Se non ci saranno cambiamenti piuttosto drastici, l’Europa non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi sulla riduzione delle emissioni di metano, che rappresentano il 5% di quelle globali, di cui il 27% è riconducibile ai rifiuti, il 13% proviene dal settore energetico, e il 53% da quello agricolo. Per questo, se l’Unione Europea vuole rispettare il suo impegno di tagliare del 55% le emissioni di gas serra e quello globale di ridurre del 30% quelle di metano entro il 2030, lo sforzo principale deve essere proprio sulle filiere alimentari.
Questa la conclusione cui giunge il rapporto intitolato The High Steaks, stilato dalla società di consulenza ambientale CE Delft, che sottolinea innanzitutto come, al ritmo attuale, le emissioni prodotte dall’allevamento diminuirebbero solo del 3,7%. E invece bisognerebbe iniziare subito a intervenire, per esempio migliorando i mangimi (fatto che potrebbe portare a un calo dell’1-12%) e gestendo meglio il letame (meno 4-7%). Rispettando gli impegni presi nel settore dei rifiuti le emissioni si ridurrebbero del 33% entro il 2030. Solo nell’ambito alimentare, eliminando gli sprechi si avrebbe una riduzione delle emissioni del 20-24%, mentre un ulteriore 21-31% si potrebbe eliminare raccogliendo la frazione organica separatamente e riutilizzandola.
Ma senza dubbio l’azione più incisiva sarebbe quella sugli allevamenti, che prevede anche una modifica radicale delle abitudini alimentari degli europei: se tutti si convincessero a diminuire del 10% il proprio consumo di carne, latte e derivati, le emissioni di metano si ridurrebbero del 34% entro il 2030 (per far calare la temperatura di 1,5°C, sarebbe necessario uno sforzo ulteriore, con una diminuzione del 45%). Se – fanno notare gli autori – anche solo metà gli europei si attenesse alle linee guida sull’alimentazione, e se contemporaneamente il letame fosse utilizzato al meglio e gli sprechi fossero azzerati, si potrebbe facilmente arrivare a una diminuzione compresa tra il 38 e il 47%. Ma nelle direttive della Commissione non ci sono riferimenti espliciti a una diminuzione dei consumi. E questo è decisamente un problema, anche perché senza uno stimolo esplicito dei governi, ben difficilmente i cittadini modificheranno le proprie abitudini. Eppure dovrebbero farlo, anche per motivi di salute. Nello specifico, dovrebbero dimezzare il consumo di carne e diminuire di un quarto quello di latte e derivati, per essere fedeli alle linee guida nutrizionali.
Secondo gli autori, la Commissione deve necessariamente elaborare nuove linee guida che tengano conto del metano “e della scienza”, e anche i singoli stati devono darsi espliciti obiettivi sul metano proveniente dall’agricoltura: un solo bovino ne emette ogni giorno 450 grammi, e a un litro di latte ne sono associati 20. Inoltre la Commissione deve agire attivamente affinché gli europei mangino meno, e meglio, carne e latticini, se necessario usando anche le leve fiscali. I commercianti e i distributori, invece, devono essere stimolati a vendere prodotti che puntino meno sulla quantità a basso prezzo e più sulla qualità, sperando così di incentivare nuove formulazioni e una cultura diversa del valore del cibo.
Per essere incisivi sul metano, potrebbero prendere esempio da uno stato membro, la Finlandia, che negli ultimi 60 anni (tra il 1960 e il 2020) è riuscita ad abbattere le proprie emissioni associate all’allevamento di vacche da latte di un sorprendente 57% in totale, e del 37% per chilo di latte. Lo dimostra uno studio pubblicato su Agricultural and Food Science, dove si citano gli interventi che si sono rivelati più efficaci: la riduzione del numero di capi in assoluto e per mandria, l’attenzione al benessere animale, la composizione dei mangimi, il miglioramento e l’efficientamento di tutti i passaggi della filiera, e l’attenta gestione del letame. Il risultato è che oggi le mucche, a parità di quantità di cibo, producono più latte ed emettono meno metano.
E la più grande cooperativa di produttori di latte del paese, Valio, vuole andare oltre: per esempio aumentando gli oli vegetali e l’avena nei mangimi si potrebbe ridurre il metano di un ulteriore 5-10% e aggiungendo additivi come il nitrossipropanolo anche del 25-30%, secondo i test effettuati. Dallo sfruttamento del metano come biogas potrebbe poi derivare un 5% di calo delle emissioni, e il tutto potrebbe essere reso ancora più efficiente agendo sulla destinazione dei campi e dei pascoli. Il 70% degli allevatori di Velio pascola già i capi su terreni dedicati, dove viene depositato il letame, e i progetti futuri prevedono di aumentare il tempo e lo spazio destinati al pascolo, per favorire il benessere animale (una mucca felice è più produttiva), la biodiversità, la creazione dei corridoi per la fauna selvatica e la rotazione dei terreni, sfruttando al tempo stesso il letame per la concimazione. Anche senza rivoluzioni, il caso della Finlandia dimostra che intervenire significativamente sulle emissioni di metano è possibile: basta volerlo.
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Giornalista scientifica
Premesso che se vogliamo ridurre i gas serra la cosa più semplice, sicura ed efficace è l’energia nucleare, nel merito della tematica proposta dall’articolo va fatta qualche precisazione.
1) ridurre il consumo di carne e latticini significa anchce ridurre l’assunzione di ferro e di calcio . Nutrienti già carenti nelle nostre diete (Si veda l’indagine INRAN-SCAI del CREA-NUT).
2) usare additivi per ridurre la metanogenesi ruminale è una strada efficace ma vietata dai regolamenti dell’agricoltura biologica, su cui invece vuole puntare l’UE.
3) dall’articolo emerge chiaramente che la produzione di metano per litro di latte cala al crescere della produzione unitaria. Ci serve quindi un’agricoltura efficiente, che ben difficilemte coincide con quella biologica.
E’ ora di prendere delle decisioni per il bene di tutti (l’ambiente è compreso)
I gas serra si riducono riducendo le combustioni, per farlo vanno incrementate le rinnnovabili, anche attraverso microimpianti in grado di servire piccoli ambiti.
Mi sembra che la recente sentenza della giustizia giapponese sull’impianto di Fukushima sia utile per riflettere sulla scelta nucleare. Con questo aumento demografico in corso, sarà sempre più considerato un rischio per le popolazioni. Un rischio con ingentissimi costi per contenerlo. Anche solo per dare una parvenza di sicurezza.
Inoltre, evacuare popolazioni, curarle, ricollocarle, eliminare le zone contaminate, impedire il deflusso di acque radioattive, sobbarcarsi centinaia di anni di controllo dei contenitori delle scorie, prevedere folow-up sanitari per i residenti e per le loro generazioni successive. De-contaminare i terreni, idanni economici dal divieto di consumo e commerci0o dei prodotti possono piegare un Paese.
All’alba del terzo millennio costruiamo una civiltà per tutti e per l’ambiente.