
Rivedere la politica dell’occupazione delle terre in Africa e Asia (land grabbing) per sfamare il mondo. Uno studio del Politecnico di Milano
Rivedere la politica dell’occupazione delle terre in Africa e Asia (land grabbing) per sfamare il mondo. Uno studio del Politecnico di Milano
Roberto La Pira 5 Luglio 2014
C’è chi sostiene che tali investimenti in agricoltura miglioreranno significativamente le rese colturali, genereranno nuovi posti di lavoro e porteranno nuove conoscenze e infrastrutture in aree spesso deprivate. Chi si oppone dice che l’accaparramento avviene senza il consenso delle popolazioni locali e parlano di neocolonialismo. Per quanto riguarda l’aspetto economico si dice che i prodotti coltivati vengono esportati dagli investitori in altri paesi, e quindi che le acquisizioni sottraggono alle popolazioni locali il controllo dei terreni, delle risorse idriche e naturali, lasciandole in una condizione peggiore rispetto a quella attuale. Lo studio italo-americano svolto dai ricercatori del Politecnico di Milano e dell’Università della Virginia ha quantificato la massima quantità di cibo che può essere prodotta da colture coltivate nelle terre del land grabbing e il numero di persone che queste potrebbero sfamare. I risultati sono stati confrontati con la produzione agricola attuale e con il numero di persone che vivono con questi raccolti.

Sempre secondo i risultati, la classifica dei paesi più coinvolti nel fenomeno del
“land grabbing” vede in testa l’Indonesia, seguita dalla Malesia, dalla Papua Nuova Guinea e dall’ex Sudan, anche se la maggior parte del terreno si trova in Africa. Complessivamente questi paesi potrebbero fornire (nel caso di produzione massima) l’82% delle calorie ottenibili dalla coltivazione di tutte le terre acquisite.
“La nostra ricerca – spiegano Maria Cristina Rulli del Politecnico di Milano e Paolo D’Odorico dell’Università della Virginia autori dello studio – ha fornito una valutazione sul quantitativo di cibo potenzialmente producibile in questi terreni. Se questi alimenti venissero utilizzati per nutrire le popolazioni locali potrebbero alleviare la malnutrizione senza la necessità di fare investimenti per aumentare la resa colturale”. In altre parole il mondo è in grado di produrre cibo per sfamare tutte le persone ma poi nella realtà ci sono molti paesi che subiscono il land grabbing e hanno grossi problemi di malnutrizione perché i terreni vengono destinati alla coltura di materie prime destinate all’esportazione.

Sara Rossi
© Riproduzione riservata
Foto: iStockphoto.com
Le donazioni si possono fare:
* Con Carta di credito (attraverso PayPal): clicca qui
* Con bonifico bancario: IBAN: IT 77 Q 02008 01622 000110003264 indicando come causale: sostieni Ilfattoalimentare

Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Nella stessa categoria