Noci aperte e chiuse su tavolo di legno

noci sgusciate ciotolaDa alcuni anni i consumi di frutta secca sono in aumento e l’incremento è collegato anche alla comparsa sul mercato di piccole confezioni di frutta mista, proposte al pubblico come snack salutari. A parte le bacche essiccate di goji, aronia o physalis – arrivate da poco sul mercato e classificate in modo improprio come superfood – queste confezioni contengono noci, nocciole, mandorle, e anche noci del Brasile o di macadamia. Sono alimenti molto energetici in virtù dell’elevato contenuto di grassi, ma anche validi snack, perché contengono grassi “buoni” (omega-3 e omega-6), vitamine (soprattutto la E e quelle del gruppo B), sali minerali e sostanze ad azione antiossidante. Forniscono energia senza l’eccesso di zuccheri che caratterizza altri snack e sono utili per prevenire malattie cardiovascolari.

Le noci, se consideriamo sia i frutti in guscio che sgusciati, sono le più vendute, tanto che il consumo nazionale – secondo Nucis Italia associazione delle principali aziende del settore – ammonta a circa 50mila tonnellate l’anno, pari a un decimo del consumo europeo.

Il noce viene utilizzato da secoli nel nostro Paese sia per il legno sia per i frutti. Le regioni dove la coltura è più estesa sono la Campania, l’Emilia-Romagna e il Veneto. Le noci si raccolgono all’inizio dell’autunno, poi vengono immagazzinate e commercializzate come frutti secchi. Da alcuni decenni però questa coltura è in declino, insieme a quella di altri prodotti “faticosi”, perché tipici di zone collinari, come le castagne, che però hanno un utilizzo molto più stagionale. Per questo motivo l’aumento dei consumi deve essere sostenuto con importazioni, che superano di gran lunga il prodotto italiano.

Secondo i dati diffusi da Confagricoltura, in Italia si è passati dalle 80 mila tonnellate degli anni Sessanta, a 43 mila nel 1980 fino alle attuali 12 mila. Parallelamente dal 1991 a oggi le importazioni di noci con guscio sono più che triplicate, passando da 13 mila a quasi 41 mila tonnellate, mentre l’import di quelle sgusciate è balzato da 400 a quasi 7 mila tonnellate.

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In Italia, la produzione di noci è scesa dalle 80 mila tonnellate degli anni Sessanta, alle attuali 12 mila

“Il trend della produzione in Italia è stato negativo per molti anni – spiega Federico Bertetti produttore di noci e presidente di Nogalba, associazione che riunisce le aziende del nord Italia – e anche la qualità è diminuita. La maggior parte del prodotto veniva dalla Campania, ma poi la regione è stata in parte esclusa dal mercato per le caratteristiche del prodotto poco adatte alle richieste. Alla fine degli anni Ottanta abbiamo iniziato a sviluppare il settore nel Nord-Est, in particolare in Veneto, avviando una nocicoltura specializzata, non più destinata ai territori marginali, ma più curata e professionale. Adesso in questa parte d’Italia si producono circa 40 mila quintali di noci, che vanno esaurite fra settembre e dicembre”.

I principali Paesi produttori, nel mondo, sono Cina, Stati Uniti (in particolare la California), Iran e Turchia, mentre i più importanti fornitori per il nostro Paese sono Stati Uniti, Francia e Cile. Dato che le noci in commercio, come gli altri prodotti ortofrutticoli, devono per legge riportare l’indicazione dell’origine (fanno eccezione quelle sgusciate), in qualsiasi supermercato possiamo trovare prodotto importato dal Cile, dagli Stati Uniti o anche dall’Argentina e dall’Australia a seconda della stagione di raccolta, a fianco di noci italiane, spesso sorrentine, venete o romagnole. I prezzi cambiano, ma non così tanto e le più costose sono sempre le noci italiane.

