Secondo uno studio condotto dall’Università della California a Davis e dal Western Human Nutrition Research Center, nell’intestino delle persone che consumano regolarmente una buona quantità di fibra alimentare (almeno 8-10 g al giorno) e hanno una dieta ben diversificata, compaiono meno frequentemente batteri resistenti agli antibiotici. La resistenza batterica agli antibiotici è uno dei principali problemi sanitari del nostro tempo, destinato ad aggravarsi nei prossimi decenni. Spesso i batteri che presentano resistenza agli antibiotici sono localizzati proprio nell’intestino, e la scoperta che il regime dietetico può influenzare questo fenomeno, apre le porte a strategie di prevenzione basate su una corretta alimentazione.
Il nostro intestino ospita una ricca comunità di microrganismi, definita microbiota, la cui composizione dipende da numerosi fattori e ha effetti importanti sulla nostra salute. In queste pagine ce ne siamo occupati più volte, per esempio qui, qui e qui. Oggi ne parliamo con Maria Rescigno, ordinaria di Patologia generale all’Università Humanitas e coordinatrice dell’Unità di Immunologia delle mucose e microbiota, nella stessa università.
“Le caratteristiche del microbiota intestinale – fa notare l’esperta – dipendono da diversi fattori: oltre a una componente genetica, poco rilevante, la composizione di questa comunità dipende dai ceppi trasmessi dalla madre al momento del parto e durante l’allattamento, dall’utilizzo di antibiotici e, in buona parte, dall’alimentazione. Il fatto di nutrirsi in modo più o meno vario, con prevalenza di proteine, carboidrati o grassi, di origine vegetale oppure animale, modifica la composizione del microbiota. Lo studio californiano lo conferma: chi si nutre di alimenti che contengono una quantità elevata di fibra alimentare, fa crescere nel proprio intestino i microrganismi che si nutrono di fibra, e questi mostrano più difficilmente resistenza agli antibiotici.”
Oltre a questo effetto sull’antibiotico-resistenza, quali conseguenze possono avere sulla salute le caratteristiche del microbiota? “I microrganismi ospitati nel nostro intestino – spiega Rescigno – si nutrono di ciò che il nostro apparato digerente non è in grado di digerire e assimilare e in questo modo producono energia, oltre a numerose sostanze che, a seconda dell’‘assortimento’ di microrganismi, possono essere utili oppure dannose. Fra le sostanze utili ricordiamo gli acidi grassi a catena corta, prodotti dalla degradazione della fibra alimentare, molecole che favoriscono l’integrità della barriera che protegge l’intestino impedendo il passaggio nel sangue di batteri patogeni e sostanze nocive. Inoltre, producono molecole ad azione antinfiammatoria, vitamine, precursori di ormoni e neurotrasmettitori. Una serie di ‘messaggeri’ che contribuiscono a mantenere in salute l’intestino, e non solo.”
“Quando il microbiota non è in condizioni ottimali – continua Rescigno – si parla di ‘disbiosi’. Questo accade, per esempio, se si segue per lunghi periodi un’alimentazione sregolata, oppure dopo l’assunzione prolungata di antibiotici: alcuni ceppi di batteri ‘buoni’ possono sparire e lasciare il posto a microrganismi che favoriscono l’infiammazione e una condizione detta ‘intestino permeabile’. In questo caso, la parete intestinale, divenuta più permeabile, lascia passare sostanze nocive che raggiungono il circolo sanguigno e hanno diversi effetti negativi. Sono infatti connesse a condizioni come l’obesità, il diabete, la steatosi epatica (o ‘fegato grasso’) e alcune forme tumorali. Si è visto inoltre – spiega Rescigno – che la presenza in circolo di queste sostanze stimola il sistema nervoso ad attivare una barriera protettiva.In questo modo però, si riducono anche le normali comunicazioni fra il sistema nervoso e il resto del corpo, e questo può avere come risultato disturbi psichici come ansia e depressione.”
Secondo questo quadro, quindi, i disturbi intestinali considerati psicosomatici, come gonfiore e stitichezza, non sarebbero conseguenza di un malessere psichico bensì, viceversa, ansia e depressione potrebbero essere causate da un’alterazione del microbiota intestinale.
Cosa possiamo fare per salvaguardare questa preziosa comunità di microrganismi? “Il primo consiglio è di consumare alimenti ricchi di fibra – dice l’esperta – sia solubile, come quella contenuta per esempio nella frutta (in particolare nella buccia delle mele), nell’avena e nei carciofi, sia insolubile, come quella dei cereali integrali. Poi occorre ridurre i grassi animali, perché favoriscono la permeabilità intestinale. Inoltre, è utile consumare alimenti fermentati, come yogurt e kefir, che contengono microrganismi ‘buoni’, i cosiddetti probiotici. In tutti i casi è importante imparare ad ascoltare i segnali che manda il proprio corpo, come gonfiore o dolore addominale, ma anche sbalzi di umore, mal di testa e prurito generalizzato. Tutti questi sintomi possono essere correlati a squilibri del microbiota intestinale e si possono affrontare.”
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.