USA: arriva Arctic la mela OGM che non scurisce dopo il taglio. Perplessità sull’utilità e reazioni negative del mercato. Anche McDonald’s dice no
USA: arriva Arctic la mela OGM che non scurisce dopo il taglio. Perplessità sull’utilità e reazioni negative del mercato. Anche McDonald’s dice no
Agnese Codignola 16 Febbraio 2015Il governo americano ha dato il definitivo via libera alla prima mela geneticamente modificata, chiamata Arctic, che non diventa scura quando tagliata o grattugiata. La notizia si è guadagnata le pagine del New York Times, perché si tratta di uno dei pochi frutti freschi GM* approvati (insieme alla papaya) e perché, come sempre, le reazioni sono state molto accese. La vicenda ha avuto inizio nel 2010, quando una piccola company chiamata Okanangan di Summerland, nella Columbia Britannica – e quindi non uno dei colossi che di solito intraprendono questo lungo iter (come Monsanto o DuPont) – ha chiesto alla Food and Drug Administration (FDA) di esaminare i dossier di due varietà, la Granny Smith e la Golden Delicious, alle quali era stato modificato il genoma. I dossier sottoposti alla FDA riguardano la sicurezza per gli altri frutti, ossia l’assenza di contaminazioni non volute delle coltivazioni non OGM.
I test che riguardano la sicurezza per l’uomo e gli animali non sono solitamente richiesti dalla FDA. L’azienda stessa, tuttavia, sta portando avanti i suoi test sulla salute umana, come sempre effettuati internamente e su base volontaria, e volti a dimostrare la sicurezza e l’equivalenza nutrizionale delle mele Arctic rispetto alle cugine con il DNA originario. A oggi i dati mostrano che le mele GM non costituiscono un pericolo né per l’uomo né per le altre mele, che non rischiano la contaminazione. Nel frattempo, però, sono state fatte delle consultazioni pubbliche on line, come sempre accade in questi casi, aperte a tutti, e i membri del comitato della FDA hanno dovuto analizzare gli oltre 175.000 commenti, per lo più negativi. Uno dei principali argomenti contro riguardava la reale utilità di queste mele, che risolvono esclusivamente un problema estetico, come hanno detto in molti. Tuttavia, secondo i sostenitori, questo comportamento delle mele naturali è all’origine dello spreco di enormi quantità di prodotti, che non vengono per esempio utilizzati nelle industrie perché soggetti a imbrunimento.
Alcuni dei responsabili del marketing del settore, poi, si sono detti preoccupati delle possibili reazioni negative del mercato, anche perché, a quanto sembra, la frutta porterà la scritta “geneticamente modificata” e il marchio dell’azienda, che dovrà indicare sul sito tutte le caratteristiche. Inoltre non vedono molte possibilità di penetrazione di mercati come quello europeo, che rifiutano i vegetali GM. È presto per dire se il progetto della Okanangan, sostenuto da 45 finanziatori anonimi, avrà successo: per il momento nella prossima primavera verranno piantati circa 20.000 alberi in quattro siti differenti, che daranno, se tutto va bene, tra i 2 e i 5 quintali di mele nell’autunno del 2016, cioè una quantità assai modesta, ma sufficiente, forse, per distribuire dei campioni ai supermercati di una vasta area; la produzione su larga scala potrebbe essere disponibile a partire dal 2017. Secondo molti gruppi ambientalisti si tratta di una distorsione del mercato dalle conseguenze ignote, e sia McDonald che Gerber hanno già dichiarato di non essere interessati, almeno per il momento.
*I termini OGM e transgenico sono spesso utilizzati come sinonimi. In realtà si parla di prodotto transgenico solo quando nell’organismo viene “inserito” un gene (o più) appartenente a un’altra specie, mentre con OGM si intendono in senso più ampio tutti gli organismi che hanno subìto una modifica a livello genetico (anche delezioni o inserimenti di geni provenienti dalla stessa specie). La mela Arctic, come giustamente fa notare un lettore, è GM nella sua accezione più ampia: i geni provengono da un’altra varietà di mele e conferiscono la caratteristica desiderata.
Agnese Codignola
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Giornalista scientifica
Il melo si propaga per innesto e non per impollinazione e incrocio: non si vede quindi come una pianta ARCTIC possa “contaminare” altre piante di melo. Il processo biotecnologico adottato non ha introdotto nessun gene antimacchia estraneo alla mela, ma ha semplicemente trasferito, nella Golden Delicious e nella Granny Smith, una sequenza genica da un’altra varietà di mela, che imbrunisce poco o niente. L’ibridazione naturale, per avere lo stesso risultato, avrebbe richiesto parecchi decenni. Non siamo quindi in presenza di una mela transgenica, con l’introduzione di genoma “estraneo”.
