Latte cancerogeno? Questo è allarmismo. Il comportamento dei media sulla vicenda Cospalat non aiuta nessuno, nè consumatori nè produttori
Latte cancerogeno? Questo è allarmismo. Il comportamento dei media sulla vicenda Cospalat non aiuta nessuno, nè consumatori nè produttori
Roberto La Pira 28 Giugno 2013Venerdì 21 giugno la maggior parte dei quotidiani ha pubblicato un lungo articolo sul latte cancerogeno commercializzato in diverse regioni del nord da una banda di adulteratori scoperta dai Nas in provincia di Udine. Supportata dal Consorzio Cospalat questo folto gruppo di persone aveva messo a punto una delle tante frodi commerciali che si registrano in Italia. Fortunatamente dal comunicato stampa dei Nas, sembrerebbe che la truffa non abbia avuto ripercussioni sulla salute dei consumatori. La banda infatti diluiva latte ad elevato contenuto di aflatossine con partite regolari in modo tale da mantenere i valori entro i limiti di legge e poter commercializzare il latte “aggiustato”. In altre parole adulterazioni fraudolente, grandi affari ma nessun pericolo per la salute. Questa conclusione non viene percepita leggendo gli articoli dei quotidiani che focalizzano l’attenzione su tre parole magiche latte, aflatossine e cancerogeno e qualcuno avanza l’ipotesi di eventuali problemi per i bambini, insomma un prospetto preoccupante scollegato dalla realtà
Questo modo di fare informazione quando si parla di alimenti è deleteria. Sostenere che le aflatossine sono cancerogene è vero, dire che le aflatossine erano nel latte sequestrato dai Nas a Udine e in altre Regioni è vero, ma bisogna precisare che la loro presenza nel latte è ammessa dalla legge entro un limite massimo. Sotto questa soglia tali quantità non sono ritenute pericolose. Un test di Altroconsumo condotto nel 2012 e nel 2013 su 42 marche di latte non ha riscontrato campioni fuori legge.
L’operato dei Nas contro la banda di furbetti di Udine è lodevole, ma qual è la necessità da parte dei giornalisti di tanto allarmismo per i consumatori con articoli che parlano di latte cancerogeno. C’è da chiedersi invece perchè di fronte al problema molto più serio degli allevatori di bovini che utilizzano sostanze anabolizzanti vietate per ingrassare in modo artificioso la bistecca, nessuno scrive nulla. Eppure le analisi e i riscontri sono firmati da un laboratorio collegato direttamente con il Ministero della salute.
Roberto La Pira
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.
Finalmente qualcuno che parla delle aflatossine nel latte…effettivamente peró chi ne parla lo fa da vero ignorante creando panico in chi non conosce la materia. Il problema c’é e non da qualche giorno ma da settembre 2012 quando gli allevatori hanno iniziato ad usare il mais della scorsa estate, è un problema serio che tutti hanno ignorato fino ad ora. Sinceramente mi sembra che Cospalat abbia solo fatto da capro espiatorio….come lei ce ne sono tantissimi e se i nas lavorassero seriamente (magari si facessero aiutare da esperti in materia) si scoprirebbe la vera entità del problema. Io mi chiedo: dato che chiunque si occupi di mais e allevamenti sa che l’estate scorsa é stato il trionfo delle aflatossine perché non si sono fatti controlli seri sui mangimi? Le aflatossine non si creano nel latte ma ci finiscono per colpa di quello che gli animali mangiano. Nas svegliatevi!
Il solito sistema italico, chi è fuori del coro va bastonato, chi fa parte di determinate organizzazioni è ultra protetto. Non solo il latte, si dovrà cercare la pericolosa ocratossina anche nel vino.Finora tutto tace, come al solito. Veramente certe organizzazioni non hanno mai brillato per l’etica.
Certo il controllo dell’aflatossina B1nelle partite di mais è lo strumento più efficace per limitare il problema M1 nel latte. Questi autocontrolli però li devono fare gli operatori della filiera del mais e dei mangimi per vacche da latte.
L’autocontrollo in teoria sarebbe una misura utile ma purtroppo in pratica ammettere di aver trovato valori fuori limite, dover distruggere il prodotto, occuparsi di tutta la burocrazia ecc.ecc. risulta solo una rottura di scatole e una perdita di tempo e denaro. Dato che l ‘onestà non sempre fa da padrona molti ( non tutti ) fanno prima a falsificare, svendere….purtroppo la leggi ci sono ma se i controlli “esterni” sono carenti é più facile aggirarle che rispettarle.
Ha ragione Silvana ed anche Michele. La sicurezza alimentare si basa sull’autocontrollo di TUTTI gli attori della filiera, mangimi compresi. L’esperienza che data ben prima del 2000 , rinforzata durante ripetute crisi, ha portato a formulare manuali di controllo e comportamento a fini preventivi con il coinvolgimento , purtroppo ancora troppo teorico, di agricoltori, mangimisti , trasformatori e autorità veterinarie: tutti pronti a reclamizzare il loro impegno, ma in realtà spessissimo carenti nel controllo ed autocontrollo preventivo. Solo con questo si possono affrontare le emergenze, dove i furbi trovano la soluzione nella prassi della diluizione (Espressamente vietata dalla legge) di materie prime fuori legge con altre regolari per rientrare nei parametri di accettazione dei prodotti finiti. Dunque nessun pericolo reale per il consumatore, nonostante il protagonismo delinquenziale (riduce la fiducia del consumatore) di alcuni media sconsiderati ed ignoranti, incapaci di verificare o far verificare quanto scrivono a caratteri cubitali (e i loro direttori?).
