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Il 24,5% degli studenti delle scuole medie e il 51,4% di quelli delle superiori frequenta una scuola in cui si vende cibo sponsorizzato

Qualche progresso, negli ultimi anni, c’è stato, ma il marketing di prodotti alimentari diretto e indiretto verso gli studenti delle scuole statunitensi di ogni grado è ancora attivo, al punto che, secondo molti nutrizionisti, è necessario imporre norme più severe di quelle attuali.

 

I dati ottenuti da Yvonne Terry-McElrath dell’Università del Michigan della città di Ann Arbor riportati su JAMA Pediatrics sono molto chiari, e dimostrano che c’è ancora parecchio da fare. Il gruppo coordinato dalla ricercatrice ha analizzato, per gli anni compresi tra il 2007 e il 2012, i risultati di un grande sondaggio nazionale fatto ogni anno nelle scuole interpellando direttamente i dirigenti, e ha verificato le risposte provenienti da circa 2.400 scuole elementari, 800 scuole medie e 800 licei. Il risultato è che il 24,5% degli studenti delle scuole medie e il 51,4% di quelli delle superiori frequenta una scuola in cui si vende cibo con qualche forma di pubblicità, anche se a volte limitata al marchio sulle confezioni.

 

Nel 2012 almeno una volta alla settimana è stato offerto un pranzo tipico da fast food a un bambino su dieci delle scuole elementari, al 18% di quelli delle medie e al 30% degli studenti di liceo.

 

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Tra le pubblicità indirette, molto presenti le sponsorizzazioni degli eventi sportivi, e quelle di premi e cerimonie varie

Poiché la pubblicità diretta in molti Stati è vietata o comunque non è ben accetta dalle scuole, gli esperti di marketing hanno trovato altri modi per promuovere i loro alimenti. Lo strumento più usato è quello del coupon che, in tempi di crisi, riscuote un grande successo, ed è diffuso per tutti i prodotti commerciali. Per quanto riguarda le scuole, i coupon sono stati distribuiti nel 64% delle elementari. Ma molto presenti, ancora oggi, sono anche le sponsorizzazioni degli eventi sportivi, pilastro del sistema educativo a stelle e strisce, e quelle di premi e cerimonie varie.

 

Rispetto al 2007, comunque, nel 2012 si sono registrati alcuni passi in avanti. In questo periodo la percentuale di alunni che frequenta scuole con sponsorizzazioni esclusive di bevande che prevedono programmi specifici di studio e assumono la forma di incentivi in relazione alle vendite, è diminuito. Se nel 2007 ha frequentato una di queste scuole più del 10% dei bambini delle elementari, nel 2012 la percentuale è scesa al 3%; per quanto riguarda le scuole medie, i valori sono, rispettivamente, il 67,4% e il 50%, e per i licei il 74,5% e 70%.

 

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I più giovani sono portati a credere che gli alimenti e le bevande avallate dalla propria scuola,anche se punk food, siano consigliabili, migliori

«Nonostante ci sia stato un miglioramento – ha commentato la Terry-McElrath – ci sono ancora troppe pubblicità rivolte a ragazzi all’interno delle scuole. È necessario stabilire delle regole valide per tutte le scuole tanto sugli alimenti quanto sulle bibite». Le ha fatto subito eco Karen Congro, direttrice del Wellness for Life Program del Brooklin Hospital Center di New York, non direttamente coinvolta nello studio, che ha spiegato: «L’elemento più dannoso è il cosiddetto “effetto alone”, cioè la deduzione, da parte dei ragazzi, che gli alimenti e le bevande avallate dalla propria scuola siano, ipso facto, consigliabili, migliori. Si crea la percezione che questi prodotti siano molto più sani di quanto non lo siano in realtà, con conseguenze sull’alimentazione anche al di fuori delle ore scolastiche».

 

Lo US Department of Agriculture ha stabilito ormai da alcuni anni gli standard minimi dei cibi che devono essere proposti nelle mense scolastiche, ma nulla è stato fatto in merito alla pubblicità. Secondo i nutrizionisti vietare o limitare la presenza delle aziende di junk food nelle scuole non risolverebbe il problema dell’obesità infantile e delle pessime abitudini alimentari dei ragazzi americani, ma si potrebbero cercare aziende del settore non alimentare disposte a sponsorizzare le scuole.

 

Agnese Codignola

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