Laudato si’: l’enciclica verde di Papa Francesco parla anche di alimentazione, agricoltura, allevamento, spreco, ogm e propone riflessioni molto eco
Laudato si’: l’enciclica verde di Papa Francesco parla anche di alimentazione, agricoltura, allevamento, spreco, ogm e propone riflessioni molto eco
Paola Emilia Cicerone 24 Giugno 2015Laudato si’, il documento dedicato al rapporto tra l’uomo e la terra appena promulgato da Papa Francesco, è stato già ribattezzato l’enciclica verde, per l’approccio profondamente francescano. Fin dal titolo, che affronta in modo approfondito i problemi del pianeta, si esprime preoccupazione per il deterioramento e si invita a una maggiore attenzione per quella che il Pontefice definisce “sorella terra”, la “casa comune” di cui tutti siamo chiamati a prenderci cura.
Senza menzionarlo esplicitamente, Laudato si’ affronta anche il tema dell’alimentazione. Per rendersene conto basta scorrere gli oltre 200 paragrafi che compongono il documento. Abbiamo scelto di evidenziarne i temi principali, indicando, per facilitare la lettura, i paragrafi di riferimento. Tra i problemi citati, la “cultura dello scarto” che porta a un’eccessiva produzione di rifiuti (20) e la necessità di garantire a tutti l’accesso ad acqua potabile e sicura come “diritto umano essenziale, fondamentale e universale” (30). Da queste premesse nasce l’attenzione a sistemi di coltivazione tradizionali, valutati positivamente perché meno inquinanti. “Vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale”, si legge nell’Enciclica (129). Esprimendo allarme per il fatto che in diverse parti del mondo questi produttori siano “oggetto di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura” (146). Il riferimento è soprattutto all’America Latina, esplicitamente menzionata in un altro paragrafo, il 38, dove si legge che “esistono proposte di internazionalizzazione dell’Amazzonia, che servono solo agli interessi economici delle multinazionali”.
Ampio spazio è dedicato anche a una prudente valutazione degli organismi geneticamente modificati. Partendo dalla considerazione che “i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione” (133), il Papa afferma che “sebbene non disponiamo di prove definitive circa il danno che potrebbero causare i cereali transgenici agli esseri umani, e in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate” (134). Il riferimento è a “concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi”, “tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione”, “precarizzazione del lavoro agricolo”, senza dimenticare che “l’estendersi di queste coltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali”. In sintesi, conclude il Pontefice, quella degli OGM è una questione complessa, “che esige di essere affrontata con uno sguardo comprensivo di tutti i suoi aspetti, e questo richiederebbe almeno un maggiore sforzo per finanziare diverse linee di ricerca autonoma e interdisciplinare che possano apportare nuova luce” (135). D’altronde nel documento si fa più volte riferimento alla necessità di adottare il principio di precauzione per quanto riguarda provvedimenti o tecnologie che possono avere un forte impatto sulla vita del pianeta.
Sulla deforestazione il documento insiste parecchio e in diversi punti: “gli ecosistemi delle foreste tropicali hanno una biodiversità di grande complessità, quasi impossibile da conoscere completamente, ma quando queste foreste vengono bruciate o rase al suolo per accrescere le coltivazioni, in pochi anni si perdono innumerevoli specie, o tali aree si trasformano in aridi deserti” (38). E prosegue “Neppure la sostituzione della flora selvatica con aree piantate a bosco, che generalmente sono monocolture, è solitamente oggetto di un’adeguata analisi. In realtà essa può colpire gravemente una biodiversità che non è albergata dalle nuove specie che si piantano” (39).
Il Papa rivolge la propria attenzione anche all’eccessivo sfruttamento del mondo marino, colpito “dal prelievo incontrollato delle risorse ittiche, che provoca diminuzioni drastiche di alcune specie” (40). Ma è proprio il rapporto tra uomini e animali a essere ribaltato in questa enciclica, rispetto a una tradizionale visione antropocentrica di cui in passato la Chiesa si è fatta portatrice. “Oggi dobbiamo rifiutare con forza” si legge nel documento, “che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature” (67). Pur mettendo al primo posto la compassione per gli esseri umani, quindi, il Papa denuncia l’indifferenza o la crudeltà verso le altre creature: “Il cuore è uno solo”, scrive, “e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone” (92).