Si pone il problema dei controlli sui prodotti di filiera e sugli autocontrolli in campagna, nei mangimifici, ed alla trasformazione. I controlli (abbiamo fior di veterinari, NAS, NOE, etc.) devono essere programmati e mirati secondo criteri di analisi del rischio, seguendo i consigli di chi ha vissuto sul campo le crisi e le loro cause , e non di chi dice di sapere tutto , magari letto sui libri ed insegnato a scuola. Per esempio nei mangimi complementari destinati agli animali spesso finiscono materie prime inquinate, o superinquinate(es. semi di cotone) che vengono diluite (fuori legge), ma che nessuno controlla. Allora, FORZA NAS, VETERINARI ASL, NOE….etc. etc., alzarsi e andare mirati, non aspettare il caso per urlare al lupo! ! E quando si trovasse qualcosa di fraudolento si abbia il coraggio di chiudere le attività. Gli altri, avvertiti, staranno più attenti!!! E che non passi il concetto : tanto il controllo è poco probabile!
I media sanno sempre come creare sensazionalismo informativo. é giusto che si ponga l’attenzione sul problema dell’aflatossina (che ovviamente esiste da sempre); ma son daccordo col fattoalimentere che quel genere di comunicazione catastrofista, non serve di certo a nessuno. Per qualche tempo probabilmente le ASL si attiveranno come in modo non usuale per stanare situazioni irregolari e poi; e poi…?
Caro Martino, l’informazione catastrofista è appunto CATASTROFISTA, dannosissima per il consumatore e la sua fiducia,( necessaria all’economia e a dar forza al sistema dei controlli preventivi). tale disinformazione fa di tutta l’erba un fascio, e serve a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Giustamente dici . e poi? e poi? : si passa ad un altro catastrofismo. Così non cresce la cultura, cosa abbastanza rara nella stampa nazionale.
Gentilissimo La Pira
Ho letto con grande piacere questo suo articolo e condivido in toto la frase “Questo modo di fare informazione quando si parla di alimenti è deleteria.” E infatti sbagliato non approfondire i fatti di cronaca e quindi riportare notizie allarmistiche.
Da allevatore di bovini da carne mi permetto però di farle un appunto. Siccome seguo costantemente “IL FATTO ALIMENTARE” alcune settimane fa ho avuto modo di leggere il suo articolo circa il sequestro di farmaci zootecnici in provincia di Mantova. Dalle informazioni che sono riuscito a raccogliere si trattava di un giro di farmaci “in nero” destinato principalmente alle vacche da latte. Nessun allevatore di vitelli da ingrasso è stato coinvolto ne tanto meno sono stati trovati “vitelli gonfiati”. Purtroppo dai media è invece emersa l’ennesima “notizia allarmistica”.
Il sottoscritto da anni ha aperto le porte dei propri allevamenti ad Università, Istituti Zooprofilattici, Associazioni di animalisti, giornali di settore ecc. proprio al fine di poter trasmettere la giusta informazione circa il settore dei bovini da ingrasso.
Mi permetto quindi di invitarla ad un incontro con visita di uno o più centri di allevamento in modo da poter contribuire ad una corretta informazione circa il settore.
Cordialità.
Gian Luca Vercelli
Gentile Vercelli, lei dice che l’articolo sulle sostanze vietate destinatee agli allevamenti bovini e suini è imprecisa perchè si trattava di farmaci destinati alle vacche da latte e non a vitelli o vitelloni per incrementare la massa musolare. Ne prendo atto, ma vorrei sapere da dove arrivano le sue informazioni. Noi abbiamo grosse difficolta a reperire notizie puntuali. Spesso gli autori delle operazini antifrode sono generiche e anche chiedendo delucidazioni non riusciamo ad averle.
Gentilissimo La Pira
innanzi tutti la ringrazio per la celerità con la quale mi ha risposto.
Per quanto riguarda le fonti da cui ho tratto le informazioni non sono sicuramente fonti “ufficiali”. Essendo il nostro un settore abbastanza ristretto bastano un paio di telefonate ad un collega allevatore, ad un rivenditore di farmaci zootecnici, ad un macellatore per avere il quadro completo ed attendibile sulla vicenda.
Ne approfitto per rinnovare l’invito per una sua visita durante la quale sarei felice di confrontarmi anche sull’annoso problema degli esiti istologici.
Cordialità.
Gian Luca Vercelli
Ringrazio lei , ma quando scriviamo un articolo abbiamo bisogno di fonti certe e attendibili anche se possono essere riservate.
Gentilissimo La Pira
se in futuro avrò informazioni con queste caratteristiche sarà mia premura contattarla.
Cordialità.
Gian Luca Vercelli
Le due frodi, e sono queste a ridurre la fiducia dei consumatori-i giornalisti fanno il loro mestiere, che piaccia o meno, spesso col maggiore sensazionalismo possibile-sono simili. Almeno in quanto:
-non determinano un pericolo immediato al consumatore
-sfruttano furbizie analitiche (non dimentichiamo che il caso della carne bovina agli ormoni nasce da maggiore sensibilità analitica strumenti di rilevazione “nuovi”).
È inutile fare gare del tipo ” questa meglio di quella”. Ogni frode distrugge la fiducia dei consumatori. Per favore, per una volta non prendiamocela con i giornalisti, non credo sia questo il punto centrale. Le frodi creano un cono d` ombra che non permette di.distinguere con certezza cio che è sicuro da cio che non lo è. Dopo di che parliamo di etica del giornalismo. Non prima. Semmai i giornali hanno il merito di portare dibattito dove prima non c era.