In un punto vendita Pam di Bologna, per esempio, il prezzo dei frutti con guscio varia da 9,0 €/kg per quelli venduti sfusi (provenienza Usa), a quasi 12 euro per le noci romagnole, mentre si arriva a 14 €/kg per quelle biologiche firmate dall’azienda Noberasco (Usa). Anche quelle proposte con il marchio Pam costano 9,0 €, provengono dagli Stati Uniti e sono sbiancate con ipoclorito. Una parentesi sull’ipoclorito: è un trattamento esterno consentito per pulire le noci (praticamente acqua e varechina). Molti produttori però evitano di farlo perché, se una piccola quantità di ipoclorito raggiunge il gheriglio interno, può alterare il sapore delle noci.

Considerando che il guscio pesa per il 50% circa, e la lavorazione comporta un certo costo, le noci sgusciate hanno prezzi più elevati. Nello stesso supermercato bolognese le noci sgusciate confezionate a marchio Pam costavano ben 27 €/kg, e anche le vaschette di prodotto preincartato (confezionate nel punto vendita), contenenti noci provenienti dall’Ucraina, non variavano molto di prezzo (24 €/kg).

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I prezzi delle noci possono variare molto, a seconda che siano italiane o straniere, biologiche o convenzionali, con guscio o sgusciate

In un punto vendita Coop di Ferrara il prezzo delle noci, più omogeneo, va da 8,70 a 9,70 €/kg; quelle a marchio sono di provenienza Usa e quelle vendute sfuse, italiane, vengono dalla Romagna. Le noci biologiche sgusciate, a marchio Noberasco (in confezione da 40 g) costano addirittura 37 €/kg. Sul sito dell’Esselunga, invece, le noci sono proposte a un prezzo che va da 7 a 10,50 €/kg; quelle a marchio insegna provengono dalla Francia o dal Cile a seconda della stagione. Quelle biologiche (Esselunga Bio), vendute a 9,78 €/kg, sono francesi.

Data la grande richiesta, è necessario importare questi frutti, e sembrerebbe logico aspettarsi i prezzi più elevati per le noci che vengono da lontano, invece è sempre il prodotto italiano quello più costoso, perché le nostre produzioni sono considerate “di nicchia”. Evidentemente trasportare dei container di noci dal Cile o anche dall’Australia non è tanto costoso.

“Il prodotto importato – dice Bertetti – costa meno perché i disciplinari di produzione in molti Paesi sono più permissivi. Per esempio sono permessi antiparassitari che in Italia non sono autorizzati e questo permette di incrementare le rese. Le noci che arrivano in Italia non contengono residui, perché sono controllate, però i nostri disciplinari sono più severi e possono causare una perdita di produzione fino al 30%. Inoltre il costo del lavoro in Italia grava sul prezzo finale e questo non succede in Cile, e anche in California perché spesso le aziende utilizzano manodopera messicana”.

Rimane da considerare l’impatto ambientale, considerando che per il trasporto via mare è minore rispetto a quello su strada: una tonnellata di prodotto trasportata su strada con un tir produce sei volte più anidride carbonica per chilometro percorso, rispetto al trasporto su una nave di grosse dimensioni. In ogni caso dal Cile all’Europa la strada da fare è lunga e, quando arrivano in un porto europeo, le merci devono comunque percorrere un tratto su strada.

Le superfici dedicate alla coltivazione delle noci stanno aumentando, sia in Italia che in altri Paesi in tutto il mondo

“Le superfici coltivate a noci stanno aumentando in Italia – fa notare Bertetti – ma anche in molti altri Paesi, in tutto il mondo.  Nel nostro Paese produrre noci sarebbe interessante solo riuscendo a difendere la qualità e il prezzo, che è più elevato rispetto a quelle importate. È vero che i consumatori sono sempre più interessati ai prodotti italiani, però questo purtroppo fa aumentare anche il rischio di falsificazione dell’origine”.

Insomma, un nuovo sviluppo del prodotto italiano potrebbe essere interessante per i consumatori, per gli agricoltori e per l’ambiente. Per garantire un prodotto locale, però, da un lato i controlli sull’origine dovrebbero diventare più rigorosi e dall’altro i consumatori dovrebbero essere disposti a pagare qualcosa in più.

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Luigi
Luigi
21 Febbraio 2018 11:07

Comunque, credo che i prezzi siano esagerati, se non folli, come quello di circa 40 Euro al Kg.
In Italia, appena un prodotto o un cibo diventa di moda, o di nicchia come dicono, è subito considerato
di lusso ed esclusivo.