Le microplastiche contaminano anche delfini, foche e balene, ma meno del previsto. Lo studio dei ricercatori britannici su Scientific Reports
Le microplastiche contaminano anche delfini, foche e balene, ma meno del previsto. Lo studio dei ricercatori britannici su Scientific Reports
Giulia Crepaldi 21 Febbraio 2019Nemmeno delfini, foche e balene riescono a sfuggire alle microplastiche, anche se la contaminazione sembra essere minore di quanto ci si potrebbe aspettare. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports (del gruppo Nature) da un gruppo di ricercatori britannici, che ha analizzato, per la prima volta e in maniera sistematica, il contenuto dell’intero tratto gastrointestinale di 50 mammiferi marini – 43 cetacei e sette pinnipedi – spiaggiati sulle coste della Gran Bretagna alla ricerca di microplastiche.
I mammiferi marini sono considerati un indicatore dello stato di salute degli ecosistemi. Trovandosi in cima alla catena alimentare e avendo una lunga vita, questi animali sono soggetti al bioaccumulo e alla bioamplificazione delle sostanze inquinanti presenti nei mari. Per questo motivo i ricercatori dell’Università di Exeter, in collaborazione con lo Scottish Marine Animal Stranding Scheme di Inverness e il Cetacean Strandings Investigation Programme di Londra, hanno cercato di capire se questo accumulo si verifica anche con le microplastiche assunte con la dieta.
Secondo i risultati del test, ciascuno dei 50 animali studiati presentava almeno una microparticella plastica, con una media di 5,5 frammenti per individuo. In totale ne sono state individuate 273, quasi tutte di dimensioni inferiori a 5 millimetri: di queste l’84% erano microfibre e il restante 16% frammenti di varia origine. I polimeri riscontrati più di frequente erano il nylon e il poliestere, derivati dalla degradazione delle reti da pesca ma anche dagli scarichi delle lavatrici, e il Pet, il materiale con cui sono realizzate per esempio le bottiglie di acqua e bibite.
La microplastiche trovate, però, erano meno di quanto gli autori si aspettavano, considerando che secondo alcuni studi fino al 30% dei pesci è contaminato da queste particelle e che tutti gli animali studiati erano predatori. Secondo i ricercatori, i mammiferi marini potrebbero essere in grado di eliminare le microplastiche dal tratto digestivo in maniera efficiente (più dei pesci), grazie a meccanismi che si sono sviluppati per espellere lische di pesce, otoliti e becchi di calamari. Tuttavia è anche possibile che le nostre stime sulla contaminazione dei pesci siano sbagliate o che si sia persa parte delle microparticelle durante le procedure di estrazione.
In ogni caso, questo studio dimostra ancora una volte che le specie in cima alla catena alimentare, come i delfini e gli esseri umani, sono esposte alle microplastiche attraverso la dieta, e quindi a tutte le sostanze chimiche che possono rilasciare. I possibili effetti negativi sulla nostra salute e su quella degli altri esseri viventi, però, restano ancora sconosciuti.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.