Un’estate calda, quella passata. Troppo calda per il mais, la cui produzione è stata inferiore alle attese e compromessa dallo sviluppo di eccessive quantità di micotossine. Si tratta di livelli superiori ai limiti ammessi dalla legislazione europea che rendono inutilizzabile il mais come mangime per animali. Il problema è diffuso negli Stati Uniti come in Europa e riguarda l’intera filiera di produzione.
Le micotossine sono molecole nocive all’organismo prodotte dal metabolismo di diversi tipi di muffe naturalmente presenti sulla pianta. Le temperature elevate dell’estate 2012, oltre a ridurre le rese dei raccolti, hanno favorito il proliferare delle muffe e di conseguenza delle micotossine. Per questo motivo il mais di provenienza USA, Romania, Ungheria, Serbia e anche quello italiano rischia di non trovare mercato. Si tratta di uno scenario pericoloso inserito in un contesto economico come quello attuale non proprio brillante. Gli operatori (produttori e grossisti) devono così fare i conti con l’attuale calo dei prezzi dei cereali, le difficoltà di accesso al credito e il bisogno di liquidità per affrontare i costi di semina (mais, soia) e raccolta (grano, orzo).
In Italia i magazzini sono ancora pieni di mais con livelli di micotossine superiori ai limiti per uso mangimistico (2 milioni di tonnellate secondo le stime, zone più colpite Veneto ed Emilia Romagna). Bisogna però svuotarli al più presto per stoccare il grano del prossimo raccolto. L’unico sbocco sembra essere quello delle centrali a biogas, le quali però loro volta non dispongono di magazzini adeguati e acquistano solo esigue quantità, su base settimanale.
Quali soluzioni? Alcuni hanno provato a utilizzare particolari metodi di pulizia (spazzolature, selezionatrici ottiche, vibrovagli), che sono efficaci ma costosi e lenti rispetto alle esigenze di mercato , creando ulteriori problemi legati alla combustione di scarti di lavorazione altamente tossici. Oltretutto, più ci si avvicina alla coda del raccolto 2012 e più sono problematiche le derrate da gestire (1).
In Germania la questione è più grave. Il mese scorso sono state bloccate 10.000 tonnellate di mais serbo, nel porto di Brake, e 25.000 al porto di Bremen. Altre 10.000 sono invece andate in consegna a diverse aziende mangimistiche e allevatori, con un potenziale rischio di contaminazione del latte. Nei giorni successivi alla scoperta peraltro sono stati campionati e analizzati circa 880 campioni di latte, e i livelli di tossine sono risultati inferiori ai limite di legge.
Nei Paesi Bassi, ai primi di marzo, circa 60.000 t di mais romeno sono state bloccati nel porto di Ghent (solo una minima parte è andata in consegna). In Belgio, i giorni scorsi, è stata intercettata un’altra partita di mais serbo contaminato oltre misura. Le autorità dei vari Stati membri, come è ovvio, hanno rafforzato i controlli sul tutto il mais proveniente da Paesi a rischio.
Perchè Il Fatto Alimentare si interessa di esporre questo problema, poco dibattuto anche dalla stampa specializzata? Non vogliamo accusare nessuno, né scatenare un allarme che non esiste. Ci sembra però utile condividere per condividere con i lettori due elementi che emergono da questa situazione.
– La sicurezza della filiera alimentare è spesso indipendente dalla provenienza delle derrate agricole primarie. In Italia, ad esempio, è difficile trovare mais idoneo all’uso alimentare (2) e quindi spesso ci si trova ad importare granturco da Serbia, Austria, Ungheria, Romania (3). Non bisogna perciò demonizzare il mercato globale dei cereali, a maggior ragione in quanto l’Italia è un Paese strutturalmente deficitario di mais, grano, soia, farine vegetali proteiche. Bisogna invece vedere in modo oggettivo i vantaggi e gli svantaggi (in termini geo-politici, economici e di sostenibilità), senza perdere di vista la priorità di un elevato standard di sicurezza,
– Alla libera circolazione delle merci nel Mercato interno deve corrispondere la garanzia di controlli pubblici ufficiali di pari efficacia, a livello di singoli Stati membri (vedi articolo), per impedire che eventuali falle possano provocare danni di estensione sovranazionale, con gravi ripercussioni sulle filiere coinvolte e soprattutto sulla fiducia dei consumatori nel sistema europeo di tutela.
