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latticini latte formaggi burro yogurtI numerosi pecorini (Romano, Toscano, Sardo, ecc.), la Mozzarella di Bufala Campana e la Robiola di Roccaverano sono solo alcuni degli esempi più noti di Dop italiane che prevedono l’uso di un latte diverso da quello vaccino. Recentemente, però, qualcosa è cambiato e, alle lavorazioni tipiche radicate nei territori, si sono aggiunte nuove produzioni vendute in tutta Italia, con latte proveniente da specie diverse da quella bovina. Tra queste emergono ricotte e yogurt, di latte di pecora, capra, bufala e persino d’asina. Meno diffuso è il consumo diretto di latte mentre è disponibile nei punti vendita generalisti quasi esclusivamente quello di capra. In commercio esiste comunque anche il latte di pecora, mentre sono più rari, venduti di solito direttamente dagli allevatori, il latte d’asina, di bufala e, ancora di più, quello di cavalla (quest’ultimo si trova nella versione surgelata in bottigliette da 250 ml, proposto come un integratore alimentare). Infine è possibile acquistare, a costi proibitivi e con una certa difficoltà, persino il latte di cammella. Naturalmente, il latte bovino resta di gran lunga il più diffuso, con una produzione di oltre 12 milioni di tonnellate, rispetto alle circa 250 mila tonnellate di quello bufalino e 480 mila di quello ovino e 61 mila di latte caprino (Italia 2020).

Nell’aumento della diffusione di questi prodotti ha avuto sicuramente un ruolo decisivo l’incremento della domanda, ma c’è anche una questione tecnica, visto che negli ultimi anni abbiamo potuto beneficiare di un miglioramento della conservabilità nel settore lattiero-caseario, che rende più facile il trasporto e la distribuzione. “Quest’aumento del periodo di conservazione può essere attribuito a diversi fattori – sottolineano dal Crea zootecnia e acquacultura –: un miglioramento delle condizioni igieniche di partenza del latte, i trattamenti termici a cui viene sottoposto e, anche, il miglioramento delle tecnologie di confezionamento e dei materiali del packaging”.

ricotta con basilico e pomodori sfocati sullo sfondo. Fotografia controluce, latte
La ricotta è stata valorizzata anche grazie al miglioramento delle tecniche produttive e di confezionamento che l’hanno resa meno deperibile

Un ragionamento che vale in particolare per la ricotta, prodotto fresco e a rapida deperibilità, che recentemente è stato molto valorizzato. Nel settore esistono anche due Dop derivate da latte non vaccino: la ricotta di pecora (Ricotta Romana Dop) e la ricotta di bufala (Ricotta di Bufala Campana Dop). Significativo il fatto che, fino a qualche tempo fa, la ricotta di bufala era consumata prevalentemente nel luogo di produzione, mentre oggi, similmente a quella bovina, sta conoscendo un nuovo successo. Questo vale per le ricotte in generale non solo per la loro maggiore conservabilità, ma anche per le caratteristiche di latticino versatile, utilizzato sia nelle preparazioni dolci sia in quelle salate, ma anche per spuntini, colazioni e merende.

Tra i motivi della nuova attenzione per il latte di altri animali da parte dei consumatori emerge senza dubbio la domanda di latticini con proprietà funzionali maggiori o capaci di ridurre i sintomi di intolleranze o allergie. E qui, come si suol dire, ‘casca l’asino’. Se è vero che il latte proveniente da specie differenti ha caratteristiche nutrizionali diverse, gli elementi costitutivi di base restano gli stessi, con alcune differenze, che vale la pena approfondire. La prima questione da chiarire è la presenza del lattosio. Chi ha problemi di intolleranza a questo zucchero non potrà trarre vantaggio dal consumo di latte e latticini alternativi a quelli vaccini, perché il lattosio, pur in quantità leggermente diverse, è comunque sempre presente. Diversa è la questione per chi ha un’allergia alle proteine dei latte. In questo caso il latte equino (asina/cavalla) può rappresentare una soluzione. Il latte di asina, inoltre, veniva un tempo utilizzato come sostituto del latte materno, al quale assomiglia in maniera particolare soprattutto per la frazione proteica. D’altro canto, a causa del suo basso contenuto di caseina, il latte d’asina non è adatto alla produzione di formaggi, ma può essere impiegato per yogurt e gelati.

