pane del supermercato

Il pane e i prodotti da forno che acquistiamo nei supermercati o nelle panetterie contengono davvero soltanto acqua, farina, lievito e sale? Se lo sono chiesto un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione – CNR di Avellino che ha analizzato i “miglioratori del pane”, dei preparati spesso aggiunti agli impasti in quantità variabile tra l’1 e il 2%, ma che i consumatori non troveranno nell’elenco degli ingredienti del pane. Nessuna norma, infatti, impone di dichiarare i “miglioratori” nella lista negli ingredienti, perché si tratta di coadiuvanti tecnologici che alla fine del processo di lavorazione sono del tutto inattivi.

I “miglioratori del pane”, si dividono in due gruppi: quelli non-enzimatici (contenenti agenti emulsionanti come digliceridi, monogliceridi o altri additivi come la vitamina C) e quelli enzimatici, contenenti per lo più amilasi. In particolare questi ultimi, vengono ormai utilizzati per la preparazione della maggioranza dei prodotti da forno, sia a livello industriale  sia nei panifici artigianali. La loro funzione è incrementare la lievitazione, rallentare il raffermamento del pane e compensare i difetti di farine di qualità non eccellente. L’impiego di coadiuvanti come il malto d’orzo o di frumento, contenenti enzimi amilolitici (cioè amilasi), è noto da decenni. Le amilasi presenti nei cereali maltati, sono prodotte da microrganismi e si trovano anche e nella saliva e nel pancreas degli animali superiori.

Le criticità sono emerse quando alcuni consumatori hanno avanzato il sospetto che il malto d’orzo o di frumento – quali fonti di amilasi – potessero essere sostituiti con estratti di pancreas di maiale o frammenti di pancreas, che hanno bassissimo costo in quanto scarti dell’industria delle carni. Questi coadiuvanti di derivazione animale, anche se pienamente permessi e sicuri, costituirebbero un problema per coloro che per motivi etici o religiosi hanno deciso di eliminare dalla propria dieta la carne suina o per i consumatori che – a piena ragione – desiderano essere informati su ciò che acquistano e mangiano.

Gli esperti del CNR hanno condotto una ricerca, durata due anni, al fine di sviluppare dei metodi per risalire all’origine degli enzimi usati nei miglioratori e hanno poi applicato queste metodiche a una ventina di campioni, acquistati da industrie del settore o ottenuti da panifici di piccole e medie dimensioni.

migliorato del pane
I migliorato servono a incrementare la lievitazione, rallentare il raffermamento e compensare i difetti di farine di qualità non eccellente

“Lo studio, – spiega Gianluca Picariello – è stato pubblicato nella rivista internazionale Food Research International ed è il primo mai realizzato per chiarire la natura e l’origine degli enzimi presenti nei miglioratori. Accertare in laboratorio l’identità degli enzimi usati per la panificazione non è affatto semplice, perché è necessario incrociare i dati ottenuti con numerose e sofisticate tecniche d’analisi”. I risultati dello studio “assolvono” i miglioratori analizzati. In nessun caso sono state trovate tracce di enzimi pancreatici. Tutte le formulazioni contenevano enzimi amilolitici di origine fungina o derivanti da malto d’orzo. Si tratta dunque di enzimi ampiamente impiegati da decenni nell’industria alimentare e assolutamente innocui per la salute. “Sebbene non si possa escludere del tutto che qualche produttore isolato faccia uso di estratti o residui di origine animale, dal nostro studio è evidente non si tratta di pratiche diffuse o comuni”.

“Ormai, i coadiuvanti – enzimatici o non-enzimatici – sono usati per la preparazione della stragrande maggioranza del pane e dei prodotti da forno in commercio. L’impiego di queste formulazioni – continua il ricercatore – si traduce in prodotti da forno dai connotati sensoriali “standardizzati” ma “artificiosi”, “omologati” e meno caratterizzati fra un panificatore e un altro, incidendo negativamente sulla diversificazione dei prodotti in commercio. L’utilizzo dei miglioratori è una chiara espressione di quanto sia sottile la linea di confine tra la spinta dell’innovazione che nasce da numerose esigenze, e la volontà di perpetuare sapori e tradizioni che si palesa con particolare impeto proprio in ambito agro-alimentare.

