I genitori e i bambini, ma anche gli insegnanti, gli addetti alle mense e i presidi di moltissime scuole statunitensi, sono sul piede di guerra contro la decisione del Dipartimento dell’agricoltura (Usda) di limitare la presenza nei menu di latte al cioccolato zuccherato, una delle abitudini più consolidate delle scuole elementari e medie. La nuova normativa, non ancora operativa, fa parte della strategia federale varata dal presidente Joe Biden nello scorso mese di settembre, finalizzata a migliorare le abitudini alimentari degli americani. Ma, in questa parte, sta incontrando difficoltà impreviste.
La vicenda, raccontata dal sito Stat, ben rappresenta gli ostacoli che incontrano le autorità (non solo statunitensi) quando decidono di intervenire sui consumi, anche quando, come in questo caso, è evidente che è indispensabile cercare di migliorare l’alimentazione, a cominciare proprio dai bambini, tra i quali l’obesità dilaga. Oggetto dell’intervento è il latte al cioccolato, abitualmente distribuito ai bambini nonostante ogni cartoncino contenga in media 20 grammi di zucchero, di cui la metà aggiunti, cioè buona parte dei 25 grammi di zuccheri aggiunti consigliati ai bambini per tutto il giorno.
Lo Usda finanzia parte dei pasti delle mense scolastiche, sia direttamente che tramite sussidi ai meno abbienti, e per questo motivo può imporre alcune modifiche ai menu, dirette o indirette. In questo caso, il Dipartimento ha deciso che si può rinunciare a una bevanda così piena di zucchero e intende non finanziare più i pasti delle scuole che propongono abitualmente questo tipo di prodotto. Ma questo ha scatenato reazioni esasperate un po’ in tutto il Paese: comitati di genitori, insegnanti, dirigenti e addetti alle mense si sono detti più che contrari all’idea perché, secondo loro, i bambini si arrabbierebbero moltissimo e non vorrebbero altro, arrivando a rifiutarsi di bere. Sarebbe cioè di fatto impossibile rinunciare al latte al cioccolato: una presa di posizione drastica e bizzarra, essendo solo uno tra i tanti prodotti industriali presenti sul mercato e la ‘necessità’ dettata solo da abitudini. Tutto sembra insomma un po’ surreale, a maggior ragione se si entra nel merito della proposta, tutt’altro che draconiana: non ci sarebbe un divieto totale, perché le scuole potrebbero continuare a ricevere le sovvenzioni se accettassero di distribuire il latte al cioccolato e le barrette di cereali (anch’esse piene di zucchero) solo per un certo numero di volte alla settimana e non tutti i giorni, oppure se adottassero versioni a basso contenuto di zucchero.
Si tratta quindi di richieste ragionevoli che, tuttavia, hanno scatenato quella che Dariush Mozaffarian, nutrizionista ed esperto di salute pubblica della Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University, ha chiamato isteria collettiva. Mozaffarian, considerato uno dei massimi esperti di queste materie, ha ricordato anche i precedenti, che avevano suscitato reazioni ugualmente sproporzionate e, soprattutto, immotivate. Nel 2010, infatti, erano stati stabiliti limiti più severi per il contenuto di sale e grassi saturi per i pasti delle mense scolastiche finanziati dal governo: anche allora si era levato un coro di proteste e si era sostenuto che i bambini non avrebbero più mangiato nulla. Al contrario, l’aggiustamento del 2010 ha avuto un effetto spettacolare, perché, come sottolinea sempre Mozaffarian, la qualità dell’alimentazione scolastica è nettamente migliorata da allora, come dimostra anche uno studio che ha valutato cos’è cambiato tra il 2003 e il 2018 in migliaia di scuole e ha fatto vedere come l’inversione di tendenza sia iniziata proprio nel 2010. Forse non la qualità dei pasti scolastici – ha commentato – mai stata così elevata e il merito è di quella legge, anche se restano ulteriori correzioni da fare come, appunto, la limitazione alle bevande zuccherate. Secondo lui, la soluzione è semplice: bisogna offrire latte senza aggiunte ai bambini o, al massimo, con una quantità di zucchero dimezzata rispetto a ciò che si trova oggi in commercio.
Ma l’opposizione non accenna a placarsi, per il momento. Di recente il sindaco di New York Eric Adams, vegetariano convinto, e impegnato a introdurre più piatti vegetariani e vegani nei menu delle scuole della città, ha abbandonato una politica simile dopo aver incontrato la netta opposizione di alcuni membri del Congresso, che a loro volta hanno stilato una proposta di legge per obbligare le scuole a offrire latte intero aromatizzato e non aromatizzato. Le motivazioni? La difesa degli allevatori di mucche e il fatto che i bambini non sarebbero disposti a bere nessun altro tipo di latte, se non quello zuccherato: la legalizzazione di un capriccio indotto da comportamenti sbagliati dei genitori.
Va detto che a ostacolare i programmi del governo e del suo braccio operativo Usda c’è anche un fattore oggettivo, e cioè l’entità dei rimborsi: per un pasto lo stato restituisce dai 77 centesimi di dollaro ai 4,58 dollari, mentre per una colazione di 50 centesimi ai 2,67 dollari, a seconda della situazione economica della famiglia del bambino, e secondo un sondaggio compiuto in 1.230 scuole, con queste cifre non è possibile acquistare cibo di qualità. Ma il latte non aromatizzato costa meno di quello al cioccolato, quindi anche questo argomento, almeno per quanto riguarda il latte, non sembra reggere. È probabile, quindi, che lo Usda vinca la sua battaglia e riesca a limitare almeno la distribuzione di questi prodotti. Questo andrà di pari passo con altri provvedimenti come la diminuzione del sale del 10% a partire dal 2025, presente anch’essa nella norma annunciata. Ma non sarà facile.
Sulla presenza di latte zuccherato nelle mense scolastiche si sta insomma riproducendo ciò che si vede anche altrove, ogni volta che si cerca di limitare l’eccesso di zucchero, sale, grassi o additivi, per difendere soprattutto i più piccoli: si muovono le lobby e lo fanno con tutto il loro peso, anche se i loro argomenti sono sempre gli stessi e sempre più spuntati. Ma in questo caso hanno al loro fianco anche la maggior parte dei genitori e del personale della scuola, a riprova di quanto lavoro culturale ci sia ancora da fare su questi temi.
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Giornalista scientifica