Più sono pubblicizzati e confezionati in modo da attirare l’attenzione di bambini e genitori, più sono scarsi dal punto di vista nutrizionale. Questo il quadro sconfortante che esce da una dettagliata indagine sui cibi per bambini venduti in Canada pubblicata su PloS One, che parte dall’analisi di ben 6mila prodotti. Per scoprire quanto le aziende investano in marketing e quanto la spinta commerciale sia o meno orientata verso alimenti di qualità, i ricercatori del Dipartimento di scienze nutrizionali dell’Università di Toronto hanno suddiviso i prodotti selezionati in due grandi categorie: quelli che sfruttano forme di marketing accattivanti per i bambini e quelli che invece non utilizzano questa metodologia.
In particolare, le tecniche di persuasione incontrate prevedevano l’uso di disegni e cartoon, la realizzazione di confezioni atipiche o con colori molto forti, l’impiego di aromi particolari, l’offerta di giochi sul packaging, la presenza di testimonial molto noti (compresi i personaggi dei cartoni più amati), foto e richiami di coetanei, l’aggiunta di sconti, coupon, giochi in omaggio, connessioni con social media conosciuti dai bambini, richiami a ipotetici benefici per la salute o di altro tipo e ricette. Un ampio e differenziato armamentario di strategie commerciali che serve per convincere i bambini a chiedere un certo alimenti o bevanda, e che fa leva anche sui genitori, sia attraverso il prezzo che con richiami alla salute. Tutti gli altri prodotti, invece, non sfruttavano pratiche di marketing evidenti.
In totale, il 13% dei prodotti esaminati apparteneva alla prima categoria e, tra di essi, il numero di alimenti e bevande che sforava i limiti consigliati da Health Canada, l’agenzia pubblica che fornisce anche i valori nutrizionali di riferimento, era superiore rispetto a quello degli altri prodotti. Tuttavia, in generale, il risultato è pessimo: il 98% tra i cibi oggetto di marketing e il 94% degli altri è risultato eccedere i valori di riferimento. Ma a preoccupare maggiormente è il fatto che, pur con le differenze e le variabilità dovute a un campione così ampio, la qualità nutrizionale dei primi è risultata sempre inesorabilmente più bassa rispetto a quella dei secondi. Per esempio, tra i primi il contenuto medio di zucchero totale è risultato pari a 14,7 grammi per porzione, contro i 9 dei secondi, mentre i valori per gli zuccheri liberi sono risultati essere, rispettivamente, 11,5 e 6,2 grammi. Inoltre, la percentuale di prodotti con più zuccheri rispetto ai limiti è stata pari all’80% e al 54%, rispettivamente, a conferma del fatto che i produttori continuano a puntare su alimenti molto dolci.
Del resto, lo si vede anche nel caso del latte: tutti i prodotti con packaging accattivante per i bambini erano anche quelli con più grassi, zuccheri e additivi. Il marketing non si ferma dunque neppure di fronte alle categorie di alimenti considerati essenziali per la crescita armonica dei bambini, come conferma il fatto che per la carne e gli insaccati si è vista la stessa tendenza: più i prodotti sono pieni di sale, glutammato e additivi e più sono oggetto di specifiche strategie di marketing dirette ai bambini. Specularmente, gli alimenti e le bevande meno attraenti ma più sani quali quelli integrali, ricchi di fibre e nutrienti essenziali, non hanno quasi mai confezioni accattivanti per i bambini.
Lo studio, che è uno dei primi a mettere in relazione le caratteristiche nutrizionali con il marketing, ne conferma indirettamente numerosi altri usciti negli ultimi anni, che hanno mostrato la spregiudicatezza delle aziende, nonostante tutte le dichiarazioni di buona volontà e gli impegni a fare meglio, soprattutto quando si parla di bambini. La conclusione degli autori, ancora una volta, non può dunque essere che un invito a una regolamentazione molto più severa di quella attuale per proteggere i più indifesi di fronte a tecniche così spregiudicate che, per esempio, vieti il marketing a tutti quei prodotti che non rispettano le indicazioni nutrizionali.
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Giornalista scientifica