Ulva lactuca alga alghe ulisse

Kombu, Nori, Wakame: queste sono soltanto alcune varietà di alghe commestibili dall’utilizzo sempre più diffuso in Italia, la cui presenza si nota anche sugli scaffali della grande distribuzione. I nomi di queste alghe rimandano alla loro provenienza; il continente asiatico è infatti il principale produttore mondiale di alghe, un mercato che in Europa ha ripreso a espandersi, anche grazie alla progressiva internazionalizzazione delle diete, oltre che alla crescente attenzione verso le proprietà del cibo e la sua sostenibilità.

Ma l’utilizzo delle alghe sulla tavola non è una novità; anche le coste europee, a partire da quelle norvegesi fino a quelle siciliane, hanno una tradizione alimentare che le includeva fino a non troppi anni fa. “Nonostante in Italia esista già il relativo mercato alimentare, le alghe vengono ancora considerate un prodotto nuovo”, spiega Lisa Mustone, business developer della start up Ulisse, un progetto di economia circolare pensato per utilizzare in campo alimentare e non le macroalghe della costa romagnola. “In realtà le alghe sono state parte integrante dell’alimentazione fino agli inizi dell’800, per poi venire in parte dimenticate con le rivoluzioni industriali. Oggi c’è un blocco culturale sul loro consumo che vorremmo venisse superato”.

L’alga Gracilaria gracilis

La stessa Unione Europea auspica (leggi approfondimento) un recupero di questa tradizione sulle tavole in abbinamento alle innovazioni tecnologiche della contemporanea industria alimentare. Un aumento della produzione di alghe all’interno dell’UE, oltre a sfruttare un mercato in crescita al momento coperto con le importazioni, andrebbe incontro a obiettivi come la protezione della biodiversità delle aree costiere, lo sviluppo di un’economia circolare e la transizione verso un’alimentazione che riduca il fabbisogno di suolo agricolo nonostante l’aumento della popolazione. Le alghe poi sono utilizzate anche in altri settori, come per la creazione di film biologici e carburanti, o come ingrediente per cosmetici e nutraceutici.

Anche per queste ragioni, l’Unione Europea ha lanciato il progetto EU4Algae, una piattaforma di dialogo tra gli operatori europei del settore che possa far veicolare più facilmente contatti e conoscenze. Ma il problema principale, perlomeno in Italia, rimane la sfera regolamentare: “Ci sono già dei riferimenti alle alghe nella legislazione europea, ma la regolamentazione specifica viene lasciata alle autorità regionali. Quello delle alghe è un mercato a cavallo tra il settore agricolo e quello ittico, e non esiste ancora una normativa di riferimento. Rivolgendoci alla regione non siamo ancora riusciti a ottenere un’indicazione sulle normative ASL a cui riferirci in materia igienico sanitaria, eppure un consumo alimentare di macroalghe in Italia già c’è: si tratta però di prodotti importati dalla Francia, dalla Spagna o dall’Asia”, spiega Mustone.

La produzione di alghe in Europa rimane ancora molto limitata: circa il 90% del mercato (del valore stimato di 14miliardi) è prodotto nel continente asiatico. L’Italia non rientra ancora tra i Paesi produttori di macroalghe, un settore che per motivi sia naturali sia storici è sviluppato soprattutto sulla costa atlantica. Con Germania e Spagna figura però nei tre Paesi europei con il maggior numero di unità di produzione di micro alghe, una categoria nella quale viene fatto ricadere il cianobatterio spirulina, un microorganismo che a livello produttivo e normativo però non può essere assimilato alle macroalghe.

alghe fioritura algale spiaggiaTra le ragioni che rendono il mercato alimentare della macroalghe particolarmente interessante ci sono le loro proprietà: sono ricche di fibre, vitamine e minerali, e alcune specie possono sviluppare fino a un 44% di proteine sul totale della massa secca, il che potrebbe garantire al prodotto un ruolo chiave nella competizione con altre fonti proteiche come carne e soia. Inoltre al contrario di come accade per queste ultime, la crescita della produzione di alghe non impatta sul consumo di suolo, ma può risultare benefico per gli ecosistemi marini in cui svilupparne la coltivazione, e avere un ruolo nella protezione delle coste e nell’assorbimento di anidride carbonica. “La produzione di macroalghe può essere svolta principalmente in due modi: uno è la raccolta, ragione per cui abbiamo già creato delle reti di contatto con i pescatori, l’altra è l’acquacoltura”. “Però”, aggiunge Mustone, “quest’ultima da un punto di vista di sostenibilità risulta più svantaggiosa, perché diventa necessaria la creazione di ambienti adeguati con un relativo consumo di acqua ed energia”.

L’idea del progetto Ulisse infatti è proprio quella di riuscire a sfruttare alghe già presenti sul territorio: “Qui in Romagna abbiamo ogni anno il problema dei quintali di alghe che si spiaggiano nelle aree balneabili o che otturano i canali: instaurando una coltivazione dove già ce n’è in abbondanza e procedendo periodicamente alla raccolta si eviterebbe di dover gestire accumuli di alghe in fase di deterioramento, che a quel punto devono essere smaltite come rifiuti speciali. Un intervento mirato potrebbe persino far tornare nuovamente navigabili alcuni canali intasati dalle alghe, senza contare che le alghe assorbono nutrienti come azoto e fosforo, che se presenti in eccedenza rendono torbide le acque”.

Una volta raccolte le alghe poi possono essere trasformate in prodotti secondari, sia in campo alimentare (come per esempio l’agar agar), che non. Ma alcune specie (come l’Ulva lactuca (foto in alto), presente nell’Adriatico) sono utilizzabili in cucina già nella loro forma fresca dopo un processo di lavaggio o ancora in versione essiccata. Oltre a quello diretto poi le alghe rientrano nel ciclo alimentare anche in modo indiretto: “i possibili utilizzi sono molti, a partire dalla preparazione dei mangimi per gli animali da allevamento, fino alla creazione di biostimolanti in campo agricolo”.

Come dimostrano questi progetti innovativi, anche le coste italiane potrebbero avere un ruolo in questo mercato in crescita: a partire dal suo sviluppo, una volta stabilito il quadro normativo, fino al loro consumo, di cui non mancano le tracce nella tradizione alimentare costiera.

© Riproduzione riservata. Foto: Ulisse, Depositphotos

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Raffaele
Raffaele
1 Febbraio 2023 19:51

La spirulina ad esempio è ricca di ferro che favorisce un migliore assorbimento della vitamina C contenuta nella frutta senza bisogno di integratori per combattere leggere forme di anemia

Marco
Marco
21 Febbraio 2023 13:44

Però la produzione delle alghe dovrebbe garantire che non contengano sostanze nocive come mercurio, ecc. C’è già una direttiva in merito?