Nestlé è di nuovo al centro di uno scandalo, per aver tentato – e ce l’aveva quasi fatta – di mettere in campo una delle tecniche più note e consolidate di influenza sui medici: la sponsorizzazione di un grande evento, il congresso europeo sull’obesità ECO2023, che si svolgerà a Dublino nel prossimo mese di maggio. Grazie a un contributo di 85mila euro, associato non al marchio Nestlé ma al suo marchio di prodotti per la perdita di peso, PronoKal, la multinazionale sarebbe stata infatti tra i primi cinque sponsor dell’evento, e avrebbe avuto così diritto alla distribuzione di materiale con il marchio, al patrocinio di incontri e workshop, all’organizzazione di cene ed eventi sociali e ad altre iniziative tipicamente collegate ai meeting scientifici. Ma qualcuno se n’è accorto, vedendo il marchio Nestlé sulle pagine web di promozione del congresso, e ha iniziato a protestare via social. Il risultato è stato una lettera aperta pubblicata sul British Medical Journal da esperti di diversi Paesi (nessuno dei quali italiano) e il ritiro di entrambi i marchi e della sponsorizzazione.
Come ha spiegato uno degli autori dell’appello, Christoffer van Tulleken dello University College di Londra, Nestlé ricava i suoi guadagni soprattutto da alimenti ultratrasformati (che costituiscono, secondo la stessa azienda, più della metà del portfolio) e dal latte artificiale e non può essere parte della soluzione del problema fino a quando il suo core business, più che legittimo, sarà quello.
Dalla vicenda non esce affatto bene neppure l’organizzazione del congresso, i cui rappresentanti hanno affermato, in modo assai poco credibile, di non sapere che PronoKal fosse un marchio di Nestlé: una dichiarazione che si scontra con la testimonianza di Mélissa Mialon, nutrizionista del Trinity College di Dublino, che, sempre al BMJ, ha dichiarato di essere in possesso di screenshot nei quali figurava il logo della Nestlé, prima della sua rimozione. Del resto, se così fosse, se davvero nessuno si fosse accorto di quello sponsor così inopportuno, forse sarebbe ancora peggio, perché significherebbe che quel tipo di scelte sono fatte con una superficialità disarmante e inaccettabile.
Come è scritto nella lettera, inoltre, la storia di ECO2023 è emblematica di un problema più grande, che riguarda la sostenibilità economica dei meeting scientifici, per la quale le sponsorizzazioni delle aziende sembrano essere indispensabili. Anche i patrocini delle aziende farmaceutiche, presenti in ECO2023 come in tutti i congressi, sarebbero da evitare.
Per questo i firmatari hanno redatto alcune linee guida che, secondo loro, dovrebbero essere sempre applicate, e cioè:
- I comitati organizzatori dovrebbero essere completamente indipendenti, senza conflitti di interesse. Inoltre, dovrebbero adottare politiche sulla sponsorizzazione e su altre forme di coinvolgimento delle aziende, che siano pubbliche e consultabili da chiunque;
- Gli operatori sanitari dovrebbero ricevere istruzioni e formazione specifica su questi argomenti;
- In ogni caso, i comitati organizzatori dovrebbero considerare la possibilità di porre fine a tutte le sponsorizzazioni aziendali;
- Nel frattempo, ci deve essere assoluta trasparenza, fin dall’inizio, e cioè fin da quando i partecipanti si registrano per l’evento, sulle sessioni e sui relatori del settore;
- Tutti i relatori dovrebbero dichiarare i propri conflitti di interesse durante le presentazioni scientifiche, e coloro che partecipano all’evento per conto di un’azienda del settore alimentare, farmaceutico o di altro tipo dovrebbero riportare tali informazioni sul badge, in modo da essere subito riconoscibili.
La conclusione della lettera, poi, è lapidaria: è tempo di rimuovere le sponsorizzazioni e la presenza delle aziende dagli eventi scientifici che riguardano la salute.
Se davvero accadesse, si tratterebbe indubbiamente di una rivoluzione, rispetto a prassi ormai consolidate da anni, con indubbi vantaggi sui conflitti di interessi. Tuttavia, le aziende come Nestlé dispongono di molti altri strumenti per guadagnarsi la fiducia dei clienti, anche senza intervenire direttamente sulla classe medica. Ne è un esempio il programma Nutripiatto, che prevede la distribuzione di materiale informativo (cartoon, ricette e altro) sulla corretta alimentazione a bambini molto piccoli, delle scuole materne, con il coinvolgimento degli insegnanti e dei genitori. Il progetto, finanziato sicuramente anche con i proventi del cibo ultratrasformato della stessa azienda, è stato messo alla prova dai nutrizionisti del Campus Biomedico di Roma (che non hanno ricevuto alcun finanziamento specifico per lo studio) in alcune scuole laziali per un mese, su un centinaio di bambini (di età compresa tra i 4 e i 5 anni), e si è rivelato efficace, almeno nell’immediato, come ci si aspetta da qualunque programma educativo.
In base a quanto pubblicato su PLoS One, infatti, i bambini hanno imparato a mangiare meglio: per esempio, la percentuale di chi consumava abbastanza pesce è aumentata dal 18,5% al 64%, quella dei bambini che bevevano dei o più bicchieri d’acqua al giorno è aumentata dal 21% al 51%, e tre quarti dei partecipanti hanno aumentato l’apporto di verdure, riducendo, nel contempo, i consumi di patatine fritte e bevande dolci. Ma non ci sono dati sul medio e lungo periodo, e non è quindi possibile affermare che il programma sia realmente utile e abbia contribuito a diffondere e consolidare abitudini corrette. Più in generale, poi, se si pensa a tutto ciò cui è associata l’azienda, come il marketing super-aggressivo dei suoi marchi di latte artificiale nei Paesi più poveri (e non solo) e degli ultratrasformati ricchi di zuccheri e grassi in tutto il mondo, questa iniziativa appare per quello che è: un tentativo di health washing, l’ennesimo.
© Riproduzione riservata Foto: iStock, Marita Hennessy via Twitter, AdobeStock, Nestlé
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Giornalista scientifica
Mah, semmai con quel marchio, sarebbe stato meglio partecipassero ad un congresso di qualche altro tipo, è facile fraintendere…
A parte l’ilarità, la notizia ha del sorprendente.
Sono anni che non compro più prodotti della Nestlé consideriamo poi che anche la Perugina è stata acquistata dalla Nestlè in quanti lo sanno?