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Alcune multinazionali utilizzano tecniche che vanno sotto il nome di greenwashing per ripulirsi dalle malefatte in campo ambientale

Abbiamo iniziato a scrivere del legame vizioso tra olio di palma e land grabbing nell’ormai lontano 2010. evidenziando la vacuità degli impegni assunti da grandi produttori, trader e utilizzatori. Il tentativo era tingere di verde l’immagine dell’olio tropicale (greenwashing), senza tenere conto delle rapine delle terre nelle comunità locali. A fine 2014 abbiamo lanciato una petizione contro l’impiego dell’olio di palma nella filiera alimentare, raccogliendo 115mila firme in 4 mesi. E proprio adesso, a una settimana dall’inaugurazione di Expo, spuntano le lacrime di coccodrillo di uno dei principali utilizzatori di palma Mc Donald’s, che manifesta nuovi impegni nei prossimi tre lustri.

 

Tra il 2008 e il 2014 almeno 56 milioni di ettari di terre (pari all’estensione della Francia) nei Paesi in Via di Sviluppo sono stati accaparrati da investitori stranieri. A fine 2014, l’ONG internazionale Grain ha censito 66 macro-operazioni di rapine delle terre in Paesi tropicali esclusivamente finalizzate alla coltura mono-intensiva di palme da olio. L’Africa sub-Sahariana (ossia Etiopia, Uganda, Congo, Camerun, Gabon, Guinea e Guinea Bissau, Togo, Nigeria, Burkina Faso, Benin, Costa d’Avorio, Liberia, Sierra Leone, Senegal, West Africa ecc…), è stata l’epicentro dell’operazione, grazie all’instabilità dei governi locali e alla conseguente facilità di acquisizioni e sgomberi di enormi appezzamenti di aree forestali a costi risibili. La vorace domanda di palma non ha  trascurato il Sud-Est asiatico: 8 milioni di ettari di habitat naturale sono a rischio nelle Filippine, 5,5 milioni di ettari di terre già sotto dominio straniero in Papua Nuova Guinea, 5 milioni di ettari nelle mani di 25 grandi investitori in Indonesia. Dal Sud-Est Asiatico all’America Latina, la brama di palma si é estesa all’area amazzonica del Perù, oltre a Honduras e Colombia.

 

olio di palma
Due terzi delle deforestazioni tropicali provengono dalla gestione irresponsabile delle foreste con finalità agricole speculative

Il rapporto “Corporations, Commodities, and Commitments that Count”, pubblicato a marzo 2015 dall’organizzazione Supply-Change, attribuisce almeno due terzi delle deforestazioni tropicali alla gestione irresponsabile delle foreste con finalità agricole speculative, in risposta alla crescente domanda di olio di palma in primis, soia e pascoli. Tutto ciò che serve alla prima catena di pubblici esercizi del pianeta, Mc Donald’s, e ai suoi 36.000 fast food. L’intera produzione di olio di palma su scala globale ha luogo nei Paesi che un tempo ospitavano foreste tropicali. Ma l’espansione incontrollata di tali coltivazioni minaccia l’ambiente come i diritti umani, proseguono i ricercatori di Supply-Change, secondo cui a tutt’oggi solo il 10% del mercato è coperto dalle “certified tonnes of palm oil” le quali oltretutto, per il 69%, si esprimono attraverso transazioni di crediti o certificati. Grain a sua volta ha di recente denunciato l’immensità delle importazioni europee di “food commodities” la cui produzione deriva da terreni oggetto di rapine e deforestazioni illegali.

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Aprile 2015: proteste in Giappone contro McDonald’s per le dure condizioni di lavoro e i bassi stipendi

McDonald’s è stata oggetto di numerose proteste nel corso degli ultimi anni in diversi paesi. Non solo per le basse retribuzioni e i ritmi serrati di lavoro  e l’impiego di ingredienti OGM senza informare i consumatori, ma anche per l’enorme quanto grave impatto socio-ambientale delle filiere di approvvigionamento a causa del massiccio impiego di carni bovine, la cui produzione richiede circa 15mila litri di acqua per ogni kg di alimento, nonché dei dubbi sul benessere animale e dell’utilizzo di anabolizzanti e ormoni  durante l’allevamento. In tale contesto si inseriscono le responsabilità legate a rapine delle terre e deforestazioni, aggravate nella supply chain di Mc Donald’s dal ricorso a entrambe le filiere del palma e della soia. Nel 2006 – a seguito di un rapporto di Greenpeace sulla deforestazione della foresta amazzonica causata da sterminate colture di soia – il colosso del fast food era stato costretto ad assumere alcuni impegni in tale direzione. Ma gli impegni per il palma, al di là dell’apparenza, sono risultati del tutto non idonei e lacunosi nel “Global Palm Oil Scoreboard” del 2014.  E proprio in questi giorni, sotto la pressione delle ONG e dei consumatori consapevoli, Mc Palm si é infine risoluta a vantare nuovi propositi, posticipando al 2030 l’interruzione del proprio significativo contributo alla deforestazione globale. Senza neppure far cenno alla rapina delle terre. Ma il pianeta potrà davvero sopportare altri tre lustri di ecocidi?

© Riproduzione riservata. Foto: iStockphoto.com

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valentina
valentina
11 Maggio 2015 14:11

Una semplice domanda, che non esula troppo dal contesto di oli dannosi alla salute: l’o
Io di cocco nei biscotti risulta essere dannoso? Ora ne trovo sempre più spesso tra gli ingredienti. Gradirei una risposta in merito, se possibile.

Valeria Nardi
Reply to  valentina
11 Maggio 2015 14:34

Gentile Valentina,
l’olio di cocco che è il frutto di un altro tipo di palma, la Cocos nucifera http://it.wikipedia.org/wiki/Cocos_nucifera . La palma da olio è la Elaeis guineensis http://it.wikipedia.org/wiki/Elaeis_guineensis

Di seguito le allego un ulteriore approfondimento chiesto a Enzo Spisni, il nostro esperto di nutrizione.

“L’olio di cocco contiene un’elevata percentuale di acidi grassi saturi (circa 87%). Più del burro e dello stesso palma. Per questa ragione alcuni enti come l’FDA ne sconsigliano l’uso.
A favore dell’olio di cocco c’è però da considerare il fatto che il suo acido grasso principale è l’acido laurico (45-50%), che è un acido grasso a 12 atomi di carbonio, cioè a catena media, che presenta delle differenze rispetto a quelli a catena più lunga (come l’acido palmitico, presente nel palma), per quanto riguarda il metabolismo. Ricerche recenti dimostrano che gli acidi grassi a catena media, innalzano molto meno i valori di colesterolo cattivo (LDL) e sono quindi considerati meno pericolosi. Inoltre vengono metabolizzati dai mitocondri più facilmente rispetto agli acidi grassi a catena più lunga.
In conclusione, quello che si può dire è che, a parità di contenuto in grassi, un biscotto che contiene olio di cocco è certamente migliore rispetto ad uno che contiene olio di palma.
Poi, tornando alla nutrizione in senso più generale, stiamo subendo l’invasione del palma negli alimenti, non quella del cocco!!!”

tullio
tullio
15 Maggio 2015 10:59

Capisco che vogliate evitare le polemiche fra i lettori, però mi sembra che diate troppo spazio alle persone “saccenti”.