Ciotola con caramelle colorate

Le nanoparticelle sono sempre più diffuse nel settore alimentare: soprattutto nel packaging, ma anche nei cibi. Grazie a nuovissimi processi tecnologici, la materia viene strutturata in dimensione nanometrica (nm), ossia un miliardesimo di metro  e utilizzato  su substrati (per rendersi conto basta dire che 1 nanometro è 40mila a 80mila volte più sottile di un capello). Ridurre materiali come argento, ossido di titano e altri a queste nanodimensioni conferisce loro  proprietà, fluidificanti, stabilizzanti, antibatteriche che non si trovano nel metallo o nel composto quando è utilizzato a dimensioni standard.

Additivi e ingredienti in formato nano servono a rendere le salse più fluide, il cioccolato più croccante e le preparazioni in polvere meno grumose oppure a prolungare la conservazione dei piatti pronti. Così, per esempio, la crosta del formaggio Brie diventa più candida con l’aggiunta di biossido di titanio (E171), un additivo usato fin dagli anni Sessanta, e che adesso è disponibile sotto forma di nanoparticelle; mentre il diossido di silicio (E551) nano rende fluido il ketchup.

I consumatori in tutta Europa sono perplessi, ma al momento non esiste una legge che  regoli la presenza nel piatto dei nanocomposti, e nemmeno l’obbligo di informazione. Tanto che i produttori non sono obbligati a indicare i nano materiali in etichetta. Eppure, i governi e le autorità invitano alla prudenza, perché ci sono troppi interrogativi ancora aperti.

Per fortuna, oltre a studi che si concentrano sulle loro potenzialità, ci sono ricerche in corso che ne valutano gli usi e la tossicità. In Europa esistono varie iniziative di ricerca, sia per lo sviluppo di nuovi nanomateriali che per i rischi potenziali. I due aspetti sono strettamente correlati: dove aumenta la presenza, aumenta la preoccupazione per la salute e l’ambiente.

L’Efsa ha stilato tre documenti in merito ed esiste anche un gruppo ad hoc sui Nanomateriali che si occupa essenzialmente di strategie di testing per il risk assessment – che deve essere “mirato” ai nanomateriali – in alimenti e mangimi.

Cupcake con glassa colorata in una teglia da muffin, sullo sfondo altri cupcake da decorare

Francesca Maranghi del dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’ISS lavora da tempo  sui nanomateriali a contatto con gli alimenti «Già siamo coinvolti in un’iniziativa europea Nanogenotox, volta ad accertare la tossicocinetica e la genotossicità di alcuni materiali di largo uso. In particolare, il nostro reparto di Tossicologia alimentare e Veterinaria studia la tossicocinetica e biodistribuzione a livello tissutale di nanoparticelle di biossido di silicio»

«Le caratteristiche fisico-chimiche dei nanomateriali (NM) – come la maggiore resistenza, reattività chimica e conducibilità rispetto al corrispondente composto chimico di dimensione “normale” – sono alla base della loro grande diffusione. L’Authority europea per la sicurezza alimentare sostiene la necessità di nuovi dati che tengano conto delle caratteristiche dei NM in grado di avere effetti sull’attività biologica con meccanismi non ancora chiariti».

Nell’ISS c’è una task force con diverse competenze scientifiche – ricerche in vivo, in vitro, chemical detection, microscopia elettronica – per identificare e valutare il rischio tossicologico dei NM presenti negli alimenti e nell’ambiente.

«È stato effettuato uno studio pilota con biossido di titanio (TiO2) in nanoforma somministrato per via orale a dei ratti, per verificarne gli effetti a carico del sistema riproduttivo-endocrino-immunitario, e si sono osservate variazioni in ovaio, tiroide, surrene, milza.

In conclusione, i dati ottenuti evidenziano come le nanoparticelle di TiO2 somministrate per via orale, ad animali adulti, ai livelli di dose più bassi finora riscontrati, causano effetti evidenti su tessuti/organi bersaglio, in assenza di tossicità generale e di evidenziabile bioaccumulo. Le femmine sono maggiormente colpite per quanto riguarda il sistema riproduttivo-endocrino e immunitario. Ulteriori studi sono in corso con differenti nanomateriali per chiarire effetti e meccanismi d’azione».

Le attività di ricerca sul SiO2 in nanoparticella sono state condotte in collaborazione con Nanogenotox Joint Action (http://www.nanogenotox.eu/). La dottoressa Candida I. Gisoldi ha collaborato durante le fasi di sperimentazione del TiO2 in nanoparticella ed elaborazione dei risultati.

Mariateresa Truncellito

© Riproduzione riservata Foto: Fotolia, Depositphotos

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chiara
chiara
24 Maggio 2012 09:52

notizia shock! proprio per questo bisogna stare attenti al packaging! E’ per questo che io scelgo sempre materiali naturali e riciclabili..
conoscete Comieco? consorzio leader nel settore che ha molto da insegnare!