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mangiare meglioNon tutti gli strumenti finalizzati a convincere le persone a mangiare meglio sortiscono lo stesso risultato. E tra i meno efficaci e i più utili c’è una grande differenza, quanto a risultati. Lo dimostra una singolare metanalisi condotta dai ricercatori della IÉSEG Scuola di Management di Parigi, pubblicata su Marketing Science, nella quale sono stati presi in esame ben 96 studi condotti negli ultimi anni sull’argomento in diversi paesi.

I lavori sono stati suddivisi in tre grandi categorie: quelli che puntavano sugli aspetti più razionali come, per esempio, le etichette nutrizionali; quelli incentrati sulla risposta emotiva come gli inviti a mangiare sano e naturale, e quelli che cercavano di fare leva sui cambiamenti di abitudini alimentari.

In particolare, sono state individuate sette tipologie di studi, a seconda del tipo di intervento proposto:

1.     introduzione di etichette nutrizionali con conteggio delle calorie e altre informazioni sul menu o sulla confezione;

2.     introduzione di etichette con valutazioni grafiche (per esempio i colori o i semafori) per distinguere gli alimenti sani da quelli meno sani;

3.     posizionamento dei cibi migliori in punti dove fossero ben visibili ai consumatori (soprattutto in negozi e supermercati);

4.     descrizioni tali da rendere più attraenti gli alimenti sani;

5.     appelli generici a un’alimentazione più sana, anche con richiami quali scritte ben visibili poste in risalto con diversi sistemi;

6.     strategie che facevano leva sulla convenienza economica dei cibo più sani e sulla comodità d’uso, per esempio attraverso verdure tagliate, pulite e pronte da mangiare;

7.     cambiamenti nelle proporzioni relative di alimenti più o meno sani nel pasto, con promozione dei primi a scapito dei secondi.

riso carne primo piatto
Laddove la disponibilità di alimenti sani aumenta, cresce la propensione dei clienti a preferirli agli alimenti meno consigliabili

Alla fine, controllando quasi 300 diversi possibili effetti contenuti nei diversi studi, la conclusione è stata chiara: l’intervento è tanto più efficace quanto più ci si allontana da quelli basati sulla razionalità e ci si avvicina a quelli comportamentali, mentre quelli fondati sull’emotività si collocano nel mezzo. E non si tratta di differenze di poco conto: tra i due estremi c’è una differenza di sei volte, quanto a efficacia. I risultati migliori si ottengono con azioni che puntano sulla sostituzione dei piatti malsani con altri migliori dal punto di vista nutrizionale, più nelle caffetterie e nei ristoranti che nei negozi e più negli Stati Uniti che in altri paesi.

Come hanno dimostrato studi recenti, laddove la disponibilità di alimenti sani aumenta, in parallelo cresce la propensione dei clienti a preferirli agli alimenti meno consigliabili.

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federico
federico
22 Ottobre 2019 16:18

Si certo come no … funzionano. Ma in che film?
Avete idea di quanta fatica ( e soldi) ci vogliano a far cambiare un comportamento?

Gino Bianchi
Gino Bianchi
Reply to  federico
9 Novembre 2019 13:00

Sulla fatica sono d’accordo, soprattutto se si fa riferimento alla distribuzione dei pasti nel corso della giornata, ma sui soldi proprio no, anzi si risparmia prestando più attenzione alle quantità ed eliminando qualche drink e dessert di troppo.

gianni
gianni
22 Ottobre 2019 22:33

Abbiamo appena commentato l’articolo su nutrizione ed educazione alimentare concludendo , credo, che siamo messi maluccio, una combinazione micidiale di negazione di responsabilità da parte di tutti gli attori della tragedia tra consumatori, produttori e regolatori scientifici e politici.
Certi trucchetti , tipo nascondere gli alimenti scadenti , gli appelli generici e le belle parole nella descrizione dei prodotti non credo possano essere utili visto il libero mercato di tutto e la libertà di espressione pubblicitaria, troppo spesso bugiarda e fuorviante.
La leva del prezzo , agevolazioni per i buoni e disincentivi o tasse per i cattivi possono essere utili , visto che si dice che il cibo spazzatura sfama chi non ha potere di acquisto, è un discorso comunque parziale perchè certi cibi creano dipendenza e non sono esclusiva dei poveri.
La responsabilizzazione dei consumatori ( e produttori) con le etichette a semaforo possono essere altresi utili , colpiscono immediatamente l’occhio.
Dopodichè secondo me servirebbe una capillare educazione di consumatori e medici su principi dettati da una scienza priva di conflitti di interesse e su decisioni politiche altrettanto libere.
Impossibile direte voi e infatti è per questo che la situazione è dura.

Laura
Laura
12 Novembre 2019 13:03

Finchè il cibo sano costerà molto di più delle alternative malsane, non se ne esce. E se tassiamo il malsano, a comunque teniamo alto il sano, le cose non cambieranno, perché a parità di prezzo il malsano è in genere più appetitoso, invogliante e “pronto” da mangiare ( mentre spesso il sano va cucinato, e non sempre se ne ha tempo/capacità/voglia)