca guidato dall’Università Milano-Bicocca ha dimostrato che, nelle persone affette da obesità, l’eccessivo desiderio per il cibo dipende da un’alterazione di connettività a livello di specifici circuiti cerebrali. Si tratta di uno studio molto interessante perché apre la strada a nuovi interventi terapeutici per il trattamento di questo problema.
La teoria secondo cui la visione di immagini di alimenti particolarmente appetitosi, il più delle volte ricchi di sale, zucchero e grassi, sia in grado di creare un eccesso di desiderio per il cibo non è una novità. Non era noto invece che alla base di questo fenomeno vi fosse uno sbilanciamento nella forza di alcune connessioni cerebrali che originano dal cosiddetto ‘sistema di ricompensa’ (un gruppo di strutture neurali responsabili della motivazione a ricercare stimoli gratificanti). Tale scoperta è stata fatta da un gruppo di ricerca composto dalle università milanesi Bicocca, Statale e gli IRCCS MultiMedica e IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio. Lo studio è stato condotto dal ricercatore Francantonio Devoto e coordinato dal professor Eraldo Paulesu, entrambi del dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca; tra gli autori figurano anche Livio Luzi e Anna Ferrulli (IRCCS MultiMedica e Università degli Studi di Milano), Giuseppe Banfi (IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio) e Laura Zapparoli (Milano-Bicocca e IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio).
Per la prima volta è stato dimostrato che nei pazienti con obesità, l’area tegmentale ventrale – una regione cruciale del ‘sistema di ricompensa’ – è connessa in modo anomalo con il resto del cervello. “Abbiamo studiato – precisa Laura Zapparoli, coautrice dell’articolo e ricercatrice del dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca – la forza delle connessioni tra alcune aree cerebrali che appartengono al cosiddetto ‘circuito del piacere’ o ‘sistema di ricompensa’ e il resto del cervello, in persone normopeso e in pazienti affetti da obesità. I risultati mostrano uno sbilanciamento nella forza di alcune di queste connessioni cerebrali nelle persone obese. Si rileva una connessione più forte con aree del cervello deputate all’elaborazione visiva di cibi e una connessione più debole con un’area del lobo frontale coinvolta nel controllo inibitorio del comportamento. Abbiamo ipotizzato che questo sbilanciamento nelle connessioni possa riflettere la difficoltà dei pazienti obesi di resistere alla tentazione quando vengono esposti al cibo.”
In altre parole, il soggetto obeso che vede l’immagine di un succulento hamburger o di una torta alla crema ricca di panna, in virtù di questa aumentata connettività cerebrale, tende ad anticipare la gratificazione rispetto ai soggetti normopeso e quindi incentivare e stimolare in misura maggiore il consumo. Questo concetto potrebbe applicarsi anche ai bambini obesi che stanno ore davanti al computer o alla tv, e vedono di continuo immagini di cibi ultra processati ricchi di calorie e zuccheri. La visione di queste immagini, in virtù dell’alterata connettività cerebrale, può rendere più difficile resistere alla tentazione di consumare quel particolare tipo di alimento. “I nostri risultati – continua Zapparoli – aprono la strada a nuovi interventi per il trattamento dell’obesità: lo studio fornisce infatti il razionale per l’utilizzo di tecniche di neuromodulazione cerebrale non invasiva per ricalibrare la connettività cerebrale, in combinazione con una corretta educazione alimentare”.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Viene da ipotizzare che l’aumentata forza di questa connessione possa essere dovuta ad una sua massiccia stimolazione, specialmente nell’età pediatrica, quando tutte le reti neuronali cerebrali sono particolarmente plastiche e si strutturano per la vita in base a quanto vengono adoperate. Penso al bombardamento di immagini di cibo cui tutti, bambini compresi, siamo esposti sui media e nella vita quotidiana, e al diffuso e esagerato consumo di tali cibi. Quindi, nel caso, sarebbe molto opportuno lavorare sulla prevenzione, vietando (o perlomeno limitando di molto) le pubblicizzazione di questi alimenti, e la loro commercializzazione. Un po’ utopico, temo….
Bisogna anche ricordare che tali meccanismi celebrali sono dovuti alla nostra evoluzione, da quando centinaia di migliaia di anni fa i primi uomini erano semplici cacciatori/raccoglitori.
Alimenti ricchi di zucchero e di grasso erano rari da trovare ed essendo queste sostanze molto importanti per la sopravvivenza (danno energia e vanno ad integrare il deposito di grasso corporeo, indispensabile per poter resistere a periodi di carestia), allora il nostro cervello si è strutturato affinché risultassero cibi appetibili ed appaganti per il palato. Istintivamente siamo portati a consumarne il più possibile.
Ora il problema è che l’evoluzione della società consumistica è molto più veloce dell’evoluzione del cervello ad adattarsi alle nuove situazioni alimentari: troppo zucchero e troppo grasso sono dannosi ma il cervello ancora non si è adattato a questa nuova realtà.
Un esempio per meglio chiarire: la stragrande maggioranza di noi se vede un serpente ha istintivamente una sensazione di paura e di pericolo (messaggio ancestrale), se vede un’automobile invece no.
Ma oggi si muore più a causa delle automobili o dei serpenti?