onde del mare. mare aperto. oceano

Minaccia scampata, per i mari di molte aree del mondo, o almeno rimandata. Le temute operazioni di trivellazione sottomarina, programmate per cercare metalli rari come il cobalto e il nichel, indispensabili anche per la transizione energetica, per il momento non saranno autorizzate. Entro un anno, poi, si capirà se e in che modo sarà possibile perforare i fondali, e dove.  L’International Seabed Authority (Isa), organismo delle Nazioni Unite cui aderiscono 168 Paesi e l’Unione Europea, riunitosi nelle scorse settimane Kingston, in Giamaica, hanno deciso di non decidere, per il momento, in assenza di dati sufficienti, perché le trivellazioni potrebbero infliggere colpi mortali a un ambiente già compromesso in molte zone, e del quale, soprattutto, conosciamo solo una minima parte. La proposta di allungare la moratoria di due anni appena scaduta di un ulteriore anno era stata avanzata da Francia, Cile e Costa Rica, ma hanno aderito decine di Paesi, tra i quali la Cina, che fino all’ultimo si è battuta per autorizzare le perforazioni, ma poi, nelle ultime ore dell’incontro, ha ceduto. Il consiglio dell’Isa, che include 36 Paesi, ha capito che serve più tempo per stilare regole il più possibile chiare e improntate alla prudenza, e ha fissato il 2025 come data della probabile stesura delle norme, ma non ha reso noto che cosa intende fare qualora, tra oggi e la scadenza ultima, arrivassero richieste di nuove trivellazioni. 

Più di una ventina di Paesi, compresi Spagna, Portogallo e Francia che si affacciano sul Mediterraneo e altri Paesi europei come la Germania e la Svizzera, si sono battuti per il bando totale di qualunque attività di questo tipo, aderendo alla Deepsea Conservation Coalition o, quantomeno, per una moratoria molto più lunga (il Brasile ha chiesto almeno dieci anni); l’Italia non è ancora tra questi e anzi, l’atteggiamento del governo è positivo. Secondo la totalità delle associazioni e degli organismi che si battono per la difesa dell’ambiente e contro la crisi climatica, l’idea di trivellare sott’acqua è folle, soprattutto perché non ci sono dati per valutare adeguatamente le conseguenze. Al coro si sono poi unite centinaia di associazioni di pescatori, convinte che questo sarebbe un colpo mortale per la loro attività, già minacciata dal depauperamento dei mari, dall’inquinamento e dal riscaldamento del clima. 

tonno pinna blu nuota in mezzo ad altri pesci
È stata prolungata di un anno la moratoria internazionale alle trivellazioni minerarie sui fondali del mare

Come ricorda Nature in un articolo dedicato al tema, le ricerche effettuate finora sono davvero esigue. Per esempio, secondo uno studio pubblicato su Current Biology, dopo un test di sole due ore del governo giapponese su una zona ricca di cobalto, nell’anno successivo allo scavo la fauna (compresi pesci e crostacei) è diminuita del 43% nelle zone della perforazione e del 56% in quelle adiacenti. Ciò è accaduto, probabilmente, perché l’operazione ha causato l’inquinamento delle fonti di cibo da parte dei sedimenti sollevati e ha generato rumore, che disturba profondamente la riproduzione e la vita degli organismi marini. Secondo i biologi che hanno condotto le analisi, nessuno si aspettava un effetto così devastante per un intervento così limitato.

A questi timori società come la canadese The Metals Company, cui l’Isa doveva fornire una risposta per una richiesta di trivellazione nel Pacifico, si difendono affermando di avere messo a punto tecniche di estrazione che non lascerebbero residui in mare e che il bilancio sarebbe nettamente favorevole, rispetto alle estrazioni degli stessi metalli sulla terraferma. Il mare immagazzinerebbe 15 volte meno CO2 rispetto al terreno e ospiterebbe da 300 a 1.500 volte meno forme di vita. Circostanze, però, messe in dubbio da esperti e associazioni, che fanno notare il rischio di enormi dispersioni in atmosfera della CO2 sequestrata dai fondali marini e, comunque, l’assenza di dati certi su ogni aspetto. Per tali motivi più di una dozzina di stati aderenti all’Isa, tra i quali Francia, Spagna, Germania, Svizzera, Nuova Zelanda, Palau, Fiji e Costa Rica, insieme a 800 tra esperti di politiche del mare, istituzioni scientifiche e associazioni di 44 Paesi hanno chiesto un’altra moratoria, anche per fermare la Norvegia, che ha annunciato un piano di esplorazioni in un’area vasta 280mila km2. Inoltre, la Deep Sea Conservation Coalition ha chiesto lo stesso per le attività esplorative in mare aperto. 

In questo scenario, come riferisce FoodNavigator, si sono inserite la Global Tuna Alliance, i cui 48 membri rappresentano circa il 32% del commercio mondiale di tonno, e la Sustainable Seafood Coalition, che riunisce 45 organizzazioni britanniche, per chiedere una sospensione fino a quando non saranno disponibili dati affidabili e soprattutto (relativamente) completi. La prima ha sottolineato, in una lettera, quanto le miniere sottomarine sarebbero distruttive per l’ecosistema e per la biodiversità marine e quanto questo, inevitabilmente, avrebbe ripercussioni sulla pesca e sull’approvvigionamento del pesce in generale e in particolare del tonno: “Nelle vaste distese dei mari aperti, – si legge – critiche per diverse specie di tonno, ci troviamo a navigare in acque inesplorate, per quanto riguarda i rischi sconosciuti posti dall’estrazione mineraria in acque profonde. Dalla minaccia della sparizione delle prede a causa della perturbazione degli ecosistemi a mezz’acqua, al potenziale sconvolgimento dei pattern migratori, dobbiamo navigare questo panorama incerto con attenzione. Con gli scenari del cambiamento climatico che complicano ulteriormente il quadro, non possiamo sottostimare la posta in gioco”. Alla lettera è allegato uno studio pubblicato su Nature Sustainability che mostra come gran parte degli areali tipici dei tonni del Pacifico si sovrapponga a quelli per cui sono state chieste le autorizzazioni all’Isa. Ma quella zona, denominata Clarion-Clipperton, situata a sud est delle Hawaii, è oggetto di contratti di perforazione per un’estensione mostruosa: 1,1 milioni di km2. Come hanno ricordato gli autori, l’umanità deve già fare i conti con una tripla crisi: del clima, del depauperamento e dell’inquinamento. È proprio il caso di aggiungere i rischi connessi a un’attività di questo tipo?

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