Uomo versa acqua da bottiglia di plastica trasparente in bicchiere di vetro

In Francia, l’acqua minerale conservata nelle bottiglie di plastica e anche quella del rubinetto contengono quasi sempre microplastiche. Frammenti dal diametro così piccolo da non rientrare nelle soglie indicate dall’Unione Europea, ma grandi a sufficienza per entrare nei tessuti e negli organi del corpo umano, con effetti ancora tutti da capire.

La buona notizia è che sta trovando conferme l’approccio che prevede la digestione delle microplastiche da parte di insetti, e si intravede quindi la possibilità di contrastare la presenza ubiquitaria di questi materiali nell’ambiente (e quindi anche nelle acque) attraverso un riciclo di valore, almeno in parte.

Acqua alle microplastiche

L’indagine sulla presenza di microplastiche nelle acque francesi è illustrata in uno studio pubblicato su PLoS One dai ricercatori dell’Università di Tolosa, che hanno analizzato con la spettroscopia l’acqua di dieci marchi venduta in bottiglie di polietilene tereftalato (PET), più un campione di quella dell’acquedotto locale, alla ricerca di particelle di plastica con diametro inferiore a 20 micron (millesimo di millimetro). Venti micron è infatti il valore soglia fissato nelle attuali linee guida della Direttiva europea 2020/2184 per le analisi, mentre tutto quello che ha dimensioni inferiori non viene cercato.

I risultati sono stati che tutti gli 11 campioni contenevano microplastiche, in numero estremamente variabile (tra 19 e 1.154 particelle per litro). Tuttavia, quella dell’acquedotto municipale ne conteneva 413 per litro, una quantità superiore a quella di otto dei dieci marchi di acqua in bottiglia esaminati. Nessun campione è risultato privo di plastiche ma, un po’ a sorpresa, non è stato il PET il polimero più rappresentato, anzi: il PET era presente solo in sette dei dieci marchi, in tre dei quali in concentrazioni inferiori al 5%, e nell’acqua del rubinetto. In totale, sono stati individuati 17 polimeri, il principale dei quali era il polietilene (PE), seguito dal polipropilene (PP), dal PET e dalla poliammide 6 (PA6). Ciò significa che le microplastiche rinvenute non hanno come fonte primaria le bottiglie, ma l’ambiente.

Una persona riempie un bicchiere con acqua del rubinetto; concept: acqua potabile
I ricercatori hanno trovato microplastiche in tutti i campioni di acqua in bottiglia e del rubinetto

L’appello degli scienziati

Poiché, tuttavia, le microplastiche di diametro inferiore al limite europeo rappresentavano il 98% di tutte quelle rinvenute nei campioni, la richiesta dei ricercatori francesi è che la soglia per le analisi delle acque sia abbassata, non si fermi a 20 micron ma arrivi fino a un micron, anche perché i frammenti di plastica, più sono piccoli e meglio si depositano nell’organismo umano. Una normativa di questo tipo, oltretutto, servirebbe a tutta l’Europa, dal momento che la concentrazione di microplastiche delle acque superficiali francesi è simile a quella indicata in altri studi in Norvegia e Repubblica Ceca, anche se superiore di dieci volte a quella trovata nelle acque di falda danesi.

Gli insetti mangiaplastica

In attesa che si arrivi a una normativa più stringente per le acque potabili, dalla Spagna arriva una possibile soluzione, almeno parziale: quella di ridurre i polimeri della plastica a materiale da riutilizzare come fertilizzante. Il tutto grazie agli insetti, già oggi allevati a scopo alimentare. I ricercatori dell’Università di Castilla-La Mancha in Spagna e di quella di Newcastle in Australia hanno infatti utilizzato le larve di tarme della farina (Tenebrio molitor) per digerire le microplastiche. Se alimentate con mangimi che contengono plastiche, le larve digeriscono i polimeri e danno come escrementi, chiamati ‘frass’, con microplastiche. Questi, se sottoposti a una reazione ad alta temperatura (pirolisi), si trasformano in un composto chiamato ‘biochar’, ricco di carbonio e ad alto potere assorbente, già usato in agricoltura.

Se però il biochar si fa digerire a un altro tipo di larve, quelle delle mosche soldato nere (Hermetia illucens), alimentate anche con scarti alimentari per fornire loro tutti i nutrienti di cui necessitano, il risultato è un altro composto, chiamato ‘frasschar’, molto utile come fertilizzante, perché ricco di carbonio e azoto. Come commentano gli autori su Environmental Science & Echotechnology un procedimento semplice, in due stadi, che sfrutta insetti già allevati e richiede solo calore (che può essere generato da biogas), permette di eliminare le plastiche dall’ambiente e, al tempo stesso, trasformarle in composti ad alto valore per colture agricole. Il metodo utilizza anche gli scarti alimentari, reintroducendoli nelle filiere produttive agricole.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos

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