Allevamento di bufali in campania, latte
Il latte di bufala ha quasi il doppio di grassi rispetto alle proteine, mentre nel latte bovino il rapporto tra questi due elementi è di uno a uno

Le differenze di base tra i diversi tipi di latte possono essere viste principalmente rispetto alla quantità di proteine e di grassi. Il latte di bufala ha quasi il doppio di grassi rispetto alle proteine, 7,68 grammi dei primi rispetto ai 4,65 delle seconde su 100 ml, mentre nel latte bovino il rapporto tra questi due elementi è di uno a uno (3,36 di proteine e 3,85 di grassi, secondo i dati medi 2021 dell’Associazione italiana allevatori – Aia). Il latte di pecora, invece, con circa 5,6 grammi di proteine e 6,42 di grassi, è il più proteico. Restano infine il latte di capra e i suoi derivati, particolarmente apprezzati perché considerati più digeribili. Questo non si deve tanto alla quantità di proteine e grassi contenuti nei derivati caprini, ma alla loro tipologia. La quantità di proteine del latte di capra è infatti simile a quella del latte vaccino (3,57%). I grassi, poi, sono anche di più (4,16%), sono però costituiti da globuli più piccoli, che li rendono maggiormente digeribili. Il latte di capra, inoltre, contiene una quantità superiore di acidi grassi a catena corta, più facilmente utilizzabili dall’organismo.

È importante precisare che, però, anche all’interno della stessa specie, alcune razze sono più produttive di altre e la composizione del latte varia in base alle quantità prodotte e a numerosi fattori, come la distanza dal parto. Esistono poi delle differenze sul fronte dei micronutrienti e della composizione fine, ma riguardo a quest’aspetto le variazioni possono essere significative anche all’interno delle specie, considerando per esempio le razze, o le modalità di allevamento (l’allevamento al pascolo determina solitamente una maggiore presenza di componenti nutraceutici rispetto a quello stabulare).

mozzarella con sopra un piccolo ciuffo di basilico, appoggiata su superficie di legno, latte
La mozzarella di bufala ha una resa del 22%, maggiore di quella bovina (12-15%), mentre il contenuto di grassi e proteine nel prodotto finito è simile

Nella trasformazione, il maggiore contenuto di grasso e proteine del latte si traduce in una resa superiore in termini di quantità di formaggio prodotto per la stessa quantità di latte. Spicca in questo senso l’esempio della mozzarella di bufala, con una resa del 22%, molto più elevata rispetto a quella di latte bovino (12-15%), mentre il contenuto di grassi e proteine nel prodotto finale ottenuto è simile. Nella mozzarella di Bufala Campana, infatti, il grasso è pari al 21,7%, mentre in quella vaccina è del 20,3%. “Per ottenere formaggi con specifiche caratteristiche, come un ridotto contenuto di grassi o di sale o senza lattosio, bisogna agire sulla tecnologia di produzione, indipendentemente dalla specie di provenienza – dichiarano dal Crea zootecnia e acquacultura –. L’ampiamento dell’offerta di prodotti lattiero-caseari di altre razze oltre a quella bovina è comunque un aspetto positivo, che permette di incontrare le esigenze del consumatore sia in termini di richieste specifiche sia di diversificazione delle scelte alimentari”.

Le caratteristiche del latte e dei derivati, sono insomma influenzate da diversi aspetti, ben oltre la specie animale. Le differenze, oltre che sulle caratteristiche nutritive, incidono anche su profumo, gusto, consistenza e colore e la scelta di comprare un prodotto invece di un altro non è dettata esclusivamente da motivazioni nutrizionali, ma è piuttosto generalmente collegata alle preferenze personali. C’è inoltre da considerare la variabile del prezzo, visto che il latte proveniente da allevamenti meno comuni e meno produttivi costa di più. Mentre, per quanto riguarda la questione ambientale, è utile considerare che gli allevamenti ovicaprini sono principalmente allo stato brado e insistono su aree collinari residuali, che altrimenti resterebbero inutilizzate.

pecore montagna, latte
Gli allevamenti ovicaprini sono principalmente allo stato brado e insistono su aree collinari residuali, che altrimenti resterebbero inutilizzate

Con un’offerta tanto varia, un’attenta lettura delle etichette, che sappia distinguere tra claim ‘pubblicitari’ e informazioni vere, è ancora più decisiva. Un esempio? Il drink di latte d’asina e mandorle siciliane Donkly. Nonostante la simpatica e accattivante scritta sulla confezione “Sono mamma asina e il mio latte ti nutre con bontà”, dall’elenco degli ingredienti risulta che la quantità di latte d’asina è del 7%, a questo si aggiunge un 4,5% di mandorle di Sicilia e delle maltodestrine del riso in quantità non specificata, ma inferiore alle mandorle. Si tratta di un prodotto che, pur etichettato come biologico, ha comunque l’acqua come ingrediente principale. Si può comprare online, o nelle catene specializzate in prodotti bio, a un prezzo che supera i 7 euro al litro.

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