Maiali in allevamento: le regole del benessere ci sono ma la corsa al ribasso dei prezzi e la concorrenza non ne facilitano l’applicazione
Maiali in allevamento: le regole del benessere ci sono ma la corsa al ribasso dei prezzi e la concorrenza non ne facilitano l’applicazione
Roberto La Pira 29 Maggio 2015“La trasmissione “Announo“ di Giulia Innocenzi andata in onda su La7 il 22 maggio ha trattato in modo cinico il tema dei maiali maltrattati, facendo propaganda antiscientifica funzionale unicamente alla ricerca dell’audience camuffato da un falso protezionismo del benessere degli animali“. Le severe critiche sono firmate dall’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (Anmvi). La situazione in Italia non è proprio quella descritta nel programma anche se è vero che nella maggior parte dei casi i maiali vivono in grandi capannoni senza accesso all’esterno e solo in pochi allevamenti gli animali hanno la possibilità di grufolare all’esterno.
Le condizioni di allevamento sono disciplinate dal DL del 7 luglio 2011 n°122 che prevede limiti precisi per la temperatura, l’aerazione, il rumore (85 db) e per l’illuminazione (un periodo minimo di 8 ore di luce di almeno 40 lux). Poi ci sono le condizioni di stabulazione per cui i recinti devono avere una zona pulita e asciutta dove i maiali possono riposare tutti insieme. L’accesso al cibo deve essere garantito a tutti. Gli aspetti più critici riguardano la rimozione della coda fatta entro i primi sette giorni di vita e la riduzione degli incisivi che è invece una pratica meno diffusa eseguita contemporaneamente. Queste operazioni in teoria non dovrebbero essere di routine, ma in realtà sono necessarie perché gli animali, vivendo in spazi ristretti, hanno limitate possibilità di esprimere il loro comportamento naturale e quindi riversano il loro disagio anche mordendosi la coda. Le ferite provocano infezioni e quindi problemi complicati da risolvere.
La norma prevede proprio a questo scopo anche la presenza di “materiali manipolabili ” da inserire nel recinto come paglia, fieno, legno, segatura e torba dove razzolare e anche pavimenti non sdrucciolevoli.
La questione dello spazio rappresenta una criticità soprattutto (in Italia) dove gli animali vengono macellati quando raggiungono i 140-160 kg e oltre perché le cosce sono destinate ai prosciutti. La norma prevede solo 1 metro quadrato per ogni maiale e si tratta di una superficie oggettivamente scarsa. Purtroppo il prezzo della carne di maiale è talmente basso e la concorrenza con i paesi del nord Europa è spietata per cui i ritmi di crescita e i costi di gestione scoraggiano lo sviluppo di allevamenti poco affollati dove gli animali possano accedere all’esterno.
In Italia si sta studiando da un paio di anni uno schema di valutazione del benessere dei maiali basato su elementi oggettivi rilevati nell’allevamento. L’analisi prevede una valutazione delle strutture e della pulizia, la presenza di ecchimosi o di ferite, il tipo d’interazione e di socialità, la mobilità, l’indice di mortalità e di natalità. Un’altra cosa importante è l’esistenza di tre zone ben delimitate per ogni area dove vivono più individui, una dove si mangia, una dove si rotola e una zona toilette. I maiali sono animali intelligenti e devono avere la possibilità di scegliere dove andare durante il giorno. Anche il pavimento è molto importante. In quasi tutti gli allevamenti si usa un grigliato per fare defluire i liquami ma questo non è confortevole. La cosa migliore sarebbe un pavimento ricoperto di paglia o altri materiali almeno in parte e la possibilità di una zona separata per la toilette.
Quando sono presenti questi due fattori (i materiali manipolabili e gli spazi sufficientemente ampi) si potrebbe evitare il taglio della coda o la limatura degli incisivi garantendo loro una vita migliore. Il costo della carne lieviterebbe del 20-30% ma forse molti consumatori accetterebbero volentieri il rincaro. Si potrebbe ipotizzare uno schema simile a quello che esiste già per le uova, dove leggendo l’etichetta è possibile scegliere tra uova di galline allevate in gabbia che costano meno, oppure di animali allevati a terra oppure a terra con accesso libero a spazi esterni.