Dario Dongo
(1) Le tossine aumentano con il passare del tempo, può quindi accadere che mais introdotto a magazzino con tenori di micotossine inferiori ai limiti di legge ne contenga troppo al momento della consegna. Una gestione adeguata degli stock e una pre-pulizia del mais in ingresso aiutano a mantenere condizioni controllate, ma periodici campionamenti e analisi delle micotossine, ogni due/tre mesi, sono utili per verificare la sicurezza
(2) Il tenore massimo di Aflatossina B1 consentito negli alimenti è 2 ppb
(3) Nelle annate in cui si fatica a trovare persino il mais a uso zootecnico (max 20 ppb Aflatossina B1) è necessario rivolgersi anche ad altri mercati, come quest’anno l’Ucraina che ha letteralmente salvato il mercato mangimistico
Per maggiori informazioni: “Toepfer Imported Toxic Serbian Corn Supplied to German Farms”, articolo di Michael Haddon su Dow Jones Newswires, 1.3.13
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade
La soluzione non è semplice e rapida. Cerco di dare alcuni spunti che sono frutto di mie personali osservazioni e come dico sempre: “qui lo dico, qui lo nego!”
– Ibridi selezionati per la mera produzione, faccio notare la differenza tra le varietà a mais con cariosside vitrea (ciclo breve) rispetto alle varietà dentate non vitree (ciclo lungo).
– Clima: Ci sono zone in Nord Est Italia che sono ricche di umidità relativa per un lungo periodo dell’anno.
– Pedologia: terreni pesanti tipo: Limoso-argilloso.
– Il mais è pervenuto in Europa con la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristobal de Colon (forse!). In Europa c’erano altri cereali (orzo) (Graminacee) e altre poligonacee (grano saraceno). Nel mondo Ex Sovietico fino all’Oceano Pacifico le popolazioni si alimentano comunemente con questi.
– La coltivazione del mais richiede notevoli quantità di acqua, un piccolo dato: per la produzione di 1 kg di Sostanza Secca, sono necessari 3000 l di acqua ( 3 mc). Oltre all’apporto di grandi quantità di Azoto ( N) di sintesi, Diserbanti, Anti parassitari ( Trattamento della Piralide).
– Problema Etico: Responsabilità di Prodotto!
Questo commento ha solo valore di riflessione. Prego astenersi da “sproloqui ed insulti verbali”.
Grazie per l’opportunità di espressione, continuate nella campagna di informazione.
Come affermava il Filosofo Matematico anglosassone Bacone già nel 1500: Sapere vuol dire Potere!
dario
Concordo in pieno con entrambi i Dario, ma vorrei ricordare agli addetti, che qualche anno fa era scoppiata una guerra di religione contro il mais bio contaminato da aflatossine, utilizzando un episodio per criminalizzare il settore.
Questo problema è serio per tutti e non ci possiamo permettere strumentalizzazioni, come altri guai da risolvere, ad esempio l’arsenico nel riso, i metalli pesanti nei laghi e nelle falde, la sicurezza degli OGM nella catena alimentare, ecc..
Tutte opere nostre e della nostra cecità sul lungo periodo.
Quanto propone Dario è condivisibile. Con questo panorama diviene sempre più complesso garantire prodotti finiti idonei al consumo, umano o animale che sia. Occorre considerare anche che per alcune categorie di consumatori, come i celiaci, il mais è una delle basi dell’alimentazione. Il problema dell’esposizione di questa parte della popolazione alle micotossine è diventato di primaria importanza tant’è che nel nostro Paese l’AIC (Ass Italiana Celiachia) ha avviato, in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità uno specifico progetto di ricerca: http://www.celiachia.it/public/bo/upload//Reclutamento%20partecipanti.pdf
E’ vero che il livello di micotossine negli alimenti, in particolare la B1 nel mais che si trasforma in M1 nel latte, va tenuto più basso possibile, ma il limite UE è stato adeguato ai massimi livelli che mediamente negli anni sono caratteristici delle produzioni del nord Europa, con grande difficoltà a restare nei limiti dopo certe sfortunate stagioni, specie negli stati centro-meridionali. Negli USA i livelli ammessi sono più alti per difficoltà ad abbassarli nelle produzioni agricole. Andrebbe fatta una disamina approfondita dell’approccio sanitario comparativo fra USA ed UE.