In Europa (e quindi anche in Italia) non sono ancora autorizzate e potrebbero volerci ancora anni prima che accada, ma sono state inserite nella categoria dei Novel Food. Tuttavia, in tutto il Sud Est asiatico le meduse sono consumate come alimenti da millenni e negli ultimi anni in Giappone e in Cina hanno conosciuto un autentico boom. Il motivo è chiaro: il loro numero è in costante aumento in tutto il mondo, per motivi poco chiari e nessuno sa come limitarne la crescita. In compenso, pur essendo costituite in gran parte da acqua, contengono elevate quantità di sali minerali, proteine e collagene, così come di acidi grassi omega-3 oltre ad altri nutrienti preziosi, e poche calorie. Inoltre, il loro aspetto, una volta cucinate, suscita meno diffidenza e repulsione rispetto ad altri Novel Food come gli insetti e il loro livello di accettazione potrebbe creare meno problemi.
Mentre si aspetta il via libera UE, sollecitato anche dal grande progetto europeo GoJelly, che riunisce 15 istituzioni scientifiche e aziende di otto Paesi favorevoli all’utilizzo delle meduse anche in altri settori come quello farmaceutico e cosmetico oltre che nei mangimi animali e, nella sua declinazione più recente, nella filtrazione delle microplastiche dalle acque, si moltiplicano gli studi che ne definiscono meglio le caratteristiche per un utilizzo alimentare. Tra gli ultimi, in ordine di tempo, c’è quello pubblicato su Ecosphere dai ricercatori dell’Università canadese della Columbia Britannica, che dimostra l’esistenza di una relazione tra le dimensioni della medusa e il contenuto di acidi grassi omega-3.
Gli autori hanno analizzato attentamente decine campioni di tre diverse specie di medusa: Aurelia labiata, candidata al consumo alimentare umano (con un cappello che variava dai 2 ai 22,5 cm), Aequorea victoria e Pleudobrachia bachei. Di tutte hanno stabilito che l’alimentazione cambia con le dimensioni e, per questo motivo, anche la composizione finale è diversa a seconda della taglia. Quando sono molto piccole, si nutrono solo di alcuni tipi di plancton come quello vegetale (fitoplancton), quello più piccolo (microzooplancton) e uova, ma via via che crescono passano a plancton più proteico, per arrivare ad alcuni invertebrati, ai crostacei e perfino ai piccoli pesci. E tutto ciò si riflette nelle concentrazioni relative dei nutrienti: più la dieta comprende creature marine grandi, maggiore è il contenuto di acidi grassi insaturi e proteine e, quindi, il valore nutrizionale (sia per gli esseri umani sia per i molti abitanti del mare che si nutrono di meduse – tra i quali ci sono le meduse stesse, che si mangiano anche tra loro). È quindi importante considerare sempre la taglia, quando si studiano le meduse a fini alimentari.
Nel frattempo, anche in Italia continuano gli studi, e in prima linea c’è il Cnr-Ispra di Lecce, dove lavorano Stefano Piraino, uno dei massimi esperti europei di biologia delle meduse, e Antonella Leone, un riferimento per quanto riguarda le possibili applicazioni alimentari. Quest’ultima, autrice di numerosi studi scientifici sul tema, nel 2021 ha dato alle stampe il primo libro sulle possibili ricette, dal titolo European Jellyfish Cookbook – Prime ricette a base di meduse in stile occidentale, redatto con alcuni chef professionisti e del tutto gratuito, per favorire la familiarità e stimolare la curiosità verso queste possibili nuove fonti alimentari (ne avevamo già parlato in questo articolo).
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Giornalista scientifica
Buonasera, in alto Adriatico (Lignano Sabbiadoro) è frequente incontrare persone Cinesi che raccolgono le Rhizostoma pulmo (raggiungono i 50-60 cm di diametro e sono solo lievemente urticanti) sia morte che vive. Ho provato a chiedere loro cosa ne fanno e mi hanno risposto che dopo averle ben lavate dalla sabbia le “marinano” per poi mangiarle.
In effetti in Sardegna si mangiano già dei parenti stretti delle meduse (anche in qualche ristorante) le Orziadas (Anemoni di mare fritti)… buonissime…sembrano le cervelle fritte romane ma col profumo del mare