In quest’ottica, è logico che alle specie viventi sia attribuito valore in se stesse, e non solo come eventuali “risorse” sfruttabili: “Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre”, denuncia il Pontefice (33). Ancora una volta la possibile soluzione del problema è individuata in un’agricoltura più attenta all’equilibrio ecologico: “Molti uccelli e insetti che si estinguono a motivo dei pesticidi tossici creati dalla tecnologia, sono utili alla stessa agricoltura, e la loro scomparsa dovrà essere compensata con un altro intervento tecnologico che probabilmente porterà nuovi effetti nocivi”, scrive Papa Francesco. E nonostante gli sforzi della scienza e della tecnologia per risolvere il problema, spesso gli interventi umani, “al servizio della finanza e del consumismo”, in realtà fanno sì “che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia” (34).
La risposta, secondo Papa Francesco, può stare in un’educazione alla responsabilità ambientale in grado di incoraggiare comportamenti che incidono direttamente sull’ambiente, “come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via” (211). E più generalmente, nel puntare su uno stile di vita improntato alla sobrietà: “Un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose” (222). Non una vita a bassa intensità, afferma Papa Francesco proponendo alla società dei consumi il suo programma di “decrescita felice”: “La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita” (223).
© Riproduzione riservata
giornalista scientifica
Dire che il rapporto tra uomini ed animali “è ribaltato” in questa enciclica non è corretto. Il documento non fa che ribadire quanto è da secoli nella tradizione della Chiesa: l’uomo non è un animale, ma l’essere prediletto della Creazione, che è fatta per lui. Contemporaneamente, la Creazione non è sua proprietà, ma ne è il custode che le deve rispetto. Tanto per fare un esempio che conferma questa posizione, l’enciclica parla della sperimentazione animale, confermando quanto già presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica.
Per quanto riguarda la “cultura dello scarto”, è riduttivo parlare solo di spreco di cibo e di rifiuti. L’approccio ecologico usato è in continuità con quanto i Papi precedenti chiamavano “ecologia umana” e tra le forme di scarto da rigettare ci sono anche quelle che riguardano gli esseri umani: poveri, emarginati, feti abortiti, bambini abbandonati, malati e vecchi abbandonati a sé stessi ed eliminati con l’eutanasia.
Spesso però i rappresentanti della Chiesa hanno assunto posizioni che sottolineano il diritto degli umani di sfruttare la Natura e gli animali, tanto e’ vero che le posizioni che definisco per semplicità “francescane” emergono proprio perché discordanti rispetto al generale sentire della comunità cattolica. Quanto al concetto di scarto, mi sembra logico, in un articolo che riassume i temi legati all’alimentazione e all’ambiente, parlare solo di quello. Nell’Enciclica c’è ovviamente molto altro.
Mi rendo conto che il sito è dedicato alla prospettiva alimentare – tuttavia il senso dell’enciclica di Francesco è che tutti quei problemi sono legati tra loro e, per non stravolgerne le intenzioni, non si può non fare almeno un accenno, anche se poi si approfondisce la parte che è per ognuno più rilevante. Ma è sufficiente quello che ho proposto nel mio commento precedente e vi ringrazio di averlo pubblicato.
Per quanto riguarda lo “sfruttamento”… Dipende dalle sfumature che attribuiamo alle parole. La Chiesa ha sempre sostenuto il diritto di usufruire della Natura, che secondo la tradizione giudaico-cristiana è messa a nostra disposizione, e da questo punto di vista non è cambiato niente. Se con sfruttamento intendiamo un uso indiscriminato e distruttivo, esso è sempre stato stigmatizzato, perché toglie risorse alle generazioni future e perché è una mancanza di rispetto di per sé al Creatore. Non ci sono grandi novità in tal senso nell’enciclica: semmai è un “repetita iuvant”.
Purtroppo leggendo queste sagge e lungimiranti considerazioni, condivisibili da tutte le persone dotate di un normale buon senso, dobbiamo ammettere che il mondo è governato quasi esclusivamente, da leaders in conflitto d’interessi contro il bene comune dei popoli.
Che le multinazionali facciano ricerca e businnes non è un peccato mortale, ma che lo facciano sulla pelle delle popolazioni, oltre che immorale è responsabilmente colpevole.
Ma che i leaders eletti a governare le popolazioni, permettono ed a volte incentivino tali pratiche delittuose, è il reato morale e penale più grande ed impunito della storia.
Che debba essere un leader religioso e non la società civile ed i suoi massimi esponenti intellettuali e scientifici, a richiamare i popoli ed i suoi governanti su tali pratiche e scelte autodistruttive, è la cosa che m’indigna maggiormente, non per l’autorevolezza della fonte, ma per la pochezza delle menti umane a cui questo messaggio è diretto.