In questo filmato proposto da CIWF (Compassion in World Farming) si vede un allevamento modello in cui gli animali vivono all’aperto in spazi adeguati e dove non viene praticato il taglio della coda e la riduzione degli incisivi. A Expo martedì 9 Giugno 2015 alle 16:00 presso l’Auditorium in Cascina Triulza verranno assegnati i premi Benessere Animale alle aziende alimentari che, con le loro politiche in essere o per gli impegni assunti, mostrano particolare attenzione al miglioramento delle condizioni di vita degli animali. Un premio specifico è destinato proprio agli allevamenti dei maiali.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
assolutamente a favore dei ‘bollini di qualità’.
Dobbiamo poter scegliere di non seviziare gli animali.
Il mondo delle carni suine, dall’allevamento alla macellazione, viaggia da sempre tra alti e bassi, soprattutto bassi. E’ vero, ci sono margini di miglioramento, soprattutto a livello di allevamento, anche se questo vale un po’ per tutti gli allevamenti, non solo quelli suini. Un aumento del costo della carne del 20-30% vorrebbe dire chiudere definitivamente il comparto delle carni suine in Italia e probabilmente anche in Europa o nel mondo.
A parole siamo tutti disposti a pagare qualcosa in più per un elemento migliorativo (una volta è il benessere, una volta è il biologico, un’altra è l’OGM, un’altra ancora è “l’origine italiana” del prodotto e via dicendo). Poi, però, al momento di mettere mano al portafogli “la gente” compra quello che conviene. Magari contiene CSM, suini nati e allevati in Croazia, ecc, ecc.
Senza contare che, trattando di un argomento caro al dr. La Pira (ma anche a me), bisognerebbe, poi, pensare se un allevamento con i parametri indicati da Compassion in World Farming è compatibile con le necessità di “nutrire il pianeta”, in un mondo in cui la tendenza è un aumento dei consumi di carne nei prossimi decenni.
Grazie però per le uova bio la gente è disposta a pagare il doppio e così anche per le uova di galline allevate a terra. Certo è difficile ma in Italia secondo me c’è spazio per un maiale allevato bene e magari con carne più saporite che costa il 20-30% in più
.
Abbiamo già discusso altre volte sull’argomento costi e prezzi e questo è un’altro nodo che arriva al pettine dell’informazione.
La concorrenza sfrenata senza scrupoli della GDO, con la corsa al massimo ribasso, ha rovinato e continua a dannaggiare tutta la filiera alimentare e non solo.
Agli agricoltori, allevatori e trasformatori rimangono le briciole, se riescono a sopravvivere ai prezzi imposti dalla distribuzione.
Non parliamo più di origine e qualità controllata, perché i margini per garantirla non ci sono più da tempo, quindi rimangono solo sacche di mercato con valore aggiunto guadagnato sul campo dal brand, fidelizzazione e certificazioni affidabili, quando lo sono o appaiono, come il bio.
Bisogna che ci convinciamo che la qualità vera costa produrla e va pagata non solo dal consumatore finale, ma anche riducendo lo spread che la distribuzione crea ad arte, manipolando la concorrenza a proprio vantaggio.
La situazione ripresa dal programma Anno Uno sembra assolutamente reale e trovo poco corretto che l’Anmvi cerchi giustificazioni. Avrebbe dovuto controllare e rimediare. E anche se gli altri allevamenti sono, secondo Anmvi, meno drammatici, sono sempre e comunque contro natura e infliggono sofferenze estreme agli animali. Non starei a disquisire sul prezzo che può variare di uno o due o tre euro per prosciutto, quando dietro agli euro si vivono tali sofferenze. Certo, il Pianeta deve nutrirsi…ma sicuramente con meno prosciutto, in modo che bastino meno allevamenti e meno affollati. Forse i veterinari potrebbero contribuire a diffondere una diversa educazione alimentare.
D’accordo con Carla sull’intervento dei veterinari, ma non per educazione alimentare, che è un optional individuale, mentre l’etica professionale, la serietà ed il loro mandato istituzionale confliggono in modo rilevante con la realtà delle cose.
I veterinari sono l’unica possibilità concreta ed istituzionale, per gestire in modo decente e rispettoso della salute degli animali e dei consumatori, gli allevamenti.
Se ad una verifica del cattivo stato di un allevamento, non ne consegue la denuncia anche del veterinario responsabile, non arriveremo mai ad un miglioramento della situazione.
Sbaglio o questi garanti dell’igiene e sanità degli animali, sono dipendenti pubblici del Ministero della Sanità?
Da chi sono gestiti, formati e controllati questi pubblici ufficiali, pagati dalla collettività e non da allevatori senza scrupoli?