Vale poi la pena accennare al motivo per cui le mele, in misura diversa, imbruniscono la polpa in seguito a tagli o lesioni della buccia. Infatti, il frutto ferito, a contatto con l’ossigeno dell’aria, scatena un enzima – la poli-fenol-ossidasi – PPO (gli enzimi sono catalizzatori dei processi biologici), che va ad attaccare i polifenoli della polpa, disgregandoli, con formazione finale di melanina: proprio lei, il pigmento scuro che tutti gli amanti della tintarella vanno a cercare. Solo che nel nostro caso la tintarella viene acquisita dalla polpa del frutto. Il risultato non è solo quello, ma anche la perdita di sapore e, non ultimo, dal punto di vista nutrizionale, la perdita dei polifenoli, potenti antiossidanti e antagonisti dei radicali liberi: la povera mela acquisisce quindi la tintarella, ma perde le principali proprietà salutistiche, per le quali viene raccomandata al fine di toglierci il medico di torno.
Il nocciolo della faccenda è costituito da una sequenza di 4 geni contigui, responsabili dell’innesco dell’enzima. A seconda che essi siano tutti o solo in parte attivi, abbiamo un imbrunimento più o meno rapido della polpa del frutto, a seconda delle varietà: questo fatto è di esperienza comune. Ma, oltre a questi 4, nel melo sono presenti anche i loro “antagonisti”, che ne controllano l’attività (il termine esatto sarebbe “l’espressione”), fino ad inibirla: i genetisti chiamano questo fenomeno “gene silencing”. Si tratta di un controllo dell’espressione dei geni del tutto naturale ed esiste non solo nelle piante, ma anche in tutti gli esseri viventi, uomo compreso.
In definitiva, non siamo di fronte ad un cibo frankestein, ma ad una comune varietà di mela, alla quale è stato inibito l’imbrunimeno enzimatico, incrociandola per via biotecnologica, invece che con la classica procedura di una volta, con un’altra varietà di mela, in cui l’espressione dei geni responsabili della formazione dell’enzima è silenziata. Discorso diverso, ma importantissimo, riguarda invece il problema della commercializzazione: l’esperienza del pomodoro che non ammezziva (Flav Savr), è ancora un valido esempio di come una buona idea necessita di esser ben gestita, per ottenere anche un minimo successo.
Quanto all’etichettatura GM, ben venga, comprendendo tutta la filiera che ne deriva (ad esempio, il latte e latticini di animali alimentati a soia e mais GM).
A proposito di OGM, vale la pena dare un’occhiata alle più di 3.000 (tremila) nuove piante iscritte di recente nel Mutant Variety Database del programma FAO/IAEA (http://mvgs.iaea.org/AboutMutantVarities.aspx) e si troveranno migliaia di sorprese per i contrari agli OGM. Infatti esiste una regolamentazione molto stretta e costosa per le nuove entità ottenute trasferendo o silenziando in laboratorio pochi geni mirati, mentre per quelli introdotti selezionando via MAS (quella tanto amata dal buon Mario Capanna)le mutazioni indotte da radiazioni nucleari o da agenti chimici(dove interi genomi vengono mischiati random), le regole per l’ammissione sono molto più semplificate: ad esempio, non serve anche indagare se siano tossiche per la…pulce d’acqua. Si va dal triticum aestivum (grano) registrato dalla Cina nel 1986, ottenuto per irraggiamento con raggi gamma, con caratteristiche di precoce maturazione, maggiore produzione, resistenza alla ruggine ed all’allettamento, fino al fagiolo Campeiro, ottenuto per la stessa via in Brasile. Un ultimo sassolino: il grano tenero RENAN, coltivato dalle aziende “biologiche” di mezza Europa ed arrivato recentemente anche in Italia, deriva da una procedura di laboratorio, dove al posto dell’irraggiamento è stata usata la colchicina, per combinare genomi estranei, come quello del grano tenero, e dell’Aegilops ventricosa della famiglia delle Poacaee -in italiano “erba delle capre” – via Triticum cartlhicum. Il tutto perché le coltivazioni biologiche diffidano del grano duro Creso, ottenuto per irraggiamanto in Italia e iscritto nel 1976. In conclusione, credo che sia ora di usare il cervello e valutare gli OGM, comunque ottenuti, senza pregiudizi.
finalmente si parla dell’argomento in maniera corretta.
Grazie