Forest Fires Investigation in PT GAL, Central Kalimantan

Ieri  la catena di fast-food Burger King ha annullato il contratto con la società Sinar Mas perché non rispetta  gli accordi stipulati che prevedono la fornitura di olio di palma proveniente da terreni  che non sono stati soggetti a deforestazione. La dichiarazione di Burger King  pubblicata  su Facebook dice: “Riteniamo che il rapporto (di Greenpeace) ha sollevato preoccupazioni valide su alcune delle pratiche della produzione di olio di palma da parte della Sinar Mas e il suo impatto sulla foresta pluviale. Queste pratiche sono incompatibili con i nostri impegni di responsabilità aziendale. Di conseguenza, abbiamo deciso che non acquisteremo più olio di palma da Sinar Mas o delle sue filiali”.

La notizia è molto importante pechè  l’olio di palma è uno degli ingredienti più utilizzati dalle industrie alimentari, anche se la  presenza viene spesso camuffata dietro la dicitura “oli vegetale”, una categoria molto generica che fa pensare ad un prodotto di qualità. In realtà la dizione in etichetta “Oli vegetali “ è un abile sistema per nascondere l’impiego di  ingredienti di mediocre qualità.

Per capire quanto è diffuso l’olio di palma  basta ricordare che la Nutella ne contiene il 30 %, e che nella lista europea dei prodotti top  troviamo i cereali per la colazione Chocapic di Nestlé, i biscotti Tuc della LU, Chips Vico, Monster Munch di Intersnack…e una miriade di altri prodotti . Persino il mondo bio a volte sceglie questa soluzione al posto di altri grassi vegetali più pregiati o del  burro.

L’olio di palma viene prodotto prevalentemente (90%) in Indonesia e Malesia, ed è una materia prima sempre più richiesta soprattutto dall’industria alimentare che ne utilizza oltre il 70%, seguita dal settore cosmetico, chimico oltre all’uso come materia prima del biodiesel.

I motivi di tanto successo sono di carattere economico (costa un terzo meno dell’olio di soia) e di carattere chimico (l’olio si presenta in forma solida a temperatura ambiente, non irrancidisce facilmente, resiste abbastanza alla cottura ed è molto versatile nella lavorazione industriale). Gli aspetti negativi sono nutrizionali (è considerato una materia prima di mediocre qualità) e ambientali (in Indonesia ogni anno spariscono decine di migliaia di ettari di foresta  per lasciare  spazio a nuove coltivazioni di olio di palma e gli ambientalisti ritengono devastante questa politica produttiva).

Che fare? Per  arginare questo disastro ambientale la rivista dei consumatori francesi Que choisir propone tre ipotesi.

1) Non comprare prodotti che contengono olio di palma (anche se spesso non è dichiarato in etichetta) preferendo alimenti ottenuti con olio di soia, girasole o colza (la rivista cita aziende come Findus hanno già sostituito l’olio di palma nei cibi impanati, e la catena di supermercati Casino che ha cambiato 200 ricette su 570). Il boicottaggio è un’arma spuntata perchè se non si usa olio di palma, compra olio di soia che, a parità di resa, necessità di superfici maggiori e presenta “criticità” nei paesi dell’America del sud dove si trovano le coltivazioni.

2) Pretendere dalle aziende l’utilizzo di olio non coltivato su terreni deforestati, come fanno già diverse imprese. La garanzia di usare olio di palma “sostenibile” non proveniente da zone disboscate, è certificata dal Rspo (Roundtable on sustainable palm oil) che certifica anche il rispetto di aspetti sociali legati alla coltivazione). In Italia aziende come Ferrero per la Nutella e Unilever dal 2008  usano solo olio di palma certificato Rspo,  dopo una decisione adottata dopo  un confronto con Greenpeace).  Non è però tutto così semplice! Secondo il gruppo ecologista Amici della terra la certificazione Rspo non basta, perché non controlla se vengono impiegati antiparassitari tossici come il Paraquat  e non è ancora in grado di garantire la piena tracciabilità della filiera.

3)  Ridurre il consumo di prodotti che contengono olio di palma, di soia …. che, è bene ricordarlo, non rientrano nella lista degli  ingredienti eccellenti dei nutrizionisti. Questo vuol dire acquistare meno cibo industriale e orientarsi verso prodotti semplici preparati in casa e cucinati con oli migliori come l’oliva.

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