Sarebbe auspicabile che il legislatore imponesse l’obbligo della dichiarazione in etichetta della natura dei “miglioratori dell’impasto”. Un discorso analogo si potrebbe fare per il caglio impiegato nella preparazione dei formaggi, per cui non è previsto l’obbligo di indicazione che specifichi se di origine microbica, vegetale o animale.

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Cristina
Cristina
7 Gennaio 2018 12:53

La ricerca è veramente interessante e vi ringrazio per averla pubblicata.
Mi sembra ancora più grave e da indagare ciò che vi ho già segnalato mandandovi una mail con in allegato la documentazione fotografica, ossia che molti tipi di pane bianco – venduti a peso con scelta diretta del cliente – di alcune catene di supermercati contengono lo strutto (anche nel tipo Arabo).

Credo che pochi consumatori sappiano di consumare strutto quando acquistano il pane.
Tra l’altro mi chiedo se la presenza dello strutto sia compatibile con la definizione commerciale “pane “.

Invito a controllare il libro degli ingredienti prima di acquistare il pane.

Gianluca Picariello
Gianluca Picariello
Reply to  Cristina
10 Gennaio 2018 23:02

Gentile Cristina, ciò che lei dice è verissimo. Noi stessi abbiamo trovato tracce di DNA porcino in uno dei miglioratori analizzati, mentre erano sicuramente assenti enzimi pancreatici di origine porcina. I dati analitici devono essere valutati molto attentamente, integrando varie tecniche di analisi, proprio perchè possono essere presenti componenti di origine animale diversi dagli enzimi.
L’origine della contaminazione da DNA porcino era con ogni probabilità dovuta allo strutto (o grassi ottenuti a partire dallo strutto). Considerate le quantità esigue di strutto aggiunto, che rientra nella composizione dei miglioratori, non c’è obbligo di dichiararlo in etichetta. Al momento non esiste un metodo ufficiale in grado di accertare se i prodotti da forno contengono piccole quantità di grassi di origine animale.
Gianluca Picariello

C
C
Reply to  Cristina
15 Gennaio 2018 09:55

Come scrivevo nel mio commento, oltre alla gravità dei miglioratori
animali, è gravissimo che aggiungano lo strutto al pane bianco e ai
prodotti da forno nei supermercati dove c’è il self service per
servirsene approfittando del fatto che nessuno si prende la briga di
aprire il libro degli ingredienti mentre se avessero un’etichetta forse
qualcuno se ne accorgerebbe.

Ale
Ale
8 Gennaio 2018 11:41

Lo strutto così come altri ingredienti, caratterizzano il pane di tipo “speciale” se presenti in misura superiore al 3% del peso in sostanza secca, e devono perciò essere indicati nella denominazione di vendita. Ovvero: se vuoi vendere “pane allo/con strutto” devi mettercene più del 3% della s.s.
Il problema che lei pone, forse, è la presenza sul mercato di pane con strutto “nascosto” alla denominazione di vendita. In questo caso è permesso (mi pare di capire dalle leggi) come da condizione posta sopra, oppure è un’infrazione se l’ingrediente è presente in misura maggiore. Detto ciò, la lista degli ingredienti deve comunque essere disponibile per la consultazione.

Maria
Maria
10 Gennaio 2018 19:09

L’unica considerazione che faccio da quel che leggo è che a mio parere 20 campioni mi sembrano pochini per affermare che l’impiego di coadiuvanti di origine animale non sia una pratica diffusa.

Gianluca Picariello
Gianluca Picariello
Reply to  Maria
10 Gennaio 2018 22:53

Gentile Maria, sono il responsabile di questa ricerca. Quello che lei dice è giusto. La campionatura dovrebbe essere arricchita. In questo studio siamo riusciti a sviluppare il metodo che adesso può essere applicato a qualsivoglia campione. L’identificazione degli enzimi utilizzati non è banale e richiede delle strumentazioni sofisticate. Comunque in commercio non sono tantissime le tipologie di preparati enzimatici commercializzati ed ottenerli dai panificatori non è affatto semplice, considerato che molti sono piuttosto restii ad ammetterne l’uso. Stiamo lavorando per rendere possibile l’identificazione dell’origine degli enzimi nei prodotti da forno in modo routinario.