La Nutella non è tutta uguale. In Italia è più cremosa, mentre negli Stati Uniti la ricetta favorisce un aumento della consistenza, così da avvicinarla al burro di arachidi (il Washington Post evidenzia altre differenze percepibili al palato, ma non certe. Si possono leggere qui). Lo stesso capita per la Coca-Cola: oltreoceano troviamo la variante cherry, arricchita al succo di ciliegia, che qui in Italia non ha avuto alcun successo. Senza trascurare gli esempi che giungono da McDonald’s e Unilever, che adattano le loro produzioni in base ai gusti dei diversi Paesi.  Per conquistare fette di mercato sempre più ampie, le aziende alimentari hanno capito che non basta un unico prodotto: se l’obiettivo è raccogliere proseliti da una parte all’altra del mondo sarà necessario assecondare e abbracciare i gusti, le abitudini e le usanze specifiche di un certo Paese, apportando modifiche alla ricetta originale.

Come cambiano nel mondo Nutella & co.

Quella che può sembrare una tendenza anomala, è invece una strategia di marketing sempre più diffusa nel panorama del food and beverage internazionale. In gergo tecnico si parla di adattamento di prodotto. In pratica si modifica l’offerta sulla base dei bisogni e delle richieste locali. «Nonostante la globalizzazione – spiega Massimiliano Bruni, responsabile del Knowledge Center sul Food and Beverage della Scuola di Direzione Aziendale (SDA) dell’Università Bocconi di Milano – tra i diversi Paesi esistono delle differenze che si ripercuotono anche nelle scelte alimentari.

US Nutella Ingredients
Secondo il Washington post la Nutella venduta negli USA è diversa da quella venduta n Europa

Quando si opera in Paesi lontani con uno stesso prodotto bisogna considerare l’impatto del clima, della religione, della tradizione, del gusto e dei sapori. Lo hanno capito soprattutto le multinazionali, impegnate nel ricercare un equilibrio tra l’informazione delle produzioni e la necessità di conquistare il primato in mercati molto diversi». Sono molte le aziende che individuano le opportunità di crescita offerte dai vari mercati, valutando se le differenze legislative tra i diversi Stati permettono la vendita di prodotti con lo stesso nome.

Prodotti adattati ai gusti locali

I modi per adattare un alimento o una bevanda agli usi e costumi del Paese sono essenzialmente tre. Il primo è quello di variare la ricetta e le varianti di gusto come fa Ferrero con la Nutella (del tema si è occupato anche il Washington Post) e l’Algida con la Viennetta, quest’utlima è disponibile in Gran Bretagna anche ai gusti menta o fragola. Si tratta di due varianti che difficilmente passerebbero sul mercato italiano, dove invece il prodotto viene commercializzato nei gusti vaniglia, zabaione, choco nut, crème brulée e tiramisù. Sempre all’interno del primo sistema, troviamo modifiche agli ingredienti, al  dosaggio, o il cambiamento delle porzioni (fino a poco tempo fa i panini di McDonald’s usati in Italia erano più grandi rispetto a quelli venduti negli Stati Uniti).

Viennetta Selecton Red Berries
Nel Regno Unito è in commercio la Viennetta al gusto frutti rossi

Nulla di tutto ciò è proibito, anche se non esiste comunicazione: «Perché – si domanda Bruni Ferrero – dovrebbe dire a un americano che la Nutella che compra a New York non è esattamente identica a quella che trova in Italia?». La politica dell’adattamento è stata sposata anche da Coca Cola, che nei Paesi mediorientali vende una bevanda più dolce rispetto a quella commercializzata in Italia. Vale la pena citare anche il caso della multinazionale svizzera Nestlé – proprietaria di marchi di acque minerali San Pellegrino, Panna, Levissima, Recoaro, Vera – che propone soprattutto nei paesi anglosassoni acque minerali aromatizzate mentre in Italia non hanno praticamente mercato.

Anche i fast food si adattano

La seconda forma di adattamento riguarda le imprese che operano nella ristorazione collettiva e le catene di fast food. Può essere spiegata in questo modo la scelta compiuta un paio d’anni fa da McDonald’s in Italia di siglare il “matrimonio” con Barilla inserendo la pasta in assortimento, dopo una serie di iniziative mirate ad avvicinarsi ai gusti degli italiani, di cui Il Fatto Alimentare ha più volte parlato in passato.

Un discorso simile è stato fatto in India, con il lancio del Maharaja Mac, un doppio sandwich con carne di pollo per andare incontro alle restrizioni di natura religiosa seguite dalla popolazione. L’ultimo modo per “localizzare” consiste nel cambiare il nome del prodotto, o talvolta della marca, come fa Algida, per esempio. Non di rado all’estero capita infatti di acquistare un gelato che abbia come logo il cuore rosso su sfondo bianco, associato a un brand locale: Frigo, Miko, Eskimo o Wall’s. «È una scelta dettata dalla necessità di diffondersi su un mercato in cui il nome Algida sarebbe poco riconoscibile», chiosa Bruni. Poteri della globalizzazione del cibo.

Fabio Di Todaro  Twitter @fabioditodaro

© Riproduzione riservata Foto: iStockphoto.com

Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.

Dona ora

0 0 voti
Vota
6 Commenti
Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Marco M.
Marco M.
13 Marzo 2015 17:29

Nel link relativo alla Nutella c’è un commento che dice

It’s sustainable palm oil, thanks to a suit brought by the French government a couple of years ago.

Ne sapete nulla?

Roberto La Pira
Reply to  Marco M.
13 Marzo 2015 18:17

Sappiamo che Ferrero dichiara di usare per la Nutella olio di palma certificato RSPO e che solo da pochi mesi ha iniziato a dichiararlo in etichetta come prevede la legge.

Gianpetrubaldo Ignazi
Gianpetrubaldo Ignazi
13 Marzo 2015 19:26

Sono stato in Giappone nel 2012 e lì hanno letteralmente migliaia di gusti che nel resto del mondo non esistono.
Qualche esempio:
Un gelato al gusto di minestra, era orribile.
Un gelato al sesamo nero, buonissimo.
La melon soda e la calpis soda, buoni.
Bibite al gusto di cipolla e mais, stranamente erano buone.
Cioccolatini aromatizzati in tutti i modi.

maurizio finzi
maurizio finzi
16 Marzo 2015 10:10

Articolo molto esaustivo. “Il fatto alimentare” è davvero giornalismo di “servizio”, continuate così.

Eliseo Patriarca
Eliseo Patriarca
19 Marzo 2015 10:43

Chiedo troppo se anzichè il brutto “food and beverage” venisse scritto il bel “cibo e bevande”?

angelo41
angelo41
Reply to  Eliseo Patriarca
19 Marzo 2015 20:58

Concordo in pieno. Basta con queste traduzioni che ci fanno tanto “